Un progetto partito con umiltà e voglia di affermarsi
di Alessio Boccali
Alberto Quartana nasce a Messina con la voglia matta di fare musica. La studia, la suona e oggi la produce con il progetto Leave Music, nato nel 2007 e negli anni affermatosi come una delle più grandi realtà italiane nel mondo della produzione discografica, management artistico e organizzazione di manifestazioni culturali. Nel loro roster figurano artisti del calibro di Alessandro Mannarino, Artù, Cassandra Raffaele, Tommaso Di Giulio, Yuman ecc.
Abbiamo avuto la fortuna di poter scambiare quattro chiacchiere con lui…
- Ciao Alberto, partiamo dalle origini. Da musicista a co-fondatore dell’etichetta Leave Music, come hai gestito questo passaggio?
Ciao ragazzi, guardate il passaggio è stato molto naturale. Nel corso della mia vita ho studiato per tanti anni musica, ho suonato in varie band, poi ho deciso di andare in America per un anno a fare un corso di specializzazione, dopo aver studiato per tre anni in un corso di armonia jazz con Filippo Daccò a Milano. L’esperienza americana mi ha formato non solo dal punto di vista musicale, ma anche e soprattutto da quello umano; lì ho visto che un musicista poteva essere anche altro: un produttore ad esempio. Tornai dall’America in fretta e furia a causa della chiamata per il servizio militare e così, dal paradiso americano, entrai capellone in una caserma militare di Taranto. Anche lì comunque sono riuscito a mettere su una piccola band e a suonare. Uscito di lì volevo subito mettermi al lavoro; Mi sono stanziato a Roma ed ho insegnato chitarra, ben presto però mi sono innamorato della produzione: ho cominciato ad arrangiare i pezzi dei miei allievi, tra questi tra l’altro c’era anche Artù, che ora è uno degli artisti della Leave Music.
- Che tipo di rapporto si instaura con gli artisti che producete: si parla solo di collaborazione lavorativa o di solito nasce anche un’amicizia?
Senza ombra di dubbio con l’artista si stringe un rapporto a 360°: tra il produttore e l’artista deve necessariamente esserci empatia. Quando scatta questo feeling si perde il confine tra lavoro e privato, quindi è fondamentale essere in sintonia con l’artista anche perché aiuta quest’ultimo a comprendere alcune scelte fatte dal produttore per il suo bene in quel momento; alla fine l’artista sta mettendo ciò che rappresenta la loro vita nelle mani del produttore, non è facile fidarsi. Sta al produttore essere bravo a rendersi affidabile.
- Come in ogni momento della storia musicale, anche oggi si ricerca maggiormente un determinato mood musicale. Quale pensi sia il mood di questi tempi e, soprattutto, tutti gli artisti che non entrano a far parte del cosiddetto “mondo mainstream” dove vanno a finire?
Beh sì, naturalmente da una parte c’è il mainstream che va per la maggiore e che ha bisogno del supporto dei media. Ecco perché molte major discografiche hanno deciso di affiancarsi a questi talent show che vanno tanto nel nostro paese; per loro è un canale comunicativo importantissimo. Dall’altra parte, invece, c’è tutto il mondo della musica indipendente, quel tipo di musica che in questo periodo storico è un po’ a cavallo tra il pop ed un sound più ricercato, ma che di fatto è pop se pensiamo, ad esempio, a Calcutta, ai Thegiornalisti, ai Cani ecc., artisti che vengono seguiti non solo per quello che suonano, ma anche per come appaiono, per come si propongono.
- A proposito di questo discorso sull’immagine. Una volta il videoclip che accompagnava una canzone non era così importante come oggi, anzi si badava più ai testi che spesso erano delle vere e proprie poesie. Oggi invece sembra che si pensi più all’orecchiabilità del testo e immediatamente alla sua trasposizione video. È davvero così?
