Lungomare, mercatini e adesso ponti: il terrore all’aperto scopre nuove icone tragiche, lasciando strascichi di paure e insicurezze. Stavolta è toccato al braveheart londinese che, dopo il dolore del 2005, torna a piangere vittime dinanzi all’emblema del potere, Westminster. Ma prima di vedere il volto del folle terrorista, Khalid Masood, c’è stata un’azione tremenda, tragicamente paragonabile alle ultime stragi a Nizza e Berlino, svolta sul Westminster Bridge.
Un collegamento celebre e rinomato, fonte di orgoglio quotidiano per i cittadini londinesi e di ammirazione per i visitatori che da lì si trovano la maestosa Houses of Parliament. Ma questa emozione è stata smorzata in una grigia giornata di primavera, quando i pedoni hanno sentito il soffio gelido della morte, tramutata in un suv nero guidato a folle velocità. Chi era presente alle 3.30 di pomeriggio di quel giovedì, assocerà per tutta la vita uno scenario apocalittico a questo ponte, scostando l’incanto provato qualche minuto prima.
Un po’ come quello che ideò nel 2002 Danny Boyle nel suo ’24 Days Later’, un film horror che ha segnato sicuramente la mente di molti cinefili. In quel caso, però, quel ponte era deserto, senza alcuna forma di vita se non quella del protagonista Jim. Una sensazione di smarrimento assimilabile implicitamente ai testimoni di giovedì che hanno visto scendere Masood con la sua arma e lanciarsi verso Westminster, prima di essere fermato e ucciso.
Stesso tipo di Apocalisse in termini emotivi, ma vissuta con strumenti diversi. Dalle pellicole 35 mm, elemento costante di tutto il lungometraggio, alle fotocamere dei telefonini, il passo tecnologico è imparagonabile. La troupe specializzata contro quella ‘improvvisata’ con un luogo comune: il ponte di Westminster.
Quel locus amoenus di passaggio che piomba nuovamente in una dimensione horror mentale per un tempo indeterminato.