Guglielmo Poggi: “Solo uniti possiamo rilanciare l’industria culturale italiana”

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Dentro un ragazzo di 25 anni si possono nascondere molti interessi, segnali indelebili di una new generation rampante che ha fame di arte a 360°. E la storia, oggi, ci consegna Guglielmo Poggi, il Binetti di Beata Ignoranza, l’ultima pellicola di Massimiliano Bruno tutt’ora nelle sale. Un ragazzo poliedrico, interprete di ruoli-chiave nei film e impegnato nella musica, televisione e nel teatro. All’attivo ha solamente il premio MIIF come miglior attore nel film indie ‘Il nostro ultimo’, ma una carriera artistica di tutto rispetto per la sua età che lo pone come giovane promessa nell’industria italiana. Noi di MZK News abbiamo avuto la possibilità di conoscerlo da vicino per scoprire le sue idee e i segreti delle sue innumerevoli attività.



Innanzitutto parliamo della tua carriera cinematografica che già conta esperienze di tutto rispetto come ‘Viva l’Italia’ di Massimiliano Bruno, ‘Smetto quando voglio’ di Sydney Sibilia, ‘L’estate addosso’ di Gabriele Muccino ed ora ‘Beata Ignoranza’ di Massimiliano Bruno: ecco, qual è il segreto per essere sempre il punto di partenza di una storia?

«Il segreto è incontrare registi che credono in te e capiscono che possono usarti come escamotage. Per me, poi, sono meglio piccoli ruoli che grandi ruoli inutili».

Com’è stato lavorare con vari tipi di regia?

«E’ stato meraviglioso visto che ognuno ha la propria tecnica:  Muccino fa pochi primi piani perché si basa più sui piani sequenza, D’Alatri invece ne fa tantissimi, Bruno installa parecchi piani di ascolto, Sibilia esegue in modo straordinario insieme a Radovic la fotografia ‘matta’ e De Martino gira tutto a spalla anche a causa di un budget limitatissimo. Lavorare con queste varie idee, ti fa cambiare proprio l’idea di recitazione! »

Guglielmo Poggi (Luca Schirano)1

Tra l’altro  hai iniziato anche tu a svolgere questo ruolo per alcuni cortometraggi: quali differenze hai potuto percepire cambiando il punto di vista rispetto alla cinepresa?

«A me piace da impazzire fare il regista perché è il contrario esatto della performance: qui devi permettere la migliore esibizione, mettendoti in empatia con i vari reparti, e creare un tuo stile di narrazione. Nell’ultimo che ho preparato per Cannes ho capito che per raccontare una storia devi mettere una quantità di impegno massimo, anche se solo per 15 minuti perché la storia è protagonista, non la persona!»

Oltre a tanto cinema, hai preso parte in moltissime opere teatrali, tra cui la riproposizione di ‘Una giornata particolare’ di Ettore Scola: quali differenze hai riscontrato con il cinema e dove ti trovi più a tuo agio?

«Mi trovo bene in tutte due, perché sono due facce di una medaglia molto soddisfacente. Certo, quando hai un riscontro imminente come nel teatro provi una sensazione incredibile perché ti godi tutto da solo, ma anche lavorare in gruppo un intero giorno per una scena di 20 secondi, senza sapere cosa hai fatto e vederla sul grande schermo diversa è un emozione grandissima perché è come se fosse nato un ‘figlio’. »

Hai anche tempo per la musica, essendo frontman del gruppo Eretica: com’è nata questa passione e come riesci a conciliarla con le altre attività che svolgi?

«E’ complicato perché c’è poco tempo per fare tutto, ma per me è sempre stata un elemento fondamentale, essendo una cosa di famiglia. Qui c’è solo la performance: vai sopra al palco e hai un contatto diretto col pubblico, dove mostri tutto te stesso. E’ una sorta di droga che continuo a portare avanti perché mi dà soddisfazioni concrete,come la finale al Marmo Music Festival».

Perchè avete scelto questo nome?

«Perché deriva dalla parola latina “eretica”, concetti vietati da cantare con ritmi e sonorità pop-rock leggeri per rimanere impresse più facilmente».

In caso di successo in tutti i campi in cui ti applichi (regia, recitazione e musica), con quale andresti avanti?

«Fino a 30 anni mi concedo di portarli tutti avanti poi a quel punto prenderò una decisione, presupponendo che la recitazione è la mia vita, mentre la regia e la musica due sogni. Mi auguro comunque di non trovarmi di fronte a ciò, in virtù di un movimento collettivo che unisca tutto. Infatti, in passato, quando tutti si riunivano ‘magnando e bevendo’, si potevano fare bellissimi progetti, senza dover tra l’altro internazionalizzare il mercato per raggiungere il successo. Riprendendo questo valore di aggregazione opposto all’individualismo americano tanto seguito, si tornerebbe ad insegnare l’arte, anche perché non abbiamo proprio nulla da invidiare e abbiamo ancora tanto da dire!»

Però è difficile vista l’esterofilia dimostrata dagli ultimi lavori …

«Si, ma capisci che non funziona perché si vede che siamo a disagio. Aldilà di alcuni capolavori esportati come ‘Il Divo’, non si trova più la nostra lingua e il nostro buon gusto.

Tu cosa proporresti?

«Bisogna semplicemente rimboccarci le maniche, farsi la gavetta ed essere più uniti per rilanciare il nostro prodotto. Fortunatamente ci sono registi ‘illuminati’ come Massimiliano Bruno che investono sui giovani e sui concorsi e vedono l’industria come una ‘grande famiglia’ ».

Calza a pennello in questo discorso di innovazione il film ‘The Start Up’, dove vestirai i panni di Niccolò Pescucci: seguirà la scia dei tuoi consueti personaggi-chiave oppure vestirai altri panni?

«Per l’ennesima volta darò il via alla vicenda in maniera involontaria, ma non posso dire altro sulla trama (ride, ndr). Anche qui però c’è stata la mano di D’Alatri che ha saputo valorizzare e rischiare con i giovani, dimostrando ancora una volta che è assurdo farsi la guerra tra noi: il bello sta nell’essere amici davvero e condividere insieme le proprie emozioni, come dentro una famiglia!»

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Credits: Luca Schirano

 

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