di Cristian Barba
MUSICA PER BAMBINI
Tarek Iurcich, in arte Rancore, è uno dei rapper più interessanti e complessi della scena italiana. Nato a Roma nel 1989 da padre croato e madre egiziana, è cresciuto al Tufello e ha iniziato il suo percorso da rapper a soli 14 anni. Il primo giugno è uscito Musica per bambini, il suo quinto album, che segna un’ulteriore fase di maturazione del suo hermetic hip-hop.
Ciao Tarek, Musica per bambini è il primo album in cui hai fatto tutto da solo. Dieci pezzi densi che portano solo la tua rma, nonostante il rapporto simbiotico avuto in passato con DJ Myke e tutte le importanti collaborazioni portate avanti negli ultimi anni. Com’è nata questa scelta?
Sicuramente questo disco è uno spartiacque tra tutto quello che è avvenuto prima e quello che avverrà dopo. Avevo l’esigenza di creare qualcosa che fosse completamente mio e da ciò deriva anche l’assenza di featuring. Ho deciso di essere sincero e semplice come un bambino, anche se riconosco che i testi abbiano un certo grado di complessità. Il risultato non posso essere io a giudicarlo e, credimi, no all’ultimo mese di produzione non ero neanche sicuro di arrivare alla ne perché non sono un produttore e, avendo imparato tantissimo da un grande produttore come DJ Myke, so quanto sia di cile produrre un disco. Alla ne ho costruito questa ‘cameretta’ dove i mostri che vedevo hanno iniziato a fuggire per le urla che tiravo su scrivendo Musica per bambini.
In Quando piove sembri liberarti de nitivamente da questi mostri, uscendo dalla foresta.
In un certo senso sì. Il tema principale dell’al bum è la non comunicazione con gli altri e il senso di alienazione e solitudine che ne deriva. Quando piove è un po’ il mito della caverna di Platone raccontato con la foresta. Una tribù vive dentro la foresta convinta che sotto gli alberi non piova, protetta da qualcosa di cui ha paura. Ma è una paura imposta, così un uomo decide di uscire dalla foresta, consapevole che nel momento in cui abbandonerà la foresta, la tribù non lo accetterà più, non lo comprenderà più. Però è proprio lì la sfida: per vedere un cielo sereno bisogna saper fare dei sacri ci e avere il coraggio di uscire dalla foresta, anche rischiando di prendere la pioggia di cui la tua tribù ha paura.
I mostri che vedevo hanno iniziato a fuggire per le urla che tiravo su»
Il rap in Italia sta cambiando, si sta rinnovando e fa numeri molto diversi rispetto a qualche anno fa. In Depressissimo scrivi che «la musica è libera quanto un’ora d’aria in carcere» e in Underman quasi rivendichi l’impronta poco commerciale dei tuoi lavori, de nendoli «musica che non vende, di certo non fa i milioni». Tu mantieni il tuo marchio di riconoscimento, ma come ti poni nei confronti di questa scena?
La risposta è nelle cose che faccio, al di là di quello che dico. Dai concerti per strada col megafono no a Musica per bambini. Posso dire all’in nito che questa è «musica che non vende», ma se l’ho detto è perché mentre scrivevo non avevo i soldi per la luce. Non voglio andare contro nessuno, semplicemente ritengo ingiusto che una persona lavori dalla mattina alla sera per anni e si ritrovi senza i soldi per la bolletta della luce. Il mio messaggio è in quello che faccio, nel mio tentativo di creare musica-specchio attraverso la quale ognuno può riconoscere lati di sé che magari prima non conosceva. Questo è un disco nel quale mi sono scoperto molto, è uno strip-tease dei sentimenti e spero che le persone abbiano il tempo di ascoltarlo con attenzione per capire che è un recipiente aperto. L’ermetismo è chiuso, ma è talmente chiu- so da diventare forse la cosa più aperta che c’è.