di Alessio Boccali
CAPAREZZA “Devi fare ciò che ti fa stare bene…”
C’era una volta Mikimix…
Metà anni ’90: 1995 per l’esattezza. Michele Salvemini, nato a Molfetta ventidue anni prima, inizia la sua carriera musicale componendo brani melodici, che non convincono pienamente la critica e il pubblico. Ciò nonostante, la stoffa dell’artista non manca e dopo un paio di fugaci partecipazioni a Sanremo Giovani nel ’95 e nel ’96 ed un programma musicale su Videomusic, arriva una terza partecipazione nella categoria Nuove Proposte, che smuove qualcosa nella testa di Michele. Quello che sale sul palco è un ragazzo magro, con i capelli molto corti e con un accento pugliese ben marcato; il brano che canta, “E la notte se ne va”, è una ninna nanna rap stra-melodica e sdolcinata, che sembra veramente non aver nulla da chiedere. Come da copione, il pezzo scivola nel dimenticato… eccezion fatta per i meandri del web, che purtroppo non nulla dimenticano.
…poi, finalmente, venne Caparezza.
«Egli fu Mikimix, cantante insignificante, dal cui autodisgusto nacque il sé stesso odierno.»
(Autodefinizione di Caparezza[6])
Dopo la pubblicazione di “La mia buona stella”, disco contenente anche il pezzo di Sanremo ’97, nella testa (e sulla testa) di Michele Salvemini qualcosa è definitivamente cambiato. Il ragazzo ha in mente un’altra idea di musica e sulla sua testa spunta una vaporosa acconciatura riccia accompagnata da un pizzetto nero. Da questo nuovo look nasce un singolare nome d’arte: Caparezza (letteralmente “testa riccia” in dialetto molfettese). Tra il 1998 e il 2000, la vena artistica del ragazzo di Molfetta inizia a colpire con dei colpi ben assestati pubblico e critica, che iniziano a prestare attenzione a questo alieno venuto dal sud o, chissà, forse dalla luna. E “Vengo dalla Luna” è proprio uno dei brani che contribuisce al grande successo del primo periodo “caparezziano”. Esce nel 2004 insieme ad un altro brano cult del Capa come “Jodellavitanonhocapitouncazzo” e mette di nuovo K.O. le classifiche italiane, già conquistate dal singolo “Fuori dal tunnel”, contenuto nello stesso disco “Verità supposte”, e pubblicato solo qualche mese prima. È Caparezza-mania: TV, radio, palazzetti e grandi palchi sono tutti ammaliati da un personaggio straordinario, ironico, intelligente e magnificamente popular. La sua musica è un pop-rap travolgente e mai banale, le sue rime fanno buon viso a cattivo gioco; sono tremendamente crude e reali eppure lasciano sempre il sorriso sulle labbra. Michele Salvemini aka Caparezza, ha ormai conquistato tutti e i dischi successivi – TUTTI – da “Habemus Capa”, il disco più critico riguardo al suo passato nelle vesti di Mikimix, al più colto “Museica”, passando per l’album fonoromanzo (una sorta di colonna sonora del libro “Saghe mentali. Viaggio allucinante in una testa di capa” scritto dall’artista stesso) intitolato “Le dimensioni del mio caos” e l’irriverente e, più che mai, attuale “Il sogno eretico”, sono dei grandissimi successi.
Michele, però, c’è sempre stato.
La storia di Michele Salvemini si potrebbe riassumere con la classica frase “Dalle stelle alle stalle”, ma si rischierebbe di rendere banale il tutto. La trasformazione operata dall’artista molfettese è frutto di una maturazione intelligente dovuta al suo amore per la musica e al forte bisogno di esprimersi attraverso questa, una maturazione che arriva a pieno compimento con il disco “Prisoner 709”, uscito a settembre e che rappresenta la summa delle esperienze artistiche e personali del Capa. Si tratta, infatti, di un disco maturo e molto riflessivo, ricco di quelle metafore semplici e, allo stesso tempo, intelligenti al quale il molfettese ci ha abituato, soprattutto, nella sua seconda vita artistica. Il tutto su una base rap, che ora, spesso e volentieri, strizza l’occhio al rock e mette a nudo il Caparezza più intimo: quello timido che deve fare i conti con l’acufene e che spesso soffre di claustrofobia a causa della gabbia di convenzioni sociali, all’interno della quale noi tutti viviamo.
