Deborah Iurato, perdersi per ritrovarsi e affermarsi come donna e come artista

Di Alessio Boccali

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Dopo tanta gavetta (televisiva e non) e la riscoperta del proprio essere artista attraverso una svolta stilistica emotiva e personale, Deborah Iurato è tornata con il singolo “Ma cosa vuoi?”. Grazie a questo brano la cantautrice di Ragusa ha scoperto il gusto di “perdersi per ritrovarsi”, di “non cercare a tutti i costi di liberarsi dal peso delle cose quando invece basterebbe solo seguire il ritmo giusto per vibrare”.
Proprio qualche giorno fa ho scambiato quattro chiacchiare con Deborah…

Ciao Deborah, innanzitutto, come nasce “Ma cosa vuoi?” e cosa significa questa nuova uscita per te?

Ciao! “Ma cosa vuoi?“  nasce in un momento particolare per tutti noi. Durante il lockdown ho iniziato a scrivere le mie canzoni e ho avuto modo di focalizzarmi a pieno sul mio progetto cantautorale: raccontando e raccontandomi con semplicità. Nel nuovo singolo parlo del conflitto tra uomo e donna, un vero e proprio tira e molla in cui anche chi ascolta si può rispecchiare. Mi piace pensare che nonostante i conflitti quotidiani quando si è davanti ad un vero sentimento tutto si superi.

C’è una nuova Deborah desiderosa di voltare pagina ora?

Era giunto il momento di una svolta stilistica, ne sentivo il bisogno e questo nuovo lavoro nasce in un momento molto particolare. In questo lungo periodo ho cercato e ricercato me stessa, provavo a scrivere qualcosa che mi appartenesse e sentivo il bisogno di trovare la mia dimensione dimenticandomi di tutto il resto.

Ti è mai capitato di sentire così tanto la pressione da parte di un qualsiasi ente esterno da arrivare a dire davvero “Ma cosa vuoi?” per affermare la tua libertà artistica?

A volte sì! Oggi scrivendo ho trovato serenità, ho cercato di seguire le mie emozioni durante la scrittura, e non c’è mai un momento specifico in cui “decido” di scrivere una canzone; ogni pezzo è frutto di un insieme di pensieri che racchiudono periodi della mia vita.

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Il sound di questo brano è molto radiofonico; hai dovuto trattenere un po’ la tua potenza vocale per adattarti al pezzo o sbaglio? Nel caso, sarebbe un segno di grande versatilità…

Sto sperimentando molto su me stessa e sul sound dei pezzi. Questo nuovo progetto è nato per caso, e non per l’esigenza specifica di rispondere al mood del mercato musicale attuale. Sto acquisendo una maggiore consapevolezza di me stessa come donna, e di conseguenza del mio essere artista, e vorrei che questo arrivasse al pubblico nella maniera più spontanea.

In parte del tuo cammino artistico ha avuto molta importanza la TV; in cosa pensi ti abbia fatto crescere maggiormente l’occhio della telecamera?

Sicuramente mi ha fatto crescere e prendere coscienza della donna che sono. Mi ha insegnato ad essere sempre me stessa.

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Hai una fanbase davvero molto nutrita; sei riuscita a mantenere un contatto con la tua “gente” anche durante questo periodo di lockdown e se sì come?

Assolutamente sì! Amo follemente le persone che mi seguono e vedere i loro sorrisi mi riempie sempre il cuore di gioia. Fortunatamente oggi abbiamo strumenti come i social network che ci permettono di stare vicini anche se lontani. Instagram durante il lockdown è stato il miglior mezzo di comunicazione che ci ha permesso di non sentirci soli.

Capitolo progetti futuri: immagino che il ritorno al live sia la cosa che aspetti con più trepidazione, oltre a questo, ci sono nuovi singoli o un album a bollire in pentola?

Spero presto di tornare su un palco e cantare… Quello che sono adesso lo devo al mio impegno e alla carica che mi danno tutte le persone che mi seguono, spero che questo in futuro non cambi mai. Sto lavorando molto al mio nuovo progetto e tutto sta nascendo pian piano come fosse un puzzle. Sto cercando di raccontare con semplicità tutto ciò che vivo quotidianamente facendo sì che vengano fuori tutte le sfaccettature del mio essere.

Martina Beltrami: “’Luci Accese’ è un brano decisamente importante per me”

Di Francesco Nuccitelli

Da Amici alle Luci Accese del suo ultimo brano uscito lo scorso 12 giugno. Martina Beltrami è stata tra le protagoniste dell’ultima edizione del talent targato Mediaset, ed è ormai pronta ad aprire le ali e aprirsi al mondo musicale, con il suo nuovo singolo. Dalle notevoli doti vocali, la giovanissima cantante di Rivoli si è raccontata in una bella chiacchierata:

Ciao Martina, come sta andando questo ritorno alla normalità?

Sta andando bene! In passato ho avuto già un periodo nel quale, per altri motivi, mi ero fatta una quarantena autoimposta. Quindi, quando mi sono ritrovata nel lockdown, per me non è stata una novità. In generale, le mie abitudini non sono cambiate tantissimo, però ritornare alla normalità dopo tutto questo brutto periodo fa piacere ed è quasi strano. C’è di buono che sono riuscita a gestire bene il lavoro, anche grazie al piccolo studio che ho a casa.

Cover Luci Accese

 

“Luci accese” è un brano che nasce da una sofferenza, ma qual è l’esigenza di raccontare un pezzo così personale?

Luci Accese” è un brano decisamente importante per me e nasce dall’esigenza di dover far uscire queste emozioni che avevo dentro, nate dalla fine della mia relazione più importante. Sentivo il bisogno di parlare, di raccontare, di sfogare e tirare fuori queste emozioni, anche se mi hanno fatto male. Questo pezzo farà anche da apripista al mio futuro album.

Quindi stai lavorando anche ad un disco, ci puoi dire già qualcosa?

Sì, sto lavorando ad altri brani e verso la fine dell’anno spero di riuscire a completare l’intero album. Sarà un lavoro molto complesso, anche perché ho bene in mente dove voglio indirizzarmi e come mi piacerebbe strutturare i pezzi. Adesso sta a me e al mio produttore (Emiliano Bassi ndr.) rendere al meglio ciò che sta nella mia testa. Non sarà un lavoro semplice (ride ndr.).

Come pensi che l’esperienza di Amici ti abbia formato?

Amici mi ha dato delle competenze che non avevo, poiché essendo autodidatta non avevo le basi di nulla. È stata un’esperienza importante sia a livello musicale che a livello personale e mi ha fatto capire cosa io volessi dalla mia musica. Amici mi ha aiutato moltissimo, anche perché lì ho fatto le mie prime lezioni di canto e mi sono affacciata ad un mondo che il giorno prima era sconosciuto per me.

Qual è il tuo rapporto con i fan?

Io ho un bellissimo rapporto con i fan. Questa quarantena mi ha aiutato ad avere un sacco di tempo da passare insieme a loro, anche se purtroppo, solo telematicamente.  Questo periodo mi ha aiutato a scoprire un sacco di cose del mio pubblico e anche di me stessa. A me fa piacere passare del tempo con loro e non lo vedo come un obbligo o una forzatura. Mi fa veramente piacere ricevere un feedback o un’opinione sul mio lavoro.

Qual è il consiglio che ti senti di dare ai ragazzi che vogliono partecipare ad un talent?

Il consiglio che do a tutti è di rimanere fedeli a se stessi e di non farsi prendere dall’entusiasmo del momento. Perché poi quando il talent finisce ti trovi a fare i conti con un’immagine che non rispecchia la tua persona. L’arma vincete è quella di rimanere sempre se stessi, poi puoi piacere o non piacere, questo fa parte del gioco, però così facendo non sbaglierai mai.

Quanto ti manca l’esibizione live?

Mancare forse è una parole grossa, Amici è stato il mio primo grande banco di prova anche nell’esibizione. Però sento la necessità di incontrare le persone che mi hanno seguito, e di voler cantare con loro i miei brani, ne sento proprio il bisogno. Non vedo l’ora di salire su un palco.

Giovanissima e con le idee chiare, ma c’è un sogno nel cassetto?

Il mio sogno è quello di far arrivare la mia musica a più persone possibili. Questo è da sempre il mio obiettivo. Vorrei che le persone si fermassero ad ascoltare quello che ho da raccontare nelle mie canzoni. Riuscire a farmi capire e a far capire la mia musica.

Martina Beltrami

 

Giulia Molino, una scugnizza fragile e passionale

Di Alessio Boccali

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Vivere tante belle emozioni durante un periodo universalmente triste non è mai facile. Giulia Molino, cantautrice e finalista nell’ultima edizione di “Amici di Maria De Filippi”, sta vivendo il suo successo in un turbinio di emozioni, ma in mezzo a questo caos, la sua anima da scugnizza fragile e passionale è riuscita poco tempo fa a dar vita a un bel brano omaggio al personale sanitario – composto da “eroi” che son prima di tutto “persone” -, che segue il suo album “Va tutto bene”, un lavoro tra il pop e il rap che ben la rappresenta. Ci siamo sentiti pochi giorni fa e questo è quello che è emerso dalla nostra chiacchierata:

Ciao Giulia, innanzitutto come stai?

Ciao Alessio! Sto bene, sono anche rientrata a casa mia da un paio di settimane, quindi ora posso dirti che, finalmente, va tutto bene.

Partiamo dal tuo ultimo singolo “Camice Bianco”: una dedica al personale sanitario che lotta tutti i giorni per la nostra salute e che in questo periodo è stato messo ancor più a dura prova dal coronavirus. Parli di loro come di eroi, ma anche e soprattutto come di persone…

Ho vissuto un periodo di grande angoscia. Durante il lockdown, nei due mesi in cui la pandemia si è fatta sentire con più forza, ero “protetta” dallo stare all’interno del programma “Amici”, ero quindi come schermata dalla realtà. Ricevevo notizie, sentivo i miei parenti, ma non vivevo la quotidianità. Una volta finito il programma, ho vissuto a Roma un paio di mesi e mi sono resa conto che davvero c’era stato un problema molto grande che non avevo vissuto appieno. In quei momenti ho visto e sentito addosso tutte quelle angosce che gli altri già stavano sopportando da tempo. Ho iniziato allora a documentarmi su com’era la situazione dal punto di vista sanitario e, durante le ricerche, mi sono imbattuta nell’intervista a un medico, il quale lamentava la mancanza di posti negli ospedali e affermava piangendo che, nonostante il grande impegno di tutto il mondo della medicina, questo virus stava portando via tantissime persone. In maniera particolare mi ha colpito la parte di quest’intervista nella quale il medico diceva che la domanda che riceva più spesso era “Quanto tempo mi rimane?”. A quel punto ho stoppato il video perché mi erano venuti i brividi. Quella domanda lì, però, me l’ero appuntata; mi ha fatto da subito pensare all’enorme fatica emotiva, oltre che fisica, alla quale sono sottoposti medici, infermieri e soccorritori. Da lì è nata “Camice Bianco”.

Il tuo album si intitola “Va tutto bene”, un’espressione che, soprattutto in momenti come questi, può fungere da incoraggiamento a tante persone, ma che spesso nasconde anche delle bugie. Che significato ha avuto nella tua vita questa espressione?

“Va tutto bene” è una frase che mi sono ritrovata a dire tante volte nella vita, anche quando ho fatto finta di star bene, ma non era così. Naturalmente, e per fortuna, ci sono tanti momenti in cui realmente stai bene e vivi la vita alla grande, ti senti al sicuro, al posto giusto nel momento giusto. Per questo mi ci ritrovo a 360° in questa espressione. Non mi è dispiaciuto, poi, che in questo periodo drammatico il mio “Va tutto bene” sia diventato per tante persone, che mi hanno anche contattata sui social, un incoraggiamento. Mi piace l’idea di essere riuscita ad abbracciare e a consolare tante persone con la mia musica.

A proposito di social e di seguito. Hai una fanbase di tutto rispetto che chiami “Scugnizzi”; ora non hai l’opportunità di incontrarli nei live o negli instore, però grazie al web riesci comunque a star loro vicina… come la vivi questa che comunque è una responsabilità?

All’inizio non era facile perché non ero abituata. Poi ho capito che se nella vita voglio fare musica e trasmettere dei messaggi è giusto che mi prenda tutte le responsabilità del caso. È capitato che alcuni ragazzi mi abbiano raccontato aspetti molto privati della loro vita e io non mi sia sentita all’altezza; mi vedono come un punto di riferimento, ma io sono la prima ad essere una persona fragile. Da “Amici”, però, ho imparato a credere un po’ di più in me stessa, e vedere che tante persone mi vedono come una persona forte con la quale confidarsi è una bella sensazione. Poi certo, non vedo l’ora di vederli e abbracciarli portando in giro la mia musica. “Chell’ è tutta ‘n’ata cosa…” e già da luglio potrebbero esserci delle sorprese…

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In tutti i testi dell’album c’è un TU al quale ti rivolgi. Ti sei mai sentita in dovere di dimostrare qualcosa a un qualsivoglia TU?

Più che un dovere, ho sentito forte il bisogno di liberarmi da tante cose. Una necessità tutta mia di parlare e di condividere delle emozioni che quel TU, bene o male che sia andato il rapporto con lui, mi ha fatto maturare. Scriverne, cantarne, mi ha fatto tanto bene.

Come dicevi prima, non è mai facile dire “Va tutto bene”. A tal proposito volevo parlare un po’ del tuo brano “Nietzsche”, un flusso di coscienza nel quale spieghi, appunto, quante volte è stato difficile dire che andava tutto bene…

Inizialmente ho pensato che questo brano potesse quasi stonare con il disco, però poi ho capito che non è così. Da quando mi sono aperta di più con il pubblico, ho ammesso che c’è una fragilità di base in me. Ho quindi voluto presentare me stessa al 100%, parlando a chi mi sta accanto e a chi mi ascolta con estrema sincerità. Sono molto emotiva, nella vita e di conseguenza nella musica, mi ha sempre contraddistinto la passionalità, il coinvolgimento con cui vivo ogni emozione.

Nella tua musica c’è una forte impronta rap che riesci a mixare bene al pop. Da dove nasce questo incontro?

Fortunatamente con la musica non è mai impossibile creare tantissimi incroci di generi; quello che sto cercando di fare è proprio unire i miei studi pop, R’n’B, soul che da sempre mettono in luce la mia passionalità, alla forza e alla schiettezza che riesco a dimostrare quando faccio rap. L’obiettivo che ho ben chiaro nella mente è preservare e alimentare continuamente una forza comunicativa. Spero di riuscirci sempre.

Parlando di passionalità, non possiamo non citare la tua amata terra. Sei nata a Torre Del Greco, hai vissuto tra Scafati e Napoli, insomma in te scorre sangue campano e questo si sente anche nella tua musica…

Sì, lo sento tutto il calore della mia terra e me lo porto sempre sul palco e quando scrivo. Ad “Amici” ho avuto l’onore di cantare pezzi della tradizione partenopea ed è stato molto emozionante. Sono molto fiera delle mie origini, è un regalo grandissimo per me l’essere figlia del Sud e del suo patrimonio artistico.

Ah, se possibile volevo aggiungere un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi supportano e, in particolare, alla mia grande famiglia di Isola degli Artisti e a Carlo Avarello, il mio produttore, ma per me anche un padre, un fratello, un confidente e un grande amico.

 

Francesco Bertoli: “Ora colgo l’attimo e sono libero di essere interamente me stesso”

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Di Alessio Boccali

Francesco Bertoli, milanese classe 1996 è amatissimo sui social ed è da poco uscito da un percorso televisivo importante ad Amici di Maria De Filippi. Il suo album d’esordio, intitolato “Carpe Diem”, è fuori da circa un mese e contiene 10 tracce di cui 2 cover eseguite durante il percorso nel talent (“Roxanne” e “Io Che Amo Solo Te”) e un brano autobiografico “Buio Pesto”, relativo alla sua infanzia e adolescenza. Abbiamo parlato di questo esordio, del suo passato da membro di una band e di tanto altro proprio pochi giorni fa…

Ciao Francesco, innanzitutto come stai? Che effetto fa pensare che la tua musica possa essere vicina a tanta gente tramite le radio o il web in questi giorni di quarantena?

Ciao, per fortuna sto bene. Sono in campagna a suonare e a scrivere. Eh, fa un bell’effetto, sono contento di poter partecipare all’intrattenimento delle persone che ora sono a casa.

Parliamo del tuo ultimo singolo estratto dal disco uscito il 27 marzo. Innanzitutto, si intitola “La mia città” e io so che sei nato a Milano… la frase chiave che rivolgi alla ragazza del brano è “Tu mi ricordi la mia città”. Mi spieghi meglio questo concetto?  

“La mia città” è una dedica d’amore, volevo esprimere esattamente il senso di essere a casa, di appartenenza. La mia città è Milano e la amo tanto.

Nello stesso brano canti il “vento in faccia, le serate in piazza con la musica e la strada percorsa per il mare”. Oggi queste parole hanno una duplice valenza, le ascoltiamo con amor di nostalgia, ma anche con un po’ di dolore per la libertà che in questi mesi abbiamo perso e dovremo faticare per recuperare… A proposito di questo, ci sono sicuramente cose più importanti alle quali pensare in questo momento, ma bisogna prendere atto del fatto che la situazione dei live musicali è drammaticamente incerta. Ti spaventa un po’ non poter portare subito in giro i tuoi pezzi?

No, è una situazione difficile per tutti noi artisti, ovviamente vorrei essere ovunque a cantare le mie canzoni, purtroppo la situazione è questa, ma sono fiducioso che in futuro ci sarà occasione. Non mi perdo d’animo insomma.

 

Parliamo un po’ del disco; quanto è importante per te quel “CARPE DIEM” che dà il titolo all’album. Ad Amici ti abbiamo conosciuto come una persona molto umile e abbastanza riservata. Innanzitutto, come definiresti il tuo percorso nel talent e poi, ed è questa la vera domanda, è stato difficile “donare al pubblico” il tuo pezzo autobiografico “Buio Pesto”?

Di solito sono uno che pensa troppo e non si gode appieno le cose, “CARPE DIEM” è un’esortazione che faccio a me stesso per godermi meglio la vita. Credo di aver fatto un bel percorso all’interno del programma, personalmente so di essere cresciuto ogni giorno sempre di più da tanti punti di vista; a volte il mio essere riservato e la mia gentilezza sono stati visti come un limite o una debolezza. Mi spiace che sia stato percepito questo perché penso che non lo siano e che sia semplicemente aspetti del mio carattere. Per quanto riguarda “Buio pesto”, ti dico che all’inizio mi emozionava molto, era come cantare nudo… poi ho imparato a controllare quell’emozione e a donarmi.

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Facciamo un piccolo tuffo nel passato per tornare al presente. Nella tua gavetta c’è un’esperienza di band con i Jarvis; com’è stato passare ad essere un solista?

Sono uno che ama fare le cose insieme agli altri, e per questo motivo ho sempre amato il concetto di band, però sono prima di tutto una persona libera a cui non si possono mettere troppi paletti. Avevo bisogno di esprimermi al 100% e purtroppo in un gruppo composto da 4 persone è spesso difficile. Ora sono libero di essere interamente me stesso.

Prima di concludere, dimmi i tre brani che stai ascoltando maggiormente in questi giorni di lockdown. 

“Say so” di Doja cat, “One last cry” di Brian Mcknight e “Per due che come noi” di Brunori SAS.

Domanda  per sdrammatizzare la situazione e chiudere sempre col sorriso questa nostra chiacchierata: visto che ne parli anche in un tuo pezzo, manca tanto anche a te il McDonald’s?

Sì, da impazzire! (ride, n.d.r.) Non vedo l’ora di tornarci a mezzanotte dopo una serata di divertimento insieme ai miei amici!

Gaia: “Sono felice che la mia musica possa star vicino a molti in questo momento”

Di Alessio BoccaliGaia_cover

Gaia Gozzi è una giovanissima cantautrice che ha conquistato pubblico e critica durante il suo vittorio percorso nell’ultima edizione di Amici di Maria De Filippi. Artista versatile e col sangue fifty-fifty, mezzo brasiliano e mezzo italiano, ha da poco donato al pubblico il suo album “Genesi”, un pieno di ritmi latini contraddistinti non solo dalla voglia di ballare che trasmettono, ma anche da una forte componente comunicativa che rispecchia pienamente la necessità espressiva di Gaia. 

Ciao Gaia, come stai? Com’è stato il ritorno alla normalità che, purtroppo, non è tanto normalità?

Ciao Alessio, sì, stiamo vivendo una normalità apparente, strana. Io sto bene, sono veramente felice. Questo è un momento molto fortunato per me. Poi ovviamente c’è anche quella parte di me che è intristita dalla situazione, un po’ preoccupata… però cerco di concentrare i miei pensieri e le mie energie in qualcosa di positivo mentre aspetto che tutto passi.

Genesi ha esordito con il botto, non potrai cantarlo subito nei live magari, ma molti pezzi sono già delle hit radiofoniche e altri lo saranno. In un periodo come questo arriverai ad ancor più persone e aiuterai “a distrarli” con i tuoi ritmi da club mixati al sound brasiliano… la vivi come una responsabilità?

Sì, è una grande opportunità, ma anche una grossa responsabilità. In questo momento la musica è fondamentale: tutte le persone che fanno musica o un qualsiasi cosa di artistico hanno il dovere di tirare su gli animi, di far pensare a un futuro più luminoso dei giorni che stiamo vivendo. Per i risultati sono molto contenta, ma soprattutto se raggiungono questo obiettivo di far star meglio le persone in questo momento. Non riuscirei ad esultare per dei numeri se la mia musica non avesse un’utilità “sociale”.

Torno alle virgolette di prima, i brani sono tutti “allegri” dal punto di vista sonoro, ritmati, ma in realtà tratti di temi neint’affatto leggeri come “Chega” che può esser letto anche come un inno femminista o comunque un augurio alle donne ferite di rialzarsi…

Ho sempre difeso a spada tratta la musica che ti fa ballare. Se lavori con quel genere di suoni non significa che non puoi scrivere di un qualcosa che non sia muovere il sedere o far festa. La mia esigenza è quella di portare i beat che fanno parte delle mie origini brasiliane; ho portato della bossa nova, ho composto su ritmi incalzanti, però con dei testi che rappresentassero la mia esigenza comunicativa. Come hai detto tu, “Chega” ha un tema di sorellanza rosa che si concretizza in un invito ad uscire da quella zona di limbo che non ti fa star bene per cercare la serenità. E questo può avvenire in una relazione, come nel lavoro o anche con noi stessi.

Per quanto riguarda il sound di Genesi, come dici tu questi ritmi li hai nel sangue nel vero senso della parola, ma ti sei dimostrata pienamente a tuo agio anche in cover di pezzi dal mood decisamente differente. Quanto studio c’è dietro a questa versatilità?

In realtà, ho iniziato a studiare canto all’interno della scuola di Amici (ride, n.d.r.). Ho sempre fatto da me, scrivevo le mie cose in cameretta e solo nel post XFactor ho cominciato a scrivere tantissimo. Da sola, ma soprattutto con altri autori, che, con le loro collaborazioni, mi hanno aiutata a comprendere la mia identità artistica. Per quanto riguarda la versatilità, innanzitutto ti ringrazio per il complimento. Credo che possa essere frutto del fatto che non mi spaventa camminare fuori dal tracciato ed interpretare le cose a modo mio. Ho cantato capolavori di Dalla, Celentano o Tenco certamente lontani da me, ma la cosa bella è stata riarrangiarli e cantarli con il mio approccio vocale. Se li avessi cantati alla loro maniera non avrebbe avuto senso e non avrei rispettato la storia di quei brani.

Vista questa risposta e visto che nel disco ci sono anche pezzi in italiano, possiamo dire che la paura del cantare in italiano è quindi definitivamente superata?

C’è stato un processo. Quando mi chiedevano di cantare in italiano, io quasi per ribellione non lo facevo. Quando invece è partita da me questa esigenza, ho capito che il cantare in italiano non è assolutamente una paura. Ora sto continuando a scrivere in portoghese e in italiano. Come sono io, 50 e 50, così è la mia musica. L’italiano doveva solo avere il suo tempo.

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A proposito di questo, immagino che lavorare con un pool di autori come Di Martino, Pulli, Romitelli e altri… ti abbia aiutato.

Sicuramente, è stato bellissimo collaborare con tutti loro. Si è creata una vera e propria sintonia relazionale e questo ha portato ad un progetto come “Genesi” che è figlio di persone che vogliono fare musica con il cuore.

Nella spiegazione dei tuoi brani ho trovato tante volte la parola deserto riferita alla città di Milano, ma forse anche un po’ a determinati momenti della tua vita, e anche una sensazione di solitudine per esempio in “What I say”, mentre poi per “Stanza 309” parli di aver scoperto l’energia della condivisione e in “Chega” canti che non vale niente avere soldi per vivere soli, senza pace e senza amore. È questa ora la chiave della tua felicità?

Assolutamente sì. Nella mia giovane adolescenza son stata una ragazza molto timida, spesso sulle mie. Non penso però che quello fosse il mio modo di essere, piuttosto credo che fosse il timore di essere giudicata come persona e non solo come artista a frenarmi. Questa cosa è cambiata tantissimo quando ho iniziato a relazionarmi con più persone, ad uscire dalla mia zona di comfort, a viaggiare… A diciassette anni ho vissuto un anno e mezzo negli Stati Uniti e quello mi ha aiutato tantissimo ad aprirmi e a trovare chi fossi veramente a livello caratteriale. La condivisione è diventata ed è tutt’ora fondamentale per me.

E questa voglia di condivisione è quella che ti ha anche aiutata a riprovarci, a rimetterti in gioco dopo X Factor?

Sì, ho fatto X Factor a diciotto anni. Uscivo dalla mia cameretta, tanti miei amici non sapevano nemmeno che cantassi. Non c’era stato il momento “gavetta”. La gavetta l’ho fatta dopo e mi è servita tantissimo. Senza quel periodo di scrittura e ricerca non sarei quella che sono oggi. Anche con “Genesi” non voglio dire che riparto da zero dimenticando il passato. Non sono arrabbiata per il mio periodo di pausa, non rinnego il mio primo percorso televisivo, anzi, sono grata a tutto quello che mi è successo perché mi ha dato la possibilità di esperire e scrivere i miei pezzi.

Giochino molto in voga in questi giorni che abbiamo chiamato prima di “normalità apparente”. Tre brani che consigli di ascoltare per riempire le giornate:

Ultimamente sto ascoltando tanto “Giornate Vuote” di FRENETIK & ORANG3 e Gemitaiz, poi “Cellophane” di FKA twigs e “Slow Up” di Jacob Banks.

Perfetto, grazie Gaia. Vuoi aggiungere qualcosa?

Innanzitutto, ti ringrazio, mi hai fatto domande interessanti, mi hai messo a mio agio nel risponderti – e per questo ti ringrazio ancor di più – voglio solo aggiungere che questa situazione non è facile per nessuno, che dobbiamo stare a casa per tornare alla normalità il prima possibile e per tornare anche a fare concerti. Non vedo l’ora di portare la mia musica nei live! STAY HOME! Mi raccomando.

 

Manuel Aspidi: “Let out this light? Mi sono sentito onorato, ma con una responsabilità non indifferente”

 Di Francesco Nuccitelli

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Un progetto dal sapore internazionale e che arriva dopo anni di gavetta conditi da diverse partecipazioni televisive attraverso due talent (Amici e The Voice). Manuel Aspidi, nella sua grande umiltà è pronto per il salto di qualità e il suo “Libero (I’m free)” è la dimostrazione di una crescita costante, di una consapevolezza sempre maggiore e con uno sguardo all’estero. Lo abbiamo raggiunto per una piacevole chiacchierata, tra i grandi risultati in termini di views, la collaborazione con i Dire Straits e il tour che partirà a gennaio:

“Let out this light” è il tuo ultimo singolo internazionale. Cosa ci puoi raccontare di questo brano?

Questo brano è stato scritto da Julian Hilton, uno degli autori di Robbie Williams e collaboratore di Trevor Horn. Con Hilton ci siamo conosciuti a Roma, durante una cena dove ero con la mia produzione e dove era presente anche lui. Nel corso della serata ci siamo messi a parlare di musica e del mio percorso artistico, così ho chiesto ad Hilton se, una volta rientrato a Londra mi avrebbe potuto inviare qualcosa da ascoltare. Qualche giorno dopo mi sono arrivati i brani “Un angelo per me”, che ho subito inserito all’interno del disco e poi “Let out this light”. Quest’ultimo è un brano che per anni è rimasto nel cassetto e Julian ha voluto che lo interpretassi per questo progetto. Lì mi sono sentito onorato, ma con una responsabilità non indifferente. Siamo tutti felicissimi per il risultato finale, che fortunatamente sta avendo molto successo anche all’estero.

Invece, del progetto intero che prende il titolo di “Libero (I’m free)” e che vede grandi collaborazioni al suo interno cosa ci puoi dire?

Il disco è stato prodotto dai “Dire Straits” Phil e Alan (Phil Palmer e Alan Clark ndr) che si sono messi al lavoro con tanto amore e rispetto nei miei confronti. Veramente una cosa incredibile. Un lavoro enorme per far sì che il progetto girasse nel modo migliore possibile. L’album è stato scritto praticamente da loro tre (Palmer, Clark e Hilton ndr) e anche da Numa Palmer, la mia direttrice artistica che ha coordinato e realizzato tutto. Anche perché i brani ci arrivavano in lingua e noi non dovevamo solo tradurli, ma in alcuni casi riscriverli del tutto e adattarli alle tematiche scelte. Come è successo per “Un angelo per me” che ho dedicato a mia nonna o proprio del brano “Libero (I’m free)” che apre questo progetto.

Più di due milione di visualizzazioni su Youtube, ottimi risultati anche in streaming su spotify e nelle classifiche americane. Ti aspettavi un risultato del genere?

A distanza di diversi anni (dall’edizione di Amici del 2006) vedere un riscontro così grande, positivo e immenso, mi ha un po’ scombussolato. Questo grande successo all’estero mi ha meravigliato, comunque in Italia ho la mia fan base che mi sostiene da molto tempo. Però devo ammetterlo, il successo all’estero mi ha lasciato interdetto. Mi sento un pesce fuor d’acqua.

Amici del 2006, The Voice del 2016, quanto sono state importanti questi talent per diventare il Manuel Aspidi di oggi?

Amici 2006 è stato il mio trampolino di lancio, quello che mi ha permesso di muovere i veri passi nel mondo della musica e farmi conoscere al grande pubblico. Poi il programma è un’arma da guerra. Ogni cosa che tocca Maria (De Filippi ndr) fa successo. Quell’anno ricordo che fu un successo enorme, il più seguito e andò benissimo. La visibilità è stata tanta e a livello di esposizione siamo stati veramente fortunati. Poi dopo amici c’è stato tutto un percorso che avviene grazie all’esperienza televisiva. Naturalmente arriva poi un momento della tua vita dove devi anche capire cosa fare. Io come ogni artista sono un po’ folle e mi sono detto: “perché non riprovare l’onda d’urto del talent?” Così ho deciso di partecipare a The Voice Of Italy 2016. Quella è stata un’esperienza totalmente diversa da Amici, però è comunque un talent che ti scombussola e ti reindirizza verso un percorso preciso.

Per il tuo timbro vocale e per la tua personalità preferisci cantare in italiano o in inglese?

Io amo cantare in italiano perché sono molto patriottico, amo l’Italia e amo il mio paese, nonostante ci siano delle cose che non condivido per alcuni meccanismi. Però quello che sento più vicino a me è cantare in inglese. Da piccolo ascoltavo Stevie Wonder e cantavo le sue canzoni. Sono cresciuto con la black music. Inoltre, ringrazio tantissimo la mia produzione, perché mi ha lasciato una grande libertà di espressione.

A cosa ti riferisci quando dici che ci sono dei meccanismi che non condividi?

In Italia purtroppo va avanti chi ha più santi. In America le cose funzionano se c’è meritocrazia. Qua anche solo per essere ascoltato devi pregare ogni santo possibile. Laggiù ad esempio hanno parlato di me e della mia voce, non di chi ho dietro. Hanno parlato di chi sono io come artista, di chi sono come cantante, del mio background, della canzone e della mia voce. Qua per andare avanti devi avere qualcuno alle spalle (come ad esempio i “Dire Straits” ndr) da poter far parlare e a quel punto vieni ascoltato. Là invece non funziona così, c’è meritocrazia e se hai talento vai avanti.

Com’è essere libero per Manuel Aspidi?

Sicuramente cantare! In assoluto è la prima cosa, io quando canto sono la persona più felice del mondo. Quando canto mi sento completo a 360 gradi. Uno potrebbe dire che sono frasi fatte ma non è così. Io canto da quando sono piccolo, ho iniziato a capire che amavo cantare all’età di 6 anni con le canzoni della Disney. Quando canto mi sento libero da ogni problema, pregiudizio mentale, vincolo o barriera. Mi sento me stesso. Mi sento libero da quelle esperienze che non sono state molto positive, ma che adesso fanno parte del mio passato. Ora sto con la testa verso il futuro.

MANUEL ASPIDI

A gennaio partirà il tuo prossimo tour e vedrà in Livorno la città di partenza. Cosa ci puoi anticipare di questo tour?

Partirà il 31 gennaio al teatro Goldoni di Livorno. Sarà uno spettacolo dove io canterò tutti i pezzi del mio disco e ripercorrerò anche il mio passato. Canterò anche i brani che hanno fatto la mia storia artistica. Ci saranno molte sorprese che adesso non posso però dire. Non vedo l’ora che sia il 31 gennaio per poter cantare nella mia città natale.

Inoltre, questo tour avrà anche uno scopo benefico. Una raccolta fondi per una giusta causa, di cosa si tratta?

Sì, c’è uno scopo benefico in questo tour, poiché in ogni data farò una raccolta fondi per Jo, una bambina livornese che deve essere operata al pala-institute in Florida, per tornare a camminare. Visto che per queste strutture ci sono dei costi non indifferenti ho pensato che attraverso il mio tour potevo fare qualcosa per aiutarla.

Grandi I numeri in costante aggiornamento per Manuel Aspidi: Global Top 200 Airplay Chart nella DRT, posizione 47 della Top 50 Adult Contemporary Airplay Chart e alla posizione 29 della DRT Global Top 150 Indipendent Airplay Chart. Il video conta oltre 2 MILIONI di visualizzazioni youtube ed è in rotazione su MTV USA e in 750 emittenti mondiali e di recente anche su Music Choise.

Federico Baroni: Non pensarci? È un disco molto vero e molto personale

 

Di Francesco Nuccitelli

FEDERICO BARONI_cover_NON PENSARCI“Non pensarci” (Artist First) è il primo album del cantautore e busker romagnolo Federico Baroni. Il disco, che al suo interno presenta 9 brani è il riassunto della sua vita. Un progetto personale che vede Baroni raccontarsi e raccontarci tutte le sfaccettature della sua giovane vita. In attesa del suo street tour e dei vari impegni estivi, noi di MZKnews – Musica ZeroKm lo abbiamo raggiunto per una bella chiacchierata:

Ciao Federico, grazie per questa intervista. “Non pensarci” è il titolo del tuo progetto, ma cosa ci puoi raccontare di questo tuo album d’esordio?

Sì, questo è il mio primissimo disco e farlo è stata un’emozione pazzesca. Sicuramente verranno altri dischi e altre canzoni, ma è il primo progetto e non me lo dimenticherò mai. È un disco che al suo interno contiene 9 pezzi che ho scritto in questi 5/6 anni, il tema predominante è l’amore in tutte le sue declinazioni e in tutte le sue sfaccettature (come l’amore per un’altra persona, per il viaggio, per la famiglia ecc.), è un disco molto vero e molto personale. Il mio obiettivo è quello di far arrivare a tutti le emozioni di questo disco.

Quanto è personale per te questo album?

Sono tutti brani autobiografici. Tutte esperienze che ho vissuto in prima persona. Anche il titolo “Non pensarci” è legato ad una storia importante e così anche le altre canzoni. Come ad esempio “Spiegami”, “Profumo” o anche “Mamma tutto ok” in particolare questa, è una canzone che ho scritto nel periodo di transito tra lo studio e la musica, una canzone che può sembrare leggera, ma che invece nasconde un aspetto nostalgico per me importante. Poi c’è il brano “Londra” che racconta la tematica del viaggio e che può dare l’impressione di una canzone d’amore, poiché ho descritto Londra come una donna che cambia e non sa mai cosa vuole, poiché Londra è una città imprevedibile. C’è una canzone all’interno del disco che si chiama “Diverso”, in questo brano ho affrontato una tematica importante come quella dell’omosessualità e anche lì la storia è molto personale perché ho raccontato lo sfogo di un amico che si è confidato con me. L’album è molto personale, perché queste 9 canzoni scelte erano tutte collegate tra loro per il percorso, le tematiche, ma anche per il sound.

Se non sbaglio ti sei approcciato tardi alla musica. Quando è nato in te il bisogno di comunicare con la musica?

Sì, mi sono approcciato molto tardi alla musica, ho iniziato a suonare a vent’anni circa. Prima lavoravo nelle discoteche e quindi ero molto lontano dal mondo musicale. Quando sono arrivato a Roma per studiare non ascoltavo niente, ero proprio ignorante da quel punto di vista. Una volta però, un mio amico per gioco mi ha detto: “guarda dovresti prendere delle lezioni di canto”. Così ho iniziato a fare canto e a suonare. Ho dovuto recuperare tanto tempo e ho potuto farlo grazie al fatto di suonare per strada, dove ogni giorno avevo un palco per migliorarmi e per farmi conoscere. Ho finito gli studi e mi sono laureato sia nella triennale, in economia e management e sia nel master per diventare manager musicale. Perché mi è sempre piaciuto gestirmi tutto da solo. Oggi che sono arrivati dei numeri importanti (Per quanto riguarda le vendite e per i social ndr.) posso vivere di sola musica. Confesso che fino a qualche mese fa era molto difficile.

Come sei cambiato dai talent (“Amici” e “X-Factor”) all’album “Non pensarci”?

Sono cambiato molto perché nella mia prima partecipazione ad un talent ero molto immaturo, non avevo mai arrangiato un pezzo in studio, non avevo mai lavorato con dei professionisti e prima avevo sempre fatto tutto da solo. Queste partecipazioni mi sono state utili perché i “no” che ho ricevuto mi hanno fatto crescere e ho avuto la possibilità di arrivare ad un pubblico più vasto. Anche se certe critiche riguardavano il numero di like nei social o il mio personaggio… certo però che il talent deve essere un punto di partenza e mai un punto di arrivo. Dopo devi continuare con un bel progetto, perché se no duri poco fuori. Proprio per questo la fiducia della mia etichetta, una volta uscito dal talent è stata fondamentale per me.

Sei molto amato sui social, questa cosa la vedi come una responsabilità verso i più giovani?

È una bella responsabilità, tuttavia non è solo del cantante, dell’attore o del vip di turno, ma è di chiunque attraverso i social riesce ad ottenere dei numeri di seguaci o like importanti e quindi arrivare a tante persone. Il messaggio che cerco di mandare lo mando attraverso le canzoni, però sono consapevole che con una storia (su Facebook o Instagram ndr.), una foto o altro, posso influenzare delle persone. Da parte mia c’è la volontà di mandare messaggi positivi e di spensieratezza, un po’ come ho fatto poi con il disco. Però è ovvio che bisogna fare attenzione.

Com’è cambiata la tua vita da busker dopo le tue varie esperienze televisive?

È cambiata molto. Un conto è suonare per strada con qualcuno che si ferma perché gli piaci, un altro conto è perché ti ha visto in tv e quindi chiaramente il riscontro per strada è diverso. Però la cosa che mi ha emozionato maggiormente, è vedere che la gente che si fermava per strada prima, è la stessa che oggi mi segue e compra i dischi. Tutto ciò mi fa molto piacere. Cantare per strada abbatte il muro dei social e ti da la possibilità di instaurare un rapporto diretto con il pubblico.

FEDERICO BARONI 3_photo credit Mattia Greghi.jpg

Per presentare ufficialmente l’album ti sei affidato al brano “Disordine”. Come mai questa scelta?

È l’ultimo brano che ho scritto. Ho scelto il brano per la tematica, poiché riguarda l’ultima storia importante che ho avuto e quindi come tema lo sentivo molto personale. Ma il brano è stato scelto anche per il tipo di arrangiamento che accompagna il brano. È questo il tipo di stile che vorrei portare anche con il secondo disco. Uno stile tra funk, pop, R ‘n’ B, o anche come Charlie Puth ecc. insomma, un insieme di cose che al momento rappresentano la mia musica e che vorrei rappresentassero anche il prossimo disco.

Per quanto riguarda il tour, ci puoi già dire qualcosa?

Per l’estate o comunque a breve, avrà inizio uno street tour come quelli che ho fatto anni fa. Uno street tour per presentare in maniera anomala il disco e portarlo in maniera acustica in giro per l’Italia. Poi proveremo a portare il disco in giro per i vari festival estivi e In seguito, ci sarà un tour vero e proprio nei locali, dove suonerò live con la band e per me questa è una delle cose più importanti.

FEDERICO BARONI_photo credit Lorenzo Silvestri BENDO (2)
Questa la tracklist di “NON PENSARCI”:

  • “Non pensarci”,
  • “Spiegami”,
  • “Domenica”,
  • “Disordine”,
  • “Profumo”,
  • “Mamma è tutto ok”,
  • “Londra”,
  • “Diverso”,
  • “Tutte le cose che”.