Di Cristian Barba
Meno “fotta” e più ironia, il tutto accompagnato da sonorità energiche e ballabili: il nuovo album di Mauràs e Dj Bonnot è un ibrido che riesce a mantenere un’identità. Mauràs, al secolo Mauro Sità, è uno che nella vita non ha mai fatto l’artista di professione, ma da più di vent’anni alimenta la sua passione per la musica come dj, rapper e producer. Nel 2016 si è messo in proprio con un progetto solista, inaugurato dall’album La vita è dura. A 3 anni di distanza è tornato con Dico sempre la verità, lavoro che segna una netta discontinuità rispetto al passato e che può vantare la produzione di Dj Bonnot.
Ciao ragazzi. Partiamo da Mauro. Si parla spesso di maturità artistica. Tu fai musica da tanto, quali consapevolezze porti in questo disco?
Mauràs: Porto questi vent’anni di esperienza, sia dal punto di vista dei live che soprattutto della scrittura. Non riascolto quasi mai quello che ho fatto prima perché so che stilisticamente non rappresenta il mio punto d’arrivo, mentre in quest’album mi ci rivedo alla perfezione. Ho fatto sempre roba hardcore che richiama molto il mio background, poi per fortuna ho incontrato Bonnot e ragionando su un po’ di cose abbiamo scelto la strada da seguire. Il bello è che entrambi volevamo creare qualcosa di nuovo e ci siamo lasciati andare.
Rispetto al tuo precedente lavoro – La vita è dura – hai sviluppato un approccio completamente diverso, meno incazzato e molto più ironico. Ti sei allontanato da quella che definivi working class music?
Mauràs: In realtà non mi ci sono allontanato tanto, ad esempio ho appena finito di produrre un album di Principe che si chiama proprio Working Class Rap. La vita è dura ha rappresentato un nuovo punto di partenza dopo l’esperienza con le band. Ho fatto tutto da solo, volevo buttare fuori il fatto che dopo 15 ore in cantiere tornavo a casa a fare scratch con le mani bendate perché erano spaccate dal lavoro. Andavo dritto, scrivevo strofe di pancia, registravo e via. Adesso è diverso, ho scritto 3 quaderni di strofe per lavorare sul linguaggio e voglio che la musica rispecchi la mia persona in tutto. Ci sono arrivato per gradi e voglio proseguire su questa strada.
Pensate che il risultato sia un disco complessivamente più leggero? È un tentativo di raggiungere più persone?
Mauràs: Leggero no, direi scorrevole. Abbiamo cercato di non fare robe scollegate dai tempi in cui viviamo, perché – come si dice nel rap – l’underground a volte è una scusa. Vorrei arrivare a tutti perché penso di avere le capacità per farlo. Non vedo perché chi ha la metà delle mie capacità di scrittura possa arrivare a tutti mentre io no.
Bonnot: Abbiamo lavorato insieme sul mood per cercare di renderlo più aperto, non per forza per tutti ma neanche troppo hardcore. Volevo fare una cosa che trasmettesse energia e che rispecchiasse un po’ anche il periodo positivo che sto vivendo.
Le sonorità di questo album non inseguono il minimalismo imperante nel rap, anzi ci avete messo dentro chitarre, fiati, batterie. Come ci siete arrivati?
Bonnot: Per me è stato continuativo rispetto al lavoro fatto finora, ho utilizzato questo parco strumenti in tutti gli album che ho prodotto dal 2005 con gli Assalti Frontali. Allo stesso tempo, con M1 deadprez ho anche fatto produzioni vicine alla trap e quindi ho sentito cose molto belle anche su quella vibe. Non ho pregiudizi, però sono un bassista/contrabbassista e amo la musica suonata. In questo album spesso i giri di basso creano il groove, sono lo scheletro su cui si poggia tutto il pezzo. Ci sono molti fiati – praticamente in metà album – registrati live da artisti bravissimi. Alle chitarre ho chiamato Ermanno Fabbri, che è un mostro e che considero uno dei più grandi chitarristi italiani viventi. Alle batterie avevamo il Ninja Enrico Matta, che ha fatto la storia con i Subsonica e non ha bisogno di presentazioni. Sono musicisti scelti in maniera meticolosa, perché in base al musicista che scelgo coloro il disco in una certa maniera. Stessa storia per gli strumenti: abbiamo usato un preamplificatore – che ho acquistato da Billie Joe Armstrong – con cui i Green Day hanno registrato 5 album e un microfono utilizzato da Freddie Mercury per 7 album dei Queen. Nel complesso, mi sono soffermato sul tentativo di fare un disco acustico che suonasse da elettronico, come alcuni brani dei Daft Punk o di Bruno Mars.
Com’è nata la collaborazione?
Bonnot: Ci siamo conosciuti ad un concerto nel quale Mauro suonava in apertura agli Assalti Frontali e mi lasciò il suo disco dopo il concerto. La mattina dopo l’ho riascoltato – su questo sono un po’ vecchia scuola, ascolto tutto quello che mi viene dato – e ho trovato una buona padronanza sia tecnica che lessicale per cui ho pensato che ci si potesse lavorare. Tra l’altro mi aveva anche scritto su Facebook due anni prima ma mi ero perso il messaggio.
E non credo che per Mauro sia stato un peso fare un passo indietro e occuparsi solo dei testi…
Mauràs: No anzi, per me è stato bellissimo. Mi piace produrre e fare beat, però concentrarmi sulla scrittura era il mio obiettivo e volevo farlo buttando in mezzo anche il mio lato ironico.
Nell’ultima traccia – In confusione – scrivi “si abbassa la soglia di attenzione, tocca svuotare la forma canzone, lascia suonino canzoni vuote”. Dobbiamo rassegnarci a “canzoni che durano quanto meme” o vedi un’alternativa?
Mauràs: Ovviamente c’è l’alternativa, chiudere il disco in quel modo è una provocazione. La musica “facile” c’è sempre stata e le canzoni che durano quanto meme sono fatte con quello scopo, è una cosa consapevole. Nel disco non dico mai come si deve o non si deve fare, provo solo a fotografare il contesto che viviamo.