RED BRICKS FOUNDATION, dal quartiere Trionfale a Pete Doherty

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Di Alessio Boccali

Dai mattoncini rossi di Trionfale “verso l’infinito e oltre”, come direbbe Buzz Lightyear. I Red Bricks Foundation (Lorenzo Sutto, Claudio Cossu, Marco Cilo e Jacopo Corbari), nonostante la giovane età dei suoi componenti, hanno già alle spalle una notevole gavetta ed una bella esperienza nel talent show X Factor. Da poco è uscito il loro primo singolo in italiano “Ho perso la testa” e tanta carne è al fuoco per affrontare l’inverno con delle piacevoli sorprese. Nel frattempo, in questa afosa estate di lavoro, venerdì 5 luglio incontreranno uno dei loro idoli, Pete Doherty, e apriranno il suo concerto romano al Social Park.

Di tutto questo e di tanto altro ho parlato con Claudio, il chitarrista del gruppo.

Ciao Claudio, partiamo dagli inizi. Come sono nati i Red Bricks Foundation e qual è stata la gavetta affrontata fino ad ora?

Un abbozzo dei Red Bricks Foundation nasce nel 2011 grazie a Lorenzo (il frontman attuale della band) e ad una bassista con la quale lui suonava all’epoca. Il progetto prende questo nome da una strada costeggiata da mattoni rossi qui a Trionfale (nell’area ovest di Roma), il nostro quartiere. A dire il vero, inizialmente, Lorenzo voleva soltanto scrivere una canzone su questi mattoni, poi però, nel frattempo, la sua band dell’epoca si scioglie ed allora questi mattoni rossi, questi red bricks, diventano parte del nome di quella che ora è anche la mia band (io sono entrato nella “famiglia Red Bricks” circa due mesi dopo la fondazione “ufficiale”). Da allora ci sono stati un po’ di cambiamenti di formazione, fino a stabilizzarci circa un anno e mezzo fa. Per quanto riguarda la gavetta, ne ricordo davvero tanta: penso di aver suonato in più dell’80% dei locali romani e in qualsiasi condizione. Fuori la Capitale, inizialmente, non abbiamo fatto granché, ma c’è da considerare che i primi tempi avevamo anche 15/16 anni e quindi era un bel po’ complicato spostarci.

Dopo questa gavetta, è arrivata anche una grande occasione televisiva con X Factor… com’è stata?

Eravamo partiti molto tranquilli, non ci aspettavamo nulla di che, forse l’avevamo presa anche un po’ sottogamba, ma ben presto ci siamo accorti che avremmo dovuta prenderla più seriamente. L’impatto, infatti, è stato impressionante. Abbiamo immediatamente notato un grosso salto di qualità soprattutto a livello tecnico. Tutti ci han trattato fin da subito come dei professionisti della musica. Abbiamo avuto modo di capire e apprendere i tempi e i modi di approcciarsi alla musica di chi di musica vive e ci siamo resi conto sempre di più di quanto sia necessario impegnarsi al 100% per essere musicisti nella vita.

Vi ispirate ad artisti internazionali di spessore come Arctic Monkeys, The Strokes, Kasabian… gente che fa generi che in Italia (ahinoi, n.d.r.) non hanno attecchito molto. Quanto è difficile fare musica con quei mood in Italia e addirittura, come nel vostro ultimo singolo, in italiano?

Combattiamo con questa cosa fin dagli inizi e un po’ di anni fa la situazione era ancora più difficile perché eravamo davvero in pochi ad ascoltare questi artisti. Il bello, però, è che tanta gente cominciava (e comincia) ad ascoltarci proprio perché facciamo musica nuova per l’Italia. L’idea di portare quei generi in italiano nasce proprio dalla volontà di fare una cosa che nessuno aveva fatto prima oltre che dall’esigenza di esprimerci nella nostra lingua. “Ho perso la testa”, il singolo uscito da poco, ed altri pezzi, sempre in italiano, li abbiamo composti prima del nostro percorso televisivo, quindi alla base non c’è alcuna esigenza/richiesta discografica. Anzi, abbiamo osato, ci siamo presi un rischio e ci è piaciuto molto farlo perché abbiamo seguito, senza filtri, l’evoluzione del nostro pensiero sulla musica e anche le nostre nuove influenze (King Krule e Cosmo Pyke, tanto per citarne due…).

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Raccontami qualcosa su com’è nata “Ho perso la testa”…

Sì. Lorenzo l’ha scritta d’estate, in uno di quei periodi in cui sei un po’ giù e non hai molta voglia di fare qualcosa. Allora ripensi alla scuola, alle esperienze passate e dai sfogo alla tua noia mettendola in musica. La noia e la nostalgia sono, senza dubbio, le parole chiave che stanno alla base della genesi del brano.

Il vostro futuro, che poi sa anche un po’ di passato visto che tanti brani ce li avete già pronti da tempo, quale direzione seguirà?

Considereremo ancora sia l’inglese che l’italiano: scrivere in inglese spesso ci viene più naturale, ma l’italiano è la nostra lingua e ci affascina proprio perché è così difficile lavorarci per fare il nostro genere di musica.

Se ti parlo di Libertines, Babyshambles, Pete Doherty…

Eh… venerdì al Social Park a Roma canteremo prima di Pete Doherty & The Puta Madres. È un sogno. Doherty è uno dei nostri miti fin dall’adolescenza. Per ora ce la stiamo vivendo abbastanza serenamente; siamo contentissimi, naturalmente, perché è la prima volta che ci capita di aprire il concerto di un artista così grande e che ci ha influenzato così tanto. Io e Lorenzo, nel 2015, partimmo il giorno stesso del suo orale della Maturità e ci facemmo dodici ore di pullman per andare ad ascoltare i Libertines. Quel giorno riuscimmo anche a parlare rapidamente con Pete. Venerdì, però sarà diverso: ci parleremo da colleghi e condivideremo lo stesso palco e lo stesso backstage. Ripeto, un sogno.

…Oltre a Pete Doherty ritroverete Roma con una notevole cornice di pubblico…

Suonare davanti ad un bel po’ di gente per fortuna non ci fa più paura, però, naturalmente, è sempre un’emozione nuova. Certo che esibirsi a Roma, poi, è uno sprone in più. Il nostro obiettivo nei live è quello di far trasparire sempre le nostre origini: ok, ci piace la scena inglese, ma noi non siamo solo quello; vogliamo dare il nostro personale contributo alla musica.

L’appuntamento con Pete Doherty & The Puta Madres, Red Bricks Foundation, VANBASTEN, White Def e altre possibili sorprese è venerdì 5 luglio al Social Park di Roma in via del Baiardo, 25.

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