Sì, di sicuro quello della visione è un tema molto importante nel panorama musicale di oggi. Io stesso, da produttore, quando mi approccio ad un artista per la prima volta tendo andare a guardare prima un suo video piuttosto che ascoltarmi un file della canzone. Così facendo ho un quadro più completo di chi è quest’artista. Se Fabrizio De André nascesse oggi farebbe molta fatica ad emergere perché il suo grande livello di scrittura non troverebbe oggi un pubblico altrettanto curioso. L’audience di oggi vuole testi più semplici ed immediati, insomma brani molto pop. Fondamentale poi, come dicevamo prima, è l’immagine, l’apparenza che deve scatenare la curiosità morbosa del pubblico 2.0. E questo è un male… non solo per la musica, ma anche per i rapporti sociali. Il mio compito da produttore sta però anche nel saper leggere questa situazione e trovare una via trasversale tra quello che succede e quello che vorrei succedesse, purché si punti al successo.
- Il “tuo” più grande artista ad oggi è Alessandro Mannarino, un cantautore che è uscito dall’indie per approdare al mainstream… a proposito, ci racconti come l’hai scoperto?
Sì è vero e quello che ha fatto Mannarino è un percorso al quale tutti devono ambire. Non bisogna essere schiavi del mainstream, ma è una grande opportunità per farsi ascoltare da tantissime persone. Certo, deve essere un percorso consapevole. Comunque con Alessandro è stato un colpo di fulmine: mi ha colpito la prima volta che l’ho visto suonare. Per studiarlo meglio l’ho fatto esibire al Foollyk, un locale romano del quale curavo la direzione artistica. In quel locale, facendo esibire tanti artisti emergenti, ho visto suonare tutta la realtà romana dell’epoca e Mannarino fu uno di quelli che mi sembrò immediatamente un artista vero, una novità bella forte. Cantò per prima “Il bar della rabbia” e subito mi colpì la forza di quello stornello rabbioso che sembrava quasi un rap… poi continuò con “Me so’ ‘mbriacato”, “Tevere Grand Hotel”, “Le cose perdute” e così mi innamorai perdutamente della sua musica.
- La Leave Music è nata nel 2007, un anno prima dell’inizio della crisi economica italiana, c’è voluta fortuna, ma anche tanto coraggio per scommettere su questo progetto ed uscirne vincitore… Lo rifaresti oggi?
Sì, io iniziai proprio da Mannarino e su di lui feci una grande scommessa. Presi un prestito in banca ed iniziai ad investire. Oggi il mercato discografico è ancor di più un mare magnum pieno di offerte, ma di sicuro lo rifarei, magari partendo dalla mia nuova scoperta Yuri Santos. Per fortuna poi sembra che lo Stato stia offrendo delle buone opportunità per la cultura. Certo, siamo ancora lontani dalla Francia che, per esempio, ha una soglia minima di passaggi radio per i suoi artisti nazionali… ecco, è forse la radio che ad oggi non si sta comportando molto bene con gli artisti italiani, soprattutto con gli emergenti, prediligendo invece la musica degli artisti stranieri. Ad oggi l’ascoltatore medio non si rende conto della bella musica che c’è in giro in Italia.
- Ultima domanda prima dei saluti. Il tuo è un progetto partito con umiltà, dal basso, che consiglio daresti quindi a chi vuole intraprendere lo stesso percorso di Leave Music?
Allora, innanzitutto una cosa assolutamente necessaria è tener conto dei rischi, che sono tantissimi. In seconda battuta bisogna capire se l’artista che hai tra le mani vale veramente questo grande investimento, sia per potenziale artistico che per personalità: tantissimi artisti hanno la passione, ma pochi hanno la razionalità per affermarsi. Infine ci vuole tanta, tanta, ma tanta fortuna.
- Perfetto Alberto, grazie mille per la chiacchierata… Vuoi dirci in chiusura cosa bolle in pentola?
Guardate, vi faccio soltanto un nome: Yuri Santos. Vedrete che tra un annetto inizierete già a sentirne parlare, ne sono convinto. Un saluto agli amici di MZK news e buon lavoro!