Blindur: “In questo periodo abbiamo acquistato la giusta consapevolezza”

Di Francesco Nuccitelli

Tra i vincitori del musicultura 2020 ci sono anche i Blindur, band partenopea che con il suo sound unico e riconoscibile, sta ricevendo le giuste attenzione da tutti gli addetti ai lavori. Se in “A” siete rimasti colpiti, da 3000remix non vi riprenderete tanto facilmente. Un progetto dalle sette versioni differenti e dalle sette collaborazioni ricche di passione e musicalità, che hanno reso 3000X un brano con qualcosa di nuovo da raccontare. Insomma un EP di grande interesse e che Massimo De Vita ci ha raccontato:

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Come nasce l’idea di 3000remix?

3000X” è una canzone che mi ha preso moltissimo fin da subito, anche se all’inizio non era stata presa in considerazione come singolo. Durante il tour questa canzone aveva costituito il perno centrale del nostro live, ed è quella che abbiamo trasformato di più nelle sonorità durante i vari concerti; così abbiamo deciso di organizzare qualcosa di bello per questo brano. Visto che io amo molto le collaborazioni e le contaminazioni, ho deciso di chiamare una serie di amici e colleghi per tirare su questo progetto.

Come mai sette versioni per questo progetto? 

Perché io sono un po’ fissato su queste cose (ride ndr.) e sette è un numero magico. Tutta la canzone si tiene su una sorta di ritualità, un qualcosa di ancestrale e mi è piaciuto giocare un po’ con questa magia.

Questa è un’ idea estemporanea dall’album “A” o c’è comunque un filo logico oltre la scelta del brano?

Blindur è un progetto in continua evoluzione. Se si fa un analisi di tutte le produzioni che abbiamo pubblicato in questo periodo, si nota che il trend è sempre in evoluzione. Infatti, abbiamo cercato di non ripeterci mai. Io sono una persona molto curiosa, che ascolta molta musica e sono sempre alla ricerca di sperimentazioni e soluzioni nuove. In questi remix ci sono cose che appartengono già in buona parte a Blindur e altre che magari valorizzeremo meglio in futuro.

Parli già di un nuovo progetto, praticamente non vi fermate mai…

Noi stavamo terminando un tour e ci stavamo preparando per l’America; solo dopo ci saremmo presi una pausa per ragionare e per tirare i remi in barca per un po’, anche perché sono anni che Blindur non si ferma. Tuttavia, al momento qualcosa è cambiato, per ovvi motivi noi suoneremo di meno dal vivo, e così abbiamo deciso di mettere mano a cose nuove. Sarà una sfida interessante per noi, anche perché il prossimo, sarà il primo disco con la formazione al completo.

L’8 luglio è uscito il videoclip della versione 3000remix fatta da Marco Messina. Com’è stato lavorare con lui?

Con Marco è nata una collaborazione bellissima, ma in realtà con tutti è nata una splendida alchimia. Quando Marco ha fatto questo remix ci è sembrato così spontaneo e così naturale, adatto allo stile Blindur. Poi abbiamo scelto di proporre due versioni dei remix, una per le radio (la versione di Whodamanny feat. Fabiana Martone ndr.) e una per il video (Quella per l’appunto di Marco Messina ndr.). Anche il video è frutto di una serie di incontri fortunati.

Questo è stato un anno particolare, ma per voi è stato estremamente positivo. Come giudicate questo vostro percorso?

Le esperienze negative, anche quelle più delicate possono comunque essere convertite in energia creativa. In tutte le cose c’è comunque del potenziale, e più sono potenti nel bene o nel male e più potenziale nascondono. Quest’anno è stato un anno difficilissimo e assurdo ed entrerà nei libri di storia, però io non credo che esistano soltanto le cose buone o le cose cattive. Io non credo che si possa dire che il 2020 sia un anno da cancellare completamente anche se è stato complicato. In questo periodo abbiamo acquistato la giusta consapevolezza.

Con queste rivisitazioni, cosa ha guadagnato il brano?

È riuscito a sganciarsi dall’idea di brano d’autore, che è una cifra stilistica importante per Blindur.  In questa esperienza penso che si sia messa da parte l’aspetto più cantautorale del pezzo e sia venuto fuori il lato più emotivo e animalesco. Tutti quelli che hanno lavorato al brano sono riusciti a valorizzarlo e a portare alla luce un qualcosa di nuovo. Tante versioni bellissime e super evocative che hanno restituito alla canzone quel qualcosa in più.

