L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.” Scriveva così Primo Levi in Se questo è un uomo
Istituito 17 anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta “Il lavoro rende liberi, apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato.
Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine «olocausto» usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone.
Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace ed è capace, né sostenere un’assai poco ambita «superiorità» del dolore ebraico. Non è infatti, un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è capace di tutto questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse.