RICCARDO SINIGALLIA

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Come connettersi a tutto ciò che abbiamo intorno e trovare la felicità

di Lavinia Micheli

Cantautore, produttore di artisti del calibro di Tiromancino, Motta e Coez ma soprattutto grande artista, Riccardo Sinigallia è tornato sulla scena il 14 settembre con il suo ultimo capolavoro, “Ciao Cuore”. Un album d’amore, in tutto e per tutto. In programma un tour di 9 date in giro per migliori club italiani, a partire dall’ Hiroshima Mon Amour di Torino, il 17 gennaio 2019. Con grande emozione, ci ho fatto due chiacchiere qualche giorno fa. Di seguito, quello che ne è uscito fuori.
Ciao Riccardo, sei pronto per il tour?
Ciao! Beh, ancora c’è qualche mese di tempo. Dobbiamo addirittura ancora cominciare le prove, però sono abbastanza pronto! Io i pezzi me li sono un po’ rivisti (ride n.d.r.).
Cosa si prova a tornare sul palco, a quattro anni di distanza da “Per tutti” e dopo un periodo da produttore dietro le quinte?
In realtà ho continuato e continuo l’attività live, un po’ con i Deproducers, con cui ho un progetto parallelo di scienza e musica, un po’ con qualche data, per esempio quella al Monk di Roma, due anni fa. Diciamo che non mollo mai gli strumenti, questo è sicuro! Ma comunque è sempre una grande emozione.

Federico Zampaglione, ha recentemente dichiarato: “Dietro a mille cose della scuola romana, quelle più riuscite, c’è Riccardo. Meriterebbe sicuramente uno spazio maggiore, perché è un grande ricercatore”. Cosa pensi dell’ultimo lavoro dei Tiromancino, di cui non hai curato la produzione?
Ho avuto modo di ascoltarlo a casa sua. È stato interessante sentire cantare questi colossi della canzone italiana, anche se è chiaro, io sono affezionato alle nostre versioni degli stessi pezzi. Però io sono contento che lui stia proseguendo per la sua strada come meglio crede.
Dal tuo ultimo album, “Ciao Cuore”, traspare un profondo amore verso i tuoi affetti. Mi ha molto intenerita “Dudù”, che parla della tua bambinaia d’infanzia, a cui “piaceva Bowie, Bob Marley e Peter Tosh.” La senti ancora?
No, purtroppo non l’ho più vista e per questo ho scritto questa canzone. Questa ragazza arrivò negli anni ’80, a 19 anni, da Capo Verde. Io e mio fratello ce la ritrovammo in casa e fu fondamentale per la nostra crescita, soprattutto musicale. Portò in casa il reggae, Marley e Peter Tosh, ma anche David Bowie, che io chiamo Bawie perché lei lo chiamava in questo modo.

Quattro anni per costruire un nuovo album. Il risultato è fine, ricercato, puro. Come si capisce quando un disco è pronto per il pubblico?
C’è qualcuno che ha detto che un disco non si interrompe mai. Ad un certo punto ci si rende conto che è il momento di mollare e di chiudere un ciclo. Io credo di averlo chiuso quando sono riuscito a trovare la musica di “Niente mi fa come mi fai tu”.
In “Backliner”, che tra l’altro è anche il nome di un documentario sulla tua carriera recentemente presentato al festival del cinema di Roma, canti: “Comunque fuori moda, mentre un altro pezzo vola”. Ti è mai capitato di sentirti fuori moda e di soffrire per questo?
Tantissime volte. Da sempre, anzi, credo che questa sensazione sia stata proprio una compagna di vita. Tutt’oggi la sento e non la vivo più come un problema ma come una contingenza, quasi con fierezza. Da bambino, delle volte cercavo anche di adeguarmi. Adesso lo lascio fare a mio figlio con molta tenerezza, anche se spero e vedo che anche lui ha il mio stesso “file”.
Cosa ascolta tuo figlio?
Tutto ciò che arriva ad un ragazzo della sua età: molta trap. Fortunatamente in casa, essendo tutti musicisti, è spinto anche verso altri orizzonti e influenze, segretamente, nelle sue cellule.
“Che male c’è” è una bellissima canzone nata da una poesia di Valerio Mastandrea, dedicata a Federico Aldrovandi. Qual è la sensazione che si prova ad affrontare temi così delicati?
Si trattava di due pagine di pensieri e suggestioni rabbiose su questa vicenda. Un giorno, molti anni fa, è arrivato a casa mia e mi ha lasciato questa chiavetta dicendomi: “Falla diventare una canzone”. Per molti anni non ho affrontato quel testo. Poi una notte, in Grecia, ho sentito l’istinto di riaprire quella chiavetta ed è venuta fuori questa canzone. Piano piano, dopo averla suonata anche a Ferrara davanti ai genitori e al fratello di Federico mi sono sentito pronto. Era giusto avere il coraggio di esprimere quelle cose._D0B7501©fabiolovino.JPGCom’è nata la storia d’amore fra “uno difficile, che viene sempre da fuori” e “una facile, una per tutte le stagioni”? Qual è il tuo rapporto con Laura (bassista nonché moglie di Riccardo n.d.r.)?
Ci conoscevamo da tantissimo però ci evitavamo perché in effetti avevamo anche altre storie. Poi ad un certo punto una sera, in un locale, andando a sentire un nostro amico che faceva musica elettronica, al bar ci siamo trovati entrambi con un drink. Lei guardandomi negli occhi mi disse: “Bevi,bevi (ridiamo n.d.r.) !” E così è nato tutto.
Di “Ciao Cuore” hai scritto: “Questa canzone è un invito ad aprire le braccia, la bocca, le orecchie, i polmoni a mettere in connessione il proprio respiro con tutto quello che ci circonda e vivere lealmente e pienamente il momento.” Una sorta di Carpe Diem alla Riccardo Sinigallia?
Più che Carpe Diem si tratta di accorgersi della felicità. È la cosa più difficile che ci sia. Tutti sprecano parole per capire quale sia la chiave della felicità, in realtà la cosa più complicata è accorgersene. Spesso uno è felice e non se ne rende neanche conto. Il fatto di mettere in connessione il proprio respiro con ciò che accade intorno a noi, è un buon esercizio per entrare in sintonia con quello che si sta vivendo, e quindi, probabilmente per accorgersi meglio di come si sta veramente.

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