Ecco la tracklist completa:
01. 3000X Marco Messina remix
02. 3000X Whodamanny remix feat. Fabiana Martone
03. 3000X Sanacore All Stars remix
04. 3000X Indigo remix
05. 3000X il Mago remix
06. 3000X Sodo Studio (Speaker Cenzou) remix
07. 3000X ADM remix

Annunciate anche le date del tour estivo

I CONCERTI

21/08 Bellosguardo (SA) – Rural Dimensions Festival

23/08 Marina di Camerota (SA) – Meeting del Mare *opening act per Dimartino e Colapesce *SOLD OUT

28 e 29/08 Macerata – Finale Musicultura 2020 @ Arena Sferisterio

04/09 S. Margherita Ligure (GE) – Finale Premio Bindi

06/09 Torino – Off Topic *in duo acustico + Stefanelli open act

11/09 S. Maria Capua Vetere (CE) – Matuta *in duo acustico

18/09 Salerno – Limen Festival @ Arena del mare

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BLINDUR

BlindurCoverdi Manuel Saad

Blindur, oltre ad essere un grande musicista e un cantautore d’eccellenza, è una persona magnifica in grado di insegnarti molto. Il suo nuovo album, “A”, è un miscuglio di saggezza, poesia, coraggio, paure e delusioni: cadere a terra è importante e necessario per poter avere la forza di rialzarsi e, con il tempo, rinforzarsi sempre di più. Quest’album ci fa capire che esistono varie forme di buio e la cecità è semplicemente un altro modo di intendere la luce.

“There is a crack in everything – That’s how the light gets in” ovvero “C’è una crepa in tutto- È così che penetra la luce”. Questa frase, tratta da “Anthem” di Leonard Cohen, fa capire ancora meglio questo dualismo di cui parli nel disco. Coraggio e paura coesistono ed è necessario avere paura per accendere il coraggio dentro di noi.

Proprio così, questa citazione mi è molto cara. Per me sintetizza quella dinamica che c’è nel momento in cui si manifesta un’esperienza negativa che può essere un inciampo, un errore nella vita, una di quelle cose che può capitare a tutti. Puoi scegliere di viverla come esperienza negativa o puoi sfruttare quella rottura per capire cosa c’è dall’altro lato, per passarci attraverso, per intravedere qualcosa di diverso, per sfruttare quell’occasione. Il gioco è tutto qui: sfruttare una sventura come un occasione.
Rispetto al disco precedente, è nato tutto di corsa, in un certo senso: le canzoni sono state scritte in poco tempo, registrato in poco tempo e per quanto riguarda la fase creativa, nel giro di sette mesi era tutto iniziato e finito.

Infatti ho letto che le registrazioni sono iniziate ad ottobre circa…

Sì, in realtà sono state un po’ spezzettate. Una caratteristica dei dischi di Blindur è che vengono registrati nei ritagli di tempo. Svolgendo anche il ruolo di produttore, capita che mi ritrovo a lavorare con una band ed ho due giorni di pausa. In quei due giorni mi metto a registrare il disco. Una roba un po’ folle ma va bene così: questo è Blindur.

“Invisibile agli occhi” e “Futuro presente” sono i due singoli che hanno anticipato il
disco. Qual è il processo creativo seguito da Blindur? Parti dalla musica per poi incastrarci i pensieri o sono proprio loro a dettare le regole musicali?

Domandona questa! Diciamo che c’è un prima intuizione, nel senso che arriva uno spunto melodico e magari anche qualche parola. Possono arrivare quattro parole o addirittura una frase intera che mi colpisce. Prendo un sacco di appunti in prosa che poi riscrivo in metrica. Pensandoci bene, non credo ci sia un metodo fisso, in quanto può capitare che mi trovo particolarmente preso male e la canzone viene giù di botto. Dipende dai casi. “Invisibile agli occhi”, per esempio, è stata quasi
scritta di getto, anche se solitamente sto moltissimo tempo su una canzone. Non credo nel fatto che una canzone possa essere scritta in cinque minuti, o meglio a me non è mai capitato. Amo il lavoro di “limatura” che si fa sui pezzi.

Il tuo nome, “Blindur”, è una parola islandese che significa “cieco”. Nome suggerito da Jònsi dei Sigur Ròs, tra l’altro.

Questa cosa in cartella stampa spacca proprio (ride, n.d.r.). Il suggerimento è trasversale, in realtà. Ci siamo incontrati dopo un loro concerto, qui a Roma, un po’ di anni fa. Lui è non vedente da un occhio e mentre mi stava firmando dei dischi, mi dice: “C’è qualcosa che non va nei tuoi occhi!”. “Eh sì, abbiamo svariate cose in comune”, rispondo io. In quel periodo stavo cominciando a dare forma al progetto, avevo scritto qualche canzone, ma non avevo ancora trovato un nome. Volevo una parola sola che suonasse strana e che mi riguardasse da vicino. Volevo un suono, più che una parola e questo incontro con Jònsi mi ha lasciato sconvolto per svariati giorni a seguire. Ne parlai con Michelangelo, il ragazzo con cui suonavo fino a qualche tempo fa, il quale mi suggerì di
cercare in islandese come si dicesse “cieco”. Solitamente gli islandesi hanno queste parole lunghissime, mentre questa era perfetta: “blindur”. E poi, se cerchi su Google ci sono solo io (ride, n.d.r.)

Quest’album, come anche il precedente, vede la partecipazione di Birgir Birgisson, fonico dei Sigur Ròs, Björk etc. Se ti dovessi chiedere quanta Islanda e quanto “freddo” c’è in quest’album, cosa mi risponderesti?

Quanta Islanda c’è? In maniera didascalica ce n’è meno rispetto al primo disco, ma in maniera sostanziale credo di più in quest’ultimo. Nel primo, queste atmosfere dilatate e i suoni molto “spazializzati” ricordavano molto l’Islanda. In “A”, invece, ho salvato più quell’aspetto “oscuro” della musica nordica, quelle atmosfere più crepuscolari. “A” è più dark, in un certo senso, e credo che questa oscurità sia molto più glaciale. Vuoi o non vuoi, è legato a quel motivo lì.

Ti ho fatto questa domanda perché anche io ci sono stato e difficilmente si dimentica ciò che quel posto di mondo riesce a trasmetterti. Ti rimane dentro per sempre.

Non lo dire a me. Ci sono stato quattro o cinque volte e sono malato di quella terra. Solo chi è stato in Islanda può capire che c’è una desolazione confortante in certi paesaggi. Questa roccia così aspra, queste ambientazioni in cui ti senti ospite e che ti fanno sentire molto piccolo. Tutto il tuo universo è molto ridimensionato rispetto alla natura intorno. Questa cosa permette di guardarti dentro e di aprire più facilmente delle porte nascoste di te stesso. Da questo punto di vista, il disco è pieno di riflessioni così.

Nella tua musica traspare tanta voglia di conoscere e scoprire, magari,
conoscerti e scoprirti attraverso altre culture ed altre persone. Hai aperto numerosi concerti di diversi artisti come i TARM, The Zen Circus, Iosonouncane, Dente etc. Hai duettato con Damien Rice, Johnny Rayge e con “Mozzarella Session” ti sei tuffato in questo crogiolo di diversi mondi musicali. C’è qualcuno con cui ti piacerebbe scrivere un pezzo o, addirittura, un album?

Bella domanda! Generalmente, tendo molto ad approfondire le conoscenze. Ho sempre fatto in modo che le persone con cui ho avuto a che fare, in un modo o in un altro, si mischiassero a me. Anche quando abbiamo fatto apertura a svariati concerti, si è finito sempre col fare un duetto. Penso al rapporto che ho con Damien Rice che è nato in maniera molto casuale. Con lui è nata una grande amicizia: andiamo a fare le cene di pesce insieme (ride, n.d.r.). Se devo farti il nome di artisti italiani con la quale mi piacerebbe collaborare ti direi Nada. Con questi personaggi un po’ “spigolosi”, come anche Giorgio Canali, potrebbe uscire fuori qualcosa di veramente interessante. Un nome estero? Aaron Dessner dei The National. Per lui farei carte false. Sufjan Stevens invece è inarrivabile. Dicono che lui se li sceglie con la candela quelli con cui collaborare. Dovