BELIZE

Musica zero belize
di Manuel Saad

GRAFFITI E’ IL SECONDO ALBUM DEI BELIZE.

LA BAND URBAN DI VARESE, E’ RIUSCITA A TROVARE UNA PROPRIA IDENTITA’ MUSICA- LE CHE VEDE IL CANTAUTORATO SPOSARSI CON L’ELETTRONICA. LA LORO MUSICA SI FA PORTAVOCE DI EMOZIONI ED ESPERIENZE CHE VEDONO LA “GIUNGLA CITTADINA” COME IMMAGINE. ABBIAMO RAGGIUNTO TELEFONICAMENTE, RICCARDO, VOCE E PENNA DEL GRUPPO.

Riccardo, la tua scrittura è molto introspettiva. Scrivendo, trovi dei bene ci “terapeutici”?

Avoglia! Tantissimo.. Uno sfogo

personale enorme che prima era più fare musica, mentre ora è più il testo. È proprio una cosa che quando ho inquadrato bene il concetto, sto proprio bene ed è la cosa che mi piace di più al mondo.

Il vostro linguaggio cantautorale ha trovato il suo spazio vitale con la musica elettronica. Quali sono i vostri riferimenti?

Quello da cui siam partiti, che poi ci ha spinto a fare il gruppo, è stato l’ascolto comune del disco “Entro- ducing…..” di Dj Shadow. Primo disco completamente campionato della storia. Ci siamo innamorati di questo disco e ci eravamo detti che volevamo fare delle cose del genere. Sulla parte dei testi, le influenze sono cambiate di anno in anno. All’inizio derivava molto dalla scuola romana tipo I Cani, poi si è spostato. Ascolto molto Lucio Dalla e la scena degli anni 90 come Verdena e Afterhours, che in questo disco la loro influenza, nel modo di scrivere, è tantissima.

Quello di cui raccontate è una giungla di cemento e strade. Perché proprio la città come scenografia per la vostra musica?

Esatto. È una grande scenogra a che ogni tanto viene anche romanzata ma l’idea di massima rimane comunque la nostra vera vita. Una vita fatta di bar, locali, lavoro, vi- deogiochi, fumetti, delusioni ecc. Cerchiamo di rendere la normalità di queste situazioni “poetiche”, in un certo senso. Rispetto a prima, ora si racconta molto più della città e dei suoi colori.

 

 

La copertina del disco è un bellissimo ossimoro. Fauci, simbolo di aggressività, e ori che rappresentano la calma. Perché?

Insieme ad Aloha Project, volevamo continuare il percorso che ave- vamo iniziato con l’EP “Replica”. Abbiamo notato che nel disco c’era un lato molto aggressivo e come hai detto tu volevamo rappresen- tare questi due concetti. Inizialmente era un cane, poi abbiamo tolto il muso ed è rimasto questo morso che in realtà potrebbe essere di qualunque cosa: un mostro, un alieno…

Una parola che riesca a descrivere “Spazioperso” e una “Graffiti”

“Spazioperso” lo vedo come un’inizio. Lo vedo come un qualcosa di

destabilizzante…

 

Potrebbe essere inteso come aprire gli occhi e vedersi spaesati, cercando di capire quale strada prendere?

Esatto, potrebbe essere un risveglio! “Graffiti” invece… cazzo, difficile questa! L’alba. Ho un rapporto strano con questo momento della giornata, perché quando la vivo la odio, ma allo stesso tempo il fatto di averla vissuta, mi piace tantissimo.

La lavorazione di quest’album, rispetto al precedente, come l’avete vissuta?

“Spazioperso” lo abbiamo fatto tutto da soli e molte cose le abbiamo imparate proprio in corso d’opera. Per l’EP, avendo più budget, abbiamo deciso di lavorare insieme a Giacomo Carlone e siamo sempre stati insieme confrontandoci molto. Abbiamo deciso di continuare la collaborazione anche con “Graffiti”, in stile “Beatles”: abbiamo lavorato tutti separati. A causa di tempisti- che brevi ed esigenze lavorative, non ci siamo quasi mai visti se non nei momenti di registrazione in studio. È stato strano perché, una volta nito, è come se il disco ci avesse ricongiunti tutti. C’è stato un atto di ducia, tra noi membri della band, molto alto rispetto a prima.

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