Ah, a proposito di “Prisoner 709”…
In occasione del meet&greet di Michele Salvemini aka Caparezza alla Discoteca Laziale di Roma, ho scambiato quattro chiacchiere con lui a proposito di questo nuovo album e non solo…
Ciao Michele, partiamo subito dal titolo del nuovo album: “Prisoner 709”. Hai spiegato che quel numero per te rappresenta la dicotomia tra libertà (7 lettere) e prigionia (9 lettere), nella quale in mezzo c’è proprio questo disco (0 dalla forma a cerchio del CD). Possiamo dire che anche Michele (sempre 7 lettere) e Caparezza (sempre 9 lettere) sono per te libertà e prigionia?
Sì, anche se non si sa chi rappresenti la libertà e chi la prigionia. Sono due ruoli diversi che rispecchiano un rapporto conflittuale; ognuno ha un ruolo nella vita con il quale ha un rapporto un po’ conflittuale. Stesso discorso per quanto riguarda la musica, per la quale nutro un rapporto conflittuale appunto: odio e amore. La musica certe volte la detesto, però la amo anche immensamente.
Nel brano “Infinto” canti che “Solo accettando la finzione noi ritroveremo l’umanità…”. Cosa vuoi dire con questa frase?
Voglio dire che il mondo virtuale in fondo non è così male; la finzione restituisce umanità a questo mondo, ti mette in pace col mondo. Non amo molto le persone sincere quando devono dirti una cosa brutta. A volte bisogna capire che se ti fanno un regalo di compleanno che non ti piace e tu gli rispondi “Ah, che bello…” nella tua finzione stai regalando a chi ti ha fatto quel regalo un po’ di umanità. Poi l’arte in generale è finzione ed io ne sono innamorato. Pensaci, abbiamo la pretesa di essere veri in un mondo dove in fondo non c’è niente di vero.
I tuoi brani sono da sempre pieni di riferimenti e citazioni a personaggi e situazioni molto “popular”. Perché?
È la mia maniera per rendere più chiaro un concetto. Mi piace anche quando lo fanno gli altri; ad esempio mi piace che un film viva anche dopo la sua proiezione, ovvero che il film “ricominci” quando faccio le ricerche sui suoi personaggi ed interpreti, sul periodo storico nel quale è ambientato… così mi piace l’idea che ciò possa accadere anche per una canzone: non ho capito quella parola, non conosco quel personaggio e allora vado a cercarmeli. La canzone non rimane più dentro lo stereo, ma comincia a perdere rivoli.
Ultimamente sto leggendo “Come funziona la musica” di David Byrne e mi ha incuriosito molto la grande attenzione che il leader dei Talking Heads riserva al rapporto tra ambienti e musica. Per questo ti chiedo: quali sono i luoghi e i momenti adatti per ascoltare questo tuo nuovo album?
Ce l’ho anch’io quel libro, ma non sono ancora riuscito a leggerlo perché un po’ mi spaventa: mi sembra un libro di ragioneria (ride, ndr). Comunque, come faccio a non dirti “la cella”? No, a parte gli scherzi, in una cella metaforica, in una condizione di claustrofobia. In una situazione così acquisisce maggiore significato anche il pezzo sull’ora d’aria “Ti fa stare bene”. Questo per arrivare ad una malinconica accettazione e, magari, a quel passetto successivo, che purtroppo però potrebbe anche non arrivare mai: la liberazione.
Da mettere come citazione:
«Abbiamo la pretesa di essere veri in un mondo dove in fondo non c’è niente di vero.»