FABRIZIO MORO

Fabrizio-Moro

Parole, rumori e anni…

Riflessioni alla continua ricerca di soluzioni.

di Alessio Boccali

 

Un 2018 di successi vissuti sempre “on the road”, una carriera quasi ventennale, uno sguardo all’attualità e tanti aneddoti che mi piacerebbe riportarvi, ma che purtroppo non c’è spazio per raccontarvi tutti. Una chiacchierata piacevole all’interno di una sala registrazioni, tra una sigaretta, una risata e l’eco della “band del Moro” che, nell’altra sala, prova le strumentali per l’imminente ripresa del tour…

Ciao Fabrizio, partiamo dalle tappe più importanti di questo 2018 e andiamo a ritroso…
Se ti dico “Stadio Olimpico”…

Un’emozione che si metabolizza col tempo, ci vogliono un po’ di giorni per rendersi conto di ciò che è successo. È un po’ come quando diventi padre: l’emozione non la avverti nel momento stesso in cui nasce tuo figlio, ma lo farai strada facendo. Se ci pensi è così per tutte le cose della vita, le belle e le brutte. Le emozioni forti vanno metabolizzate nel tempo. Dopo l’Olimpico, comunque, è subentrata in me la consapevolezza definitiva che lavorando sodo, con un po’ di fortuna e qualche bell’incastro del destino, si possono realizzare cose che apparentemente sembravano impossibili. Ho sempre creduto in quello che facevo e continuo a farlo con passione e anche un po’ di incoscienza, vengo dal niente ed ho passato nel mio percorso dei momenti bui nei quali stavo quasi per mollare tutto, eppure ho tenuto – abbiamo tenuto – duro e sono riuscito a realizzare un grande sogno.

 

L’esperienza internazionale all’Eurofestival…

È una kermesse completamente diversa dal Festival di Sanremo, quando arrivi lì non ti conosce praticamente nessuno e tu, paradossalmente, ti senti più libero. È come la prima volta che suoni davanti ad un grande pubblico, devi dimostrare di saperci fare. Sono nuovi stimoli che ti fanno stare bene e ti spingono a fare sempre meglio. È stata dura: tante prove, tante alzatacce, dieci giorni di lavoro intenso che si sommavano alle fatiche di Sanremo e a quelle del tour precedente. Eppure, né io né Ermal ci siamo risparmiati ed entrambi lo rifaremmo anche domani. Quindi non escludo in futuro un tour internazionale…

Quasi 20 anni di carriera, 18 per l’esattezza, dal primo album in studio. Sei diventato maggiorenne...

(Ride, n.d.r.) Da piccolo sentivo tanti addetti ai lavori che parlavano dei big della musica e dicevano “Quello s’è montato la testa…”. In realtà, non è che ti monti la testa, è che più passa il tempo e meno compromessi riesci ad accettare. Quando sei giovane fatichi a raggiungere i tuoi obiettivi e sei disposto a fare le cose come ti dicono di fare per ottenere ciò che vuoi, anche a costo di parecchi sacrifici. Quando sei più grande scegli di decidere tu, non per arroganza, sia chiaro, bensì perché sei stanco, perché non vuoi più sottostare a nessuno.

Ritornando sul tuo duetto sanremese con Ermal, non so se hai avuto tempo di leggere della polemica tra Zucchero e Vasco proprio a proposito di questi…
Sì… a me piace duettare, per me la musica è comunicazione, qualsiasi tipo di comunicazione: tra me e il pubblico, tra me e te, tra me e un mio collega, ecc. Partendo da questo presupposto, la comunicazione serve a farti capire e a capire l’altro. Se tu conosci meglio l’altro, ti arricchisci. Il duetto con Curreri mi ha arricchito, quello con Ermal lo stesso… qualsiasi duetto che ho fatto mi ha arricchito e mi ha aiutato a comprendere i miei punti di forza e i miei limiti.

Giochiamo un po’ con i titoli di due tuoi pezzi. Ora che stai ottenendo “Tutto quello che volevi” è passata un po’ quella paura del futuro che cantavi in “Libero”?

Ho cambiato modo di affrontare la paura; prima mi sovrastava, ora ho un po’ meno punti interrogativi sul mio cammino, ma è giusto che ci siano sempre. Il progresso che tu compi da artista e da essere umano finirebbe se non ci fosse la paura. Se hai una sfida grande da affrontare è normale e giusto avere paura. Il mio film preferito è “Rocky” proprio perché rappresenta la metafora di chi cerca di intraprendere un percorso per raggiungere una mèta apparentemente irraggiungibile. Rocky è uno che ha incassato tanto, uno che ha avuto tanta paura, ma l’ha saputa gestire, fino a raggiungere il suo sogno. Questa è la metafora della vita.

In chiusura, ti chiedo un parere sulle ultime prese di posizione in campo politico di parecchi tuoi colleghi. Fabrizio Moro con le sue canzoni si è sempre schierato, non ha mai fatto finta di niente…

Ogni artista deve riuscire a fotografare il contesto storico nel quale vive. Anche tu quando scrivi cerchi di lasciare delle cose. Io mi sono sempre schierato, non perché sono più coraggioso degli altri, ma perché ho sempre sentito il bisogno di dire la mia. Sulla questione Cucchi, ad esempio, ho denunciato il fatto non perché sono migliore degli altri, ma perché io l’ho metabolizzata e poi ho reagito con la chitarra e con le mie parole. La prepotenza non mi è mai piaciuta, in nessuna situazione e in nessun campo. Questo per dirti che quando mi sono trovato davanti ad un sopruso commesso nei confronti di un ragazzo come me e te, che ha fatto le sue cazzate come le abbiamo fatte tutti, ma che ha pagato troppo caro per quello che ha fatto, mi sono sentito molto toccato. Avevo bisogno di fotografare ciò che era accaduto e conservarlo nel mio angolo di storia. “Fermi con le mani” è il pensiero di Fabrizio su quella determinata questione. Per quanto riguarda la politica in senso stretto, ogni problema andrebbe focalizzato per bene.

 

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Ogni volta che tu attacchi una presa di posizione contraria alla tua, devi proporre anche un’alternativa. Io non ero capace di farlo e col tempo sono riuscito a riconoscere i miei limiti. Mi piacerebbe che il mondo fosse equilibrato, che fossimo davvero tutti uguali, ma poi mi scontro continuamente con la realtà. La mia indole mi dice di voler credere in un mondo utopico, ma la parte pratica e razionale mi dice di rimanere realista e in questo momento io un’alternativa fattibile non ce l’ho. Parti dal presupposto poi, che se vuoi cambiare una cosa, un sistema, devi approfondirlo, devi conoscerlo dall’interno, rimboccarti le maniche e fare il tuo sempre. Questo per parlare un po’ anche delle mie scelte lavorative passate (la partecipazione in qualità di professore ad Amici, ad esempio, n.d.r.), avendo studiato quei determinati sistemi, ho avuto l’opportunità di dire la mia ad un maggior numero di persone, naturalmente sempre rimanendo fedele al mio pensiero. Parlare a vanvera è troppo semplice.

Bisogna agire concretamente. Con “Non mi avete fatto niente”, ad esempio, io ed Ermal abbiamo cantato una canzone contro la guerra ed abbiamo ricevuto parecchi diritti SIAE, mentre in Siria stanno morendo tantissimi innocenti. La cosa concreta qual è? Mettere quei soldi a disposizione di Emergency e fargli costruire un ospedale in quelle zone. Questa è una soluzione studiata perché solo facendo questa cosa mi sarei sentito nel giusto. Ho identificato un problema, ci ho riflettuto ed ho tentato di dare un’alternativa, anche se purtroppo non risolutiva. Solo così però posso sentirmi libero di dire la mia in merito. Siamo in un’ epoca di crisi peggiore di quella del dopoguerra, quando almeno c’era euforia e voglia di ricostruire e ripartire. Non dobbiamo adagiarci e vivere di frustrazione o di critiche a priori.

 

Non bisogna mai demordere, Rocky Balboa insegna. Puoi chiudere così il tuo articolo (ride, n.d.r.).