
Credits: Lino Brunetti
Per avere successo nel campo musicale, ogni piccolo meccanismo è fondamentale. Soprattutto se parliamo di una band che viaggia ‘in lungo e in largo’ per tutto il globo da oltre 30 anni. E allora diventa necessario analizzarlo dagli occhi di un componente, il violinista Rodrigo D’Erasmo che, giunto solamente nel 2008, ha aiutato a mantenere inalterato il successo degli Afterhours fino ad oggi, come testimoniano i locali stracolmi per l’ultimo tour ‘Folfiri o Folfox’.
Ciao Rodrigo, partiamo dagli esordi con gli Afterhours, quando sei arrivato nel 2008 al posto di Dario Ciffo: com’è stato l’impatto con un gruppo consolidato già da un esperienza ultraventennale?
“E’ stato un bel salto perché non ero mai arrivato nel mio lungo percorso ad un’esperienza professionale così alta. Aldilà di ciò, la cosa più importante per me è stata quella di trovare una casa musicale, una famiglia, che non avrei mai pensato esistesse. Grazie allo spazio e alla libertà espressiva concessa dal resto della band ho capito che quella era la mia dimensione. Tra l’altro è stato un inizio col botto perché le prime date sono state a Toronto e New York, poi da lì ho fatto tantissime cose fino ad oggi, ma ricordo in particolare quei 3 anni che sono stati un flusso di cui nemmeno mi rendevo conto di farne parte. Solo dopo quel periodo mi sono risvegliato, capendo di far parte della più grande rock band italiana del momento”.
Quindi sei stato agevolato dal resto della band per questo inserimento…
” Si, perché non mi è stato chiesto di assomigliare al predecessore ma di essere solamente me stesso e questo mi ha agevolato l’ingresso sia dal punto di vista umano che artistico”.
Sin dall’inizio, gli Afterhours hanno sempre rivendicato il loro ruolo indie, ma senza evitare i grandi eventi mainstream come dimostra la partecipazione al Festival di Sanremo e la tua produzione e la veste di giudice di Manuel Agnelli ad X Factor: qual è il segreto per non essere contaminati dal mainstream?
“Sfruttare quel megafono, senza farsi sfruttare, andando con un progetto definitivo e chiaro, come capitò a Sanremo. Poi nel caso specifico di X Factor Manuel ha saputo essere personaggio e non frontman degli Afterhours, anche se il concetto è rimasto lo stesso”.
Purtroppo però in una società che ti etichetta per qualsiasi cosa, rischi di farlo assimilare..
“Ti posso assicurare che non è così. Quando sei in una dimensione dal punto di vista televisivo così grande in veste di personaggio, vieni identificato come tale. Basta vedere l’esperienza precedente di Morgan che era lui stesso e non quello dei Bluvertigo…”
Tornando invece alle performance, avete visitato parecchi posti, da quelli nazionali sino ai palchi d’oltreoceano: che differenze hai trovato a livello di strutture e di pubblico?
“In Europa vivi un’esperienza ibrida, perché chiaramente le capitali sono piene di italiani e sono contenti di avere la propria band preferita ‘sotto casa’ senza dover prendere un aereo. Ad esempio a Londra e Parigi ci sono circa il 70/80% di italiani nei nostri concerti. Noi però abbiamo anche la voglia di conquistarci i posti, ma ciò accade solo negli Stati Uniti quando becchi un pubblico diverso ma attitudinalmente competente avendo il ‘rock ‘n roll’ nel sangue. Infatti lì abbiamo riscontrato che giocavamo lo stesso campionato ad armi pare, soprattutto quando abbiamo fatto le aperture davanti ad un pubblico di 2000/3000 persone che ti reputava uno ‘sconosciuto’. La soddisfazione è stata quella di portare a casa molto gradimento! ”
Concludiamo con l’ultimo tour ‘Folfiri o Folfox’ che è ripartito dal 9 Marzo e vi sta portando in giro per l’Italia e poi per l’Europa: ci sono novità a livello di scaletta oppure state proseguendo il cammino intrapreso nella prima parte e poi interrotto per la suddetta esperienza di X Factor?
“Quello ha fatto la differenza. Stavolta il tour è più incentrato sull’ultimo album come noi abbiamo sempre desiderato e preparato. E’ una sorta di spettacolo in tre atti: nella parte iniziale c’è la parte corposa dell’album più consona a livello tematico, molto compatta e molto scura, per poi aprirsi nelle altre due parti. Anche qui ci sono due colori: più solare ed esplosiva nel secondo atto, mentre il finale è più intimo che va a ricucirsi alla prima parte del tour. Chi parteciperà, lo noterà immediatamente!”