di Alessio Boccali
I Ministri sono tra le migliori espressioni del nostro rock contemporaneo. Da sempre schietti e diretti, con il loro sesto album “Fidatevi” rimangono ancora una volta fedeli alle loro sonorità gridando al mondo che anche se fidarsi spesso risulta stupido, resta l’unico modo per costruire qualcosa che conta.
Si è parlato di questo e di molto altro con Federico Dragogna, chitarrista e paroliere della band.
Ciao Federico, si dice “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, voi invece con questo disco andate controcorrente e urlate “Fidatevi”…
Sì, la cosa buffa è che, anche grazie all’uscita del singolo omonimo, questo “Fidatevi” è stato per- cepito come un messaggio; non sempre quando si dà il titolo ad un album ti viene da rispondergli, qui invece il pubblico l’ha inteso come una richiesta e in tanti hanno risposto di fidarsi di noi; ci è piaciuto molto questo impatto.
Avete definito il precedente album “il più onesto e sobrio”. Questo invece com’è?
Siamo arrivati a far questo perché ci sono stati tutti i precedenti. Soprattutto l’ultimo disco che è quello che ha avuto la ricezione più complicata. “Fidatevi” è l’album che più assomiglia a quello che avevamo in testa, non a caso una volta arrivati alla fase finale del disco, abbiamo ritoccato poco o niente. Non so se è il nostro disco più maturo, ma sicuramente lo siamo noi nelle nostre vite. Crescendo abbiamo imparato ad essere più sicuri di quello che facciamo ed in questo disco la cosa si percepisce.
C’è voluto più di un anno fuori dalle scene prima di tornare…
Un anno di pausa cerchiamo sempre di prendercelo. In quell’anno lontani dalle scene si torna nel mondo “normale”, dove la tua vanità/autostima non è corroborata dal pubblico. Spesso è molto difficile tornare. Molti pezzi parlano proprio dell’aver scelto di vivere di musica, ma di sentirsi ancora in difetto per questo. Questo perché si fa fatica a riconoscere il ruolo del musicista nella nostra società.
Nel nostro panorama musicale ultra-pop, quanto è difficile rimanere fedeli al rock?
È un rischio. Spesso ci definiscono vecchi, ma è la stessa cosa che ci dicevano anche agli inizi. Quando siamo “usciti”, i nostri discografici di allora volevano addirittura farci inserire delle sonorità dubstep nei nostri pezzi o farci fare dei duetti con dei rapper perché si trattava dei fenomeni del momento. Nonostante questo, non ce n’è mai importato nulla ed abbiamo continuato sulla nostra strada.
Sfrutto il tuo essere il paroliere principale dei Ministri e prendo spunto da “Spettri”, un brano del nuovo disco, per chiederti: quant’è difficile scrivere di questa realtà così irreale?
“Spettri” è un pezzo sulle paure che ci bloccano. Eppure, la paura è sempre irreale, è un sovradimensionare le cose. Mi sono accorto che il carattere irreale di tante cose che facciamo, come per esempio l’informarsi dai social network et similia, sta facendo crescere le nostre paure. Ora non dobbiamo più stare attenti a grandi malattie come cent’anni fa, ma siamo tutti vittime dell’ansia.
Un altro pezzo del nuovo disco, “Tienimi che ci perdiamo”, tratta d’amore, un tema poco affrontato dalla vostra band. Come mai ne parlate così poco?
Ho sempre visto l’amore come un sentimento sfuggente, è un po’ come l’orso sugli Appennini: “c’è perché ne vedi la cacca per terra, ma non lo vedi mai”. Una nuvola che se la guardi da lontano ha dei tratti ben netti, mentre da vicino è un gran casino. Molti nostri pezzi in realtà hanno come fine ultimo l’amore, solo che non sembra così perché si risolvono in un nulla di fatto, in una ricerca a vuoto.
Perché avete scelto lo squalo come immagine per il vostro “Fidatevi”?
Ci piaceva continuare questa cosa di avere degli animali in copertina come in passato, lo squalo è l’animale che è più lontano dal concetto di fiducia. L’elaborazione dell’immagine poi è molto efficace anche come espressione rock. Fidarsi spesso è una cosa stupida, ma è un concetto limite. Ha senso fidarsi solo di una cosa di cui non ha senso fidarsi; la fiducia richiede un salto, il correre un rischio.