BOOMDABASH: “Leali e fieri come un barracuda, senza paura quando c’è stato da far fronte a qualsiasi tipo di difficoltà.”

BOOMDABASH 3 ph. Flavio & Frank
di Alessio Boccali

Tra i nomi più gettonati in quest’estate 2018, i Boomdabash di Biggie Bash, Mr. Ketra, Blazon e Payà hanno conquistato il pubblico italiano con il loro sound travolgente: un reggae dal cuore salentino. Il loro ultimo disco “Barracuda” contiene featuring con grandi nomi del panorama italiano: da Jake La Furia e Fabri Fibra nel brano omonimo del disco, al loro idolo Alborosie, passando per Rocco Hunt e Sergio Sylvestre, per poi arrivare alla collaborazione con Loredana Bertè che li ha eletti i re e la regina della stagione estiva. Si è discusso di questo grande successo, e non solo, con Angelo Rogoli aka Biggie Bash, la voce “inglese” della band.

Ciao Angelo, partiamo subito dal vostro ultimo album. Come lo definireste? E cosa significa per voi essere dei barracuda (e non dei pesci piccoli), nel mondo della musica e non solo?

Sicuramente l’album migliore di sempre, il disco della maturità definitiva del progetto Boomdabash. La metafora del barracuda rispecchia perfettamente la nostra esperienza nel music biz: 15 anni, passati da indipendenti, fatti di duro lavoro e sacrifici. Nonostante tutte le difficoltà, siamo comunque riusciti a conquistarci un posto di tutto rispetto nel panorama musicale italiano. Leali e fieri come un barracuda, senza paura quando c’è stato da far fronte a qualsiasi tipo di difficoltà.

Nel disco tantissime ci sono tantissime collaborazioni, ma la più affascinante è senza dubbio quella con Loredana Bertè. Com’è nato tutto quanto? È stata lei a suggerirvi la frase sulla Luna (così da richiamare il suo “E la luna bussò”)?

È stata un’idea venuta fuori veramente per caso. Eravamo tutti insieme a lavorare ed in principio c’era molto scetticismo; nessuno pensava che saremmo riusciti davvero a realizzare un singolo con la grande Loredana. Ricevuta la risposta positiva siamo schizzati subito al settimo cielo e ci siamo messi al lavoro assieme al nostro team di produzione. Il ritornello, e quindi il verso che cita la luna, è stato scritto da Federica Abbate e Cheope Mogol (figlio del grande Mogol, che tutti conosciamo), a parer mio i migliori autori attualmente in circolazione, che hanno collaborato con noi alla realizzazione di questo piccolo capolavoro.

Il vostro penultimo album si intitola “Radio revolution” ed ora, proprio con “Non ti dico no”, siete tra i più trasmessi su tutte le radio. È questa la rivoluzione che volevate?

Esattamente. La rivoluzione che avrebbe portato gli ultimi ad essere i primi. Gli ultimi eravamo noi, quattro ragazzi di strada nati e cresciuti in un territorio difficile che, grazie alla musica, riscattano la propria vita costruendo una carriera mattone dopo mattone. Questa rivoluzione, però, non deve essere soltanto nostra; il nostro augurio è che diventi un esempio chiaro e limpido per ogni giovane di periferia con un sogno segreto da realizzare.

Parlando con Alborosie, uno dei più grandi esponenti del reggae mondiale, è venuto fuori che per fare al meglio la sua musica ha dovuto lasciare l’Italia. Avete mai pensato di lasciare il nostro paese anche voi, magari per andare in Giamaica alle origini del reggae? E invece qual è il segreto che ha fatto sì che la vostra musica attecchisse anche qui da noi?

Ad essere sincero è un’idea che non ci ha mai sfiorato. Viaggiamo quasi ogni giorno, siamo sempre in aereo, nel nostro mini-van, in giro per l’Italia e l’Europa, ma è di fondamentale importanza per noi e per la nostra musica essere presenti sul nostro territorio. La gente ci vede e quindi sa che noi ci siamo, vedono che non li abbiamo abbandonati e sanno di poter contare su di noi. Sanno che noi siamo lì, presenti, con loro. Il segreto è proprio questo: il costante supporto dei nostri ragazzi. Senza di loro, il seme sarebbe morto e la pianta non sarebbe diventata un albero.

musicazero

“Salento state of mind” è un vostro grande motto, che cosa rappresenta il Salento per voi e come siete riusciti a sposare il dialetto salentino con l’inglese? Forse per la musicalità di entrambi gli idiomi?

Il Salento è dove siamo nati, dove siamo cresciuti e dove ci seppelliranno. È la nostra mamma e noi siamo suoi figli. È una costante fonte di ispirazione, ci regala la serenità e la tranquillità che ogni musicista deve avere per poter lavorare bene. Cantare in dialetto e inglese in realtà non è stato una scelta. Semplicemente, quando ci siamo ritrovati per la prima volta in studio, io ho scritto la mia prima strofa in inglese, perché avevo sempre composto in inglese e Payà, che veniva dalla scena reggae salentina, in dialetto salentino come aveva sempre fatto. Ci siamo resi conto da subito che era un mix che poteva davvero funzionare ed oggi è il nostro “marchio di fabbrica”.

In chiusura, qual è il vostro tormentone dell’estate? (Non vale rispondere “Non ti dico no”, ma i pezzi di Ketra ve li lascio altrimenti vi toglierei metà della hit parade italiana estiva).

Beh, allora ovviamente “Amore e capoeira” di Takagi e Ketra (ride n,d,r,).

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