CANTO LA SPERANZA CHE SCONFIGGE OGNI TRISTEZZA
di Alessio Boccali
Alessandro Mannarino è un Cantautore con la C maiuscola, uno di quei numeri dieci della musica italiana che unisce alla musicalità tanta sostanza.
Ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con lui nel momento clou del tour promozionale dell’album “Apriti Cielo”.
Ciao Alessandro, benvenuto sulle pagine di MZK news. Inizio dicendoti che di recente ho avuto il piacere di conoscere personalmente Alberto Quartana colui che è stata la tua prima guida nel mondo della discografia; com’è stato quest’incontro? Tu già suonavi, ma con lui e la sua Leave Music fu proprio amore a prima vista…
Sì guarda, io suonavo nei localini già da una decina di anni, lui l’ho incontrato a 28 anni. Avevo avuto già tante proposte discografiche, ma non mi fidavo perché temevo mi volessero portare lontano dalla mia idea di musica per avvicinarmi ad un mondo più forzatamente pop. Quando, subito dopo una mia esibizione, ho conosciuto Alberto invece ho percepito subito la sua passione per quello che facevo e mi ha lasciato carta bianca, mi ha dato tanta fiducia e mi ha presentato Tony Canto con il quale ho confezionato poi quattro dischi.
Come dicevi hai sempre basato la tua carriera sul contenuto dei tuo brani, senza mai essere pop a tutti i costi, eppure stai avendo un grandissimo successo. Come te la spieghi questa cosa?
Ti faccio una metafora; quando vai al mercato e compri una mela bella fuori, perfetta, ma poi l’assaggi e non sa di nulla, non ci ritorni da quel banco di frutta. Così la gente ha ascoltato il mio primo disco e, vedendo che c’era contenuto, ne ha comprato un altro e poi un altro e così via per- ché quella “frutta” era buona. Prima della pubblicità c’è la qualità della merce. Io ho sempre puntato alla sostanza ed ho fatto quello che avevo in testa; penso che la gente mi segua per questo.
Non mi piace fare paragoni, ma questo lo faccio perché sono sicuro ti farà piacere. In te rivedo quella ricerca e quell’interesse per gli ultimi che vedo nei testi di Fabrizio De André. Anche in “Apriti cielo”, ad esempio, tu canti “Apriti cielo su chi cammina solo…”
Ti premetto che per me l’arte in ogni sua forma è rapporto col potere ed espressione di libertà umana ed anche di ribellione. Gli “ultimi” nei miei dischi sono cambiati; nel “Bar Della Rabbia” erano persone che mi facevano compagnia nella bettola in una ribellione autoghettizzante. Piano piano però questi ultimi hanno alzato la testa e in Supersantos, ad esempio, trovi due donne forti come Maddalena e Mary Lou che si ribellano al potere sempre in nome della libertà e della ricerca della vera identità umana.
Nei tuoi testi sono presenti anche molti personaggi misteriosi, molto fiabeschi. Penso a Babalù, Deija…
Sì, la favola è uno strumento per racconta- re la realtà. Sono metafore che nascondono dei pensieri che non posso manifestare apertamente.
Arriviamo all’ultimo disco “Apriti Cielo”, un album pieno di suoni caldi e di temi tristi trattati con allegria, una scelta non nuova per la musica brasiliana, ma molto innovativa per la musica italiana.
Sì, di solito da noi l’armonia maggiore equivale all’allegria e l’armonia minore alla tristezza. In Brasile invece trattano questi temi struggenti, queste lamentazioni in maniera molto ritmata, con armonie bellissime. Nel disco ho scelto proprio di prendere in prestito questo modus operandi per sdoganare l’idea secondo la qua- le il cantautore per cantare cose tristi debba fare per forza una canzone buia, cupa. In questo modo voglio far vivere le storie che racconto con la speranza che ci viene trasmessa dalla vitalità delle musiche.
A proposito di speranza, il mio pezzo preferito del tuo ultimo cd è “Roma” e mi ha colpito molto il verso che fa “Ma come sei finita amor all’incontrario?”. Ecco, qual è la speranza per Roma secondo te?
La speranza è fare e vivere cose belle insieme. Quando passi una bella serata in allegria, in compagnia di gente, di musica, di arte… la mattina dopo ti svegli col sorriso. Questo ultimamente manca a Roma: servono politiche che facciano vivere la bellezza dell’incontro, dell’arte… magari all’aperto. C’è bisogno di condivisione di ciò che non è solo lavoro o solo razionale. Bisogna riempire la vita di emozioni. Bisognerebbe snellire tutte quelle pratiche e quelle tasse che riguardano il fare musica dal vivo; non puoi togliere ad un localino più di mille euro per far fare musica. La politica dovrebbe incoraggiare la musica dal vivo con, per esempio, degli sgravi fiscali, perché il bello fa sempre bene all’anima.
Passiamo agli aspetti un po’ più tecnici: l’incontro con uno dei più grandi sound engineer del mondo, Michael Brauer…
L’avevo ascoltato in un disco dei Calle 13 e mi piaceva molto il suono che aveva tirato fuori: colto, ma molto prodotto. Si sentiva che era compresso, ma non sentivi le macchine. Poi mi ha colpito molto il gusto con cui l’aveva fatto; come si dice a Roma, il disco “aveva la pompa, ma non era coatto” ed avevo apprezzato molto anche il suo lavoro con Angelique Kidjo. Solo quando ho deciso di contattarlo, ho scoperto che aveva lavorato con Bob Dylan, Coldplay ecc. Quando gli ho mandato la prima mail per farmi conoscere, con mio grande stupore, mi ha detto che già mi conosceva e che sarebbe stato felice di collaborare con me. Puoi capire tutto il mio entusiasmo in quei momenti, entusiasmo che si è leggermente spento quando io e il mio team abbiamo letto il preventivo del lavoro che Brauer avrebbe fatto. A quel punto abbia- mo pensato di a dare a Michael solo i tre singoli più “importanti” del disco. Michael però si era appassionato così tanto al disco che per pochi euro in più ci ha dato l’onore di pensare lui a tutto l’album. Considera poi che Brauer ha scritto anche una mail personale a Vincenzo Cavalli della Sonoria Studio Rec di Scordia (CT) ringraziandolo per quello che, a suo giudizio, è uno dei migliori lavori di recording sul quale abbia mai lavorato. Beh, questo per un artista appassionato, un artigiano di un paesino della Sicilia è stato un riconosci- mento enorme. E non è finita qui, Brauer si è offerto anche di far masterizzare l’album dal suo uomo di fiducia Joe LaPorta, un altro big internazionale che tra le altre cose ha masterizzato “Blackstar” di David Bowie.
Restiamo tra gli addetti ai lavori: l’unione artistica inscindibile con Tony Can- to…
Beh, sì Tony è un grande. Nel primo disco mi ha aiutato a fare chiarezza, a trovarne il suono ed è stato fondamentale. Man mano mi sono preso io più responsabilità e abbiamo prodotto insieme, con una squadra che funziona perché viaggia sulla stessa onda. Oramai ogni volta che vado in studio la prima cosa che faccio è chiamare Tony perché di lui ho una gran fiducia oltre che una grande stima artistica.
Caro Alessandro, grazie mille per la chiacchierata. Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì, ti doo una chicca. Per questo “Apriti Cielo” abbiamo registrato i cori brasiliani a Rio De Janeiro, mentre le percussioni le ha registrate a New York Mauro Refosco, un percussionista brasiliano che ha collaborato con David Byrne, con i Red Hot Chilli Peppers ed ora è in tour con me perché si è appassionato al disco. Insomma è un album che ha raggiunto pienamente anche quest’obiettivo che mi ero preposto: far incontrare Roma con Rio e anche un po’ con New York.