C’è un momento, durante una festa o in discoteca, in cui l’euforia è alle stelle. Le persone ballano di più, bevono di più, cantano di più, si stringono abbracciandosi di più. E’ il momento in cui il dj decide di bloccare la musica e per qualche istante si riesce solo a percepire l’energia della gente che urla a squarciagola le parole della canzone, saltando a piedi uniti e con le braccia al cielo. Succede quando la musica non c’è ma l’energia sì e le persone continuano a farla uscire fuori.
Questa energia la conosceva bene Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, che nella vita aveva fatto già tutto. Diplomato da geometra, Fabiano aveva fatto diversi lavori ed era stato anche impegnato nel mondo delle moto. All’età di sette anni aveva iniziato a suonare la chitarra, ma molti anni dopo ad Ibiza la musica era diventata anche un lavoro con l’inizio dell’avventura da Disk Jockey che lo aveva portato a lasciare il posto fisso a Milano per girare il mondo. In uno dei rientri in Italia nell’estate del 2014, proprio dopo una serata in un locale di Milano, un terribile incidente gli cambiò improvvisamente la vita rendendolo cieco e tetraplegico. Da quel giorno per lui esisteva solo il silenzio. Succede quando la musica non c’è e l’energia neanche. Così tra tante cose Fabo ha scelto nella vita anche come morire. Ha scelto il suicidio assistito. Ha scelto di morire il 27 febbraio alle 11 e 40. Ha scelto di essere libero dalla sofferenza e da una vita che non era più sua da troppo tempo. Non è stato lui, però, a scegliere di morire in Svizzera e non nel suo Paese che rifiuta l’eutanasia come rimedio al dolore. Non è stato lui perché, dj Fabo, sapeva che quando la musica si ferma le persone si stringono abbracciandosi di più.
Fabiano Antoniani è morto e poco importa chi e perché oggi non è d’accordo con la sua decisione, poco importa a questo punto anche il non rispetto riservatogli per il coraggio di farla finita. Importa che sia finalmente diventato libero in una clinica e non a casa sua, importa che sia morto portandosi con sé, del suo Paese, il vergognoso silenzio che per tre anni gli è rimbombato dentro come un eco. Lo stesso silenzio che c’era lunedì 13 marzo alla Camera, nell’Aula in cui si sarebbero dovute discutere le linee generali della proposta di legge sul cosiddetto ‘biotestamento’. Poco importa del boom dei testamenti biologici a Milano e del cosiddetto ‘effetto Fabo’ se il governo rimane inerme dopo più di un anno dall’inizio della discussione in Commissione e dopo quattro rinvii .
Poco importa se le leggi vengono calendarizzate in aula, se di lunedì non si vota, se è una giornata che di solito il parlamentare usa per incontri sul territorio, giri nei ministeri e lavoro d’ufficio, se il martedì è giorno di votazione in aula e se è di martedì che sono presenti tutti i parlamentari. Non sarebbe stato nella norma -magari no- mutare il calendario dei lavori che vanno regolarmente dal martedì al giovedì. Ma sarebbe stata di certo una bella immagine, quella di un abbraccio arrivato tardi a dj Fabo. Lui è morto e magari non sarebbe stato nella norma -magari no- farlo morire nel suo Paese. Ma se la sua storia avesse (almeno) smosso le coscienze di tutti portando ad una affettiva accelerazione della realizzazione della legge sarebbe stata di certo una bella immagine, quella di una forte empatia che fa un gran rumore nel momento in cui qualcuno decide di bloccare la musica per sempre. Succede quando la musica non c’è, l’energia neanche ma le persone continuano a cercarla dentro altre persone.
Con i cuori uniti e le braccia al cielo. Per farci sentire da dj Fabo.