MONDO MARCIO

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di Alessio Boccali

Mondo Marcio, all’anagrafe Gian Marco Marcello, è tornato e l’ha fatto per riprendersi tutto ciò che ha seminato, ma non ha raccolto. Eppure, sulla linea del tempo del rap italiano si potrebbero segnare una “prima” e un “dopo” l’avvento di Mondo Marcio per capire l’importanza che la sua penna e il suo personaggio hanno rappresentato per il genere e per la musica italiana tutta.

Ciao Gian Marco, questo 2019 è l’anno del tuo ritorno con un nuovo disco…

Esatto, in questi due anni e mezzo lontano dalle scene ho fatto molta ricerca, cercando di alzare ulteriormente l’asticella. Ho cercato un nuovo linguaggio per parlare di cose delle quali non avevo mai parlato in precedenza.

Mi riaggancio a questo per parlare del tuo singolo “Vida Loca”. Nel pezzo sei uscito dalla tua comfort zone per realizzare un’operazione molto da cantautore schierandoti dalla parte dei cosiddetti “ultimi”, nella fattispecie hai parlato di prostituzione…

Trovo sia molto utile, specie in un periodo come questo in cui se ne dicono di ogni sul rap e sulla trap, fare vedere che, nel suo piccolo, la musica può fare la differenza. Si parla tanto di vida loca nelle canzoni ed è giusto che sia così perchè la musica è anche intrattenimento, ma spesso si dimentica che alla vita di strada sono collegate tante problematiche, delle quali è necessario parlare per provare a dare il nostro contributo per un mondo migliore.

Mentre l’altro singolo primo uscito, “DDR”, è un dissing contro chi fa rap, il genere che ami, soltanto a fini commerciali?

Non lo definirei un vero e proprio dissing, quanto più una provocazione. È un periodo in cui tutti lanciano titoloni, affermazioni… col solo scopo di scandalizzare. Siamo in un’epoca del vale tutto e allora “se oggi vi sentite tutti quanti dei capi, tutti quanti dei maestri, allora io sono un Dio.”. Il pezzo è una constatazione delle sciocchezze che sento da chi fa musica, spettacolo, ma non solo… per rilanciare provocatoriamente.

Prima di pubblicare i singoli hai girato un videoclip intitolato “Origini” nel quale affermi che avresti voluto essere Batman perché lui è uscito dal buio per sconfiggere le sue paure. Da quando eri chiuso “Dentro alla scatola”, uno dei tuoi primi successi, ad oggi – 15 anni dopo – sei riuscito a sconfiggere le tue paure e a uscire dal buio?

Direi assolutamente di sì. La musica è stata la mia arma per combattere le mie insicurezze, i miei timori. Poi, certo, ci sono paure che comunque col passare del tempo non se ne vanno mai, ma comunque fanno parte del tuo percorso e riesci a conviverci. Sembra banale, ma ogni volta che riesci a sconfiggere una tua paura diventi più forte quindi ben vengano gli ostacoli (costruttivi).

L’obiettivo del nuovo disco sarà un po’, come dicono nella serie “Gomorra”, “ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost”, ovvero quello di riprenderti un po’ tutto quello che ti spetta e che negli anni hai seminato e non raccolto?

Diciamo di sì (ride, n.d.r.). In questi anni penso di aver dato molto alla musica italiana e alla scena hip hop nostrana senza che questo mi sia stato tanto riconosciuto. Forse sono stato troppo umile oppure troppo rispettoso in un genere che non guarda in faccia nessuno. Questo disco più che mai non avrà timori né riverenza nei confronti di nessuno. Stiamo vivendo un periodo di crisi che parte dall’informazione: un’informazione che è completamente distorta e questo non solo per quel che riguarda la musica. Perciò è importante dire la verità, metterla in piazza. Io l’ho fatto e lo farò sempre.

Non trovi che alle origini del rap fossero i vostri testi la vera rivoluzione che entrava nelle orecchie dell’ascoltatore, mentre oggi si pensa più a fare la melodia orecchiabile?

Sì, sicuramente. Considera che l’arte rispecchia sempre la realtà nella quale sboccia. Viviamo in una società distratta, che ha sempre meno tempo per ascoltare. Ecco, dunque, che, se prima si prestava più attenzione all’ascolto e alla comprensione dei testi, oggi sia il rapper che l’ascoltatore puntano più a preferire il ritornello che ti rimane in testa. Quando ho iniziato a fare musica io, il rap era un po’ come il Far West, adesso il rap è un po’ più un lunapark. Il che non è necessariamente un male e anzi, sono contento di aver contribuito all’espansione di un sistema nel quale tutti quanti possono provare a far musica perché quando ho iniziato io non era così ed è stato difficilissimo anche solo riuscire a fare un disco degno dell’etichetta RAP in Italia. Posso dire con orgoglio che il mio “Solo un uomo” nel 2006 è stato il primo disco di un rapper singolo a sfondare nel mainstream e poco dopo è arrivato Fabri (Fabri Fibra, n.d.r.). Si può dire che da lì il rap ha decisamente cominciato ad attirare l’attenzione e quindi tutto un giro di investimenti che hanno generato dei guadagni.

 

Insomma, il tuo nuovo lavoro ci darà un nuovo Mondo Marcio?

Sì e no. Le mie canzoni sono sempre estremamente personali, quindi evolvendosi Gian Marco come persona è normale che si evolva anche il Mondo Marcio artista. Ogni volta che esco con un album c’è un po’ di Mondo Marcio diverso e poi c’è il solito Mondo Marcio che non cambierà mai.

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