SICK LUKE & MECNA

Visitate la nostra “Neverland”, non vedrete l’ora di tornarci!

di Alessio Boccali

Un incontro che ha dato vita a un’altra dimensione: l’isola che non c’è – la Neverland da cui il titolo dell’album – dal punto di vista geografico, ma che Sick Luke e Mecna sono riusciti a edificare unendo i loro stili e le loro peculiarità artistiche. Una collaborazione interessante nata tra uno dei più prolifici producer italiani e una delle voci più riconoscibili del “cantautorap” italiano e che si è sublimata in un album impreziosito da due storici collaboratori e amici di Luke e Mecna, ovvero, rispettivamente, Valerio Bulla e Alessandro Cianci.

Ciao ragazzi, com’è nata questa collaborazione?

(Mecna) Ci siamo scritti su Instagram a fine 2018 e ci siamo subito trovati; avevo chiesto a Luke di inviarmi dei beat per poter collaborare in un pezzo e, infatti, tra quei beat c’era quello di “Akureyri” il nostro primo singolo insieme. Un esperimento andato molto bene. Quando poi ci siamo visti dal vivo, abbiamo portato io il mio musicista (Alessandro Cianci) e Luke il suo (Valerio Bulla) e abbiamo lavorato assieme a questo progetto.
(Sick Luke) Sì, ai tempi di “Akureyri” non c’era ancora l’idea di fare un disco insieme; quel pezzo nasceva perché entrambi avevamo voglia di sperimentare. Posso dire che Mecna è stato il primo artista, che fa roba totalmente diversa dalla mia, con cui ho collaborato (poi sono arrivati gli PSICOLOGI, Marïna, ecc.). Poi, dai, un aneddoto posso raccontartelo: per i beat gli ho chiesto 10k, lui non ce li aveva e allora adesso è costretto a farmi grafiche per tutta la vita (ride, n.d.r.).

Di questo titolo “Neverland” che cosa mi raccontate?

(M.) “Neverland” è l’isola che non c’è, o meglio non c’era finora. Questo disco è una cosa diversa da tutto quello che c’è in giro: un’isola che ora, grazie a noi, c’è.
(S.L.) “Neverland” è frutto della voglia di creare una dimensione diversa, che poi è quello che cerco in ogni mio lavoro. Con Mecna ho intrapreso un viaggio verso una mèta utopica, che appena visitata (ovvero alla fine dell’ascolto), non vedi l’ora di rivedere.

(Per Mecna) Nelle tue canzoni emerge sempre un perfetto mix tra atmosfere raffinate, studiate e testi mai banali, che spesso hanno bisogno più di un ascolto per essere compresi fino in fondo. Anche in questo ultimo lavoro c’è questo tuo marchio di fabbrica, ma la cornice sembra essere molto più popular…

(S.L.) Posso rispondere anch’io? (ride, n.d.r.) Da quando Mecna si è messo a collaborare con me, la gente pensa che sia diventato commerciale. In realtà, che cosa vuol dire “commerciale” oggi? Io faccio musica popolare, che arriva alla gente, pur non facendo pop e questo lavoro con Mecna è popular proprio in questo senso.
(M.) Non sono mai stato paladino dell’hip hop o del rap a tutti i costi, anzi fin dai miei primi demo ho sempre cantato quando volevo cantare e usato basi molto melodiche. Per quanto riguarda i testi, ho imparato nel tempo a non farmi tanti problemi riguardo al mio stile perché, in fin dei conti, scrivendo stavo parlando di me, stavo raccontando la mia vita. Creare questo cortocircuito con Luke poi mi ha fatto impazzire: abbiamo creato un nostro micromondo, che non si può definire con un genere, in cui entrambi siamo rimasti gli stessi.

Le etichette sono inutili. […] Le cose spesso sono molto meno studiate di quanto si pensi, semplicemente nascono da quello che hai voglia di suonare in quel momento.

(Per Sick Luke) Possiamo dire che sei stato quello che ha portato la trap in Italia?

(S.L.) La trap già c’era in Italia, la faceva Bello Figo Gu. Scherzo, è solo un bufu (ride, n.d.r.). Seriamente io mi sono ritrovato con i ragazzi della Dark Polo Gang a fare della musica che prima in Italia non si ascoltava; inizialmente provavo ad imitare i beat di Gucci Mane, ma non ci riuscivo e allora ho inventato qualcosa di mio, che in realtà è un mix di dark, di vapor… ma non voglio dargli un’etichetta perché poi i miei beat e i pezzi che ne sono nati sono tutte cose differenti, creano tutti atmosfere diverse. Le etichette sono inutili. Mecna spesso lo definiscono indie…
(M.) Esatto! Anch’io odio le etichette. Le cose spesso sono molto meno studiate di quanto si pensi, semplicemente nascono da quello che hai voglia di suonare in quel momento.

(Per Mecna) Non a caso non ti senti un rapper e in un pezzo del disco lo canti “Io più che un rapper sono particolare, dentro le mie parole voglio farti nuotare…” e poi aggiungi, in un altro brano, “Non fare un disco se non stai soffrendo…”… ok, non mettiamo etichette, ma tutto ciò, soprattutto l’ultima frase molto alla Tenco, ti avvicina al cantautorato…

(M.) Sì, è da un po’ che mi dicono questa cosa del cantautorato e dalla famosa citazione di Tenco nasce proprio il pezzo che mi hai segnalato. Probabilmente sono più un cantautore, è vero, ma vado pazzo per i suoni urban e per le atmosfere che creano. Poi, certo, nella scrittura sono sempre molto introspettivo e questo mi riporta al cantautorato.

(Per Sick Luke) Come mi commenti questa nuova importanza riconosciuta – finalmente – ai producer?

(S.L) Era una situazione vergognosa quella del producer in Italia, io ho fatto me stesso, non ho creato un personaggio, eppure da me e da chi come me ha cominciato a fare un certo tipo di musica è partita la rivalutazione di questa figura. Da noi il producer era visto come il nerd che lavorava nell’angolo muffoso di una saletta, ora invece io sono una star.
(M.) Io ho sempre cercato di dare importanza ai miei producer, ma non è mai stata una cosa scontata. È vero quello che dice Luke, io da ascoltatore e da artista molto nerd mi vado sempre a cercare chi ha prodotto cosa, ma nell’ascoltatore medio questo meccanismo non si attiva quasi mai. Oggi, grazie a questa nuova importanza data ai producer, si creano delle connessioni super-stimolanti.

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