Spotify: playlist e monopolio. La musica fatta “a tavolino”

Usare la parola monopolio è qualcosa che può sempre lasciare o il tempo che trova, quando usata a sproposito, oppure incuriosire, prendere, finanche convincere, se usata in maniera oculata.  Non si potrebbe avere – e non sarebbe neanche normale – la certezza che questo caso sposi o l’una o l’altra circostanza; fortunatamente, lo speriamo, chiunque può farsi un’idea, informandosi, curiosando, leggendo un articolo. Come questo qui.

Ebbene, le compilation che ascoltiamo tutti i giorni le scegliamo noi. Ma le decidono loro. Ci siamo chiesti, quindi, se le piattaforme per lo streaming siano una nuova frontiera o un “Grande Fratello”? Spotify, start up nata e lanciata il 7 ottobre 2002, ha chiuso lo scorso anno, il 2015, con un fatturato di quasi due miliardi di euro: 1,945, per la precisione.

Abbiamo parlato di essere umani, è il caso di Rocío Guerrero Colomo, spagnola di ventinove anni che è stata intervistata da Riccardo Staglianò, inviato a New York de “la Repubblica”. Da unica curatrice che era della musica latina, è riuscita a diventare la capa di una squadra che è raddoppiata l’anno scorso e che raddoppierà ancora il prossimo. Grande ammirazione, non sia detto il contrario; ma può far specie il fatto che le scelte di un singolo individuo ne influenzino quelle di svariati milioni, tutti molto diversi fra loro, chiaramente.

Ma accomunati, speriamo per loro volere, da una playlist: che dire, contenti loro.

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