di Alessio Boccali
Ghemon è uno dei pezzi da 90 della cultura hip hop italiana. Le sue rime sono sempre profonde e curate al minimo dettaglio, il suo stile e la sua voce sono inconfondibili. Col suo ultimo disco “Mezzanotte” ha sviluppato all’ennesima potenza il suo concetto di “rivoluzione personale”, cantando la sua vita e le sue emozioni per superare i momenti no.
Partiamo dal tuo ultimo disco. Questo “Mezzanotte” suona proprio come un concept album sulla tua vita, sbaglio?
Sì, è un diario di quello che stavo vivendo. Ho utilizzato la musica per fare un reportage della mia vita, non pensavo nemmeno che ciò sarebbe potuto diventare un eventuale disco. Volevo solo trovare la quadra giusta musicalmente e intimamente.
Una scelta che segue il tour dei Dj set raccontati..
Lì spiegavo i miei ascolti e le mie influenze, quindi inevitabilmente preparavo il terreno per parlare di me e “Mezzanotte” è proprio il risultato di questo processo.
Hai uno stile molto ricercato nella scrittura, ma anche nei suoni; quanto ci è voluto per essere pienamente soddisfatto di questo tuo nuovo lavoro?
Quasi un anno, anche se prima c’è almeno un altro anno di preparazione in sala prove. Quello che facevamo durante le prove del tour di “Orchidee” era già propedeutico al nuovo disco; in ogni mio concerto, infatti, aggiungevo un qualcosa di nuovo, che poi mi è servito per “Mezzanotte”. Diciamo che quelle date sono state un laboratorio per nuove scoperte, per nuove canzoni.
Il tuo singolo “Un temporale” ha avuto fin dall’uscita un grandissimo successo ed ha calcato palchi, che magari non ti saresti mai aspettato, come quello del talent X-Factor. A proposito, che ne pensi dei talent?
Ho avuto modo di vedere dal vivo la macchina di X-Factor quando i Maneskin hanno coverizzato proprio “Un temporale” e mi ha fatto una buona impressione. Ho visto dare importanza alla musica. Bello sarebbe se i talenti usciti da quegli show fossero liberi dalla grande esposizione mediatica e da grandi pressioni. Per gli emergenti puri è tosta sopravvivere all’esplosione della bolla, entro la quale sei chiuso durante il programma tv.
Molti ti hanno “accusato” di aver fatto un disco meno pop rispetto al passato…
Non voglio sembrare naif, ma ho scelto di parlare di me e penso di essere abbastanza adulto per fare una scelta del genere riguardo alla mia musica. Penso ancora che se si rimane concentrati su sé stessi e si cerca sempre di migliorarsi, prima o poi il talento e la costanza verranno premiati. Credo ancora nel merito. Per adesso questa scelta sta ripagando e ne sono molto felice.
Il mio pezzo preferito del disco si chiama “Bellissimo”, in particolare mi ha colpito molto un verso che recita “L’indipendenza è una cosa, l’autonomia è ben altro”. Mi dai la tua interpretazione di questa frase?
C’è una fase della vita in cui si è ancora molto legati agli affetti, alle proprie radici, anche se magari vivi da solo o ti sei spostato in un’altra città. Sei ancora dipendente da tutto ciò. Sei sempre il figlio dei tuoi genitori, per capirci. Poi succede che diventi un individuo, punto e basta. Sei anche figlio, marito, amico, ok, ma sei autonomo e cominci a ragionare che devi ragionare su di te, che sei importante… Io credo finalmente di essere passato dall’altro lato della forza (ride, n.d.r.) e di essere totalmente autonomo.
In chiusura ti chiedo di commentare la tua partecipazione al festival di Sanremo con Diodato e Roy Paci…
Io e Diodato siamo amici e come per i Maneskin, anche qui c’è lo zampino degli Afterhours. Grazie ad un concerto organizzato da loro a L’Aquila, ho avuto il piacere di conoscere Diodato e siamo entrati subito in sintonia. Ci siamo incontrati spesso, lui mi ha anche invitato sul palco al Primo Maggio di Taranto di qualche tempo fa e poi verso l’inizio dell’anno mi ha chiamato per duettare con lui. Non mi importava di essere sul palco dell’Ariston, quanto invece mi importava di andarci con un pezzo bello ed in compagnia di un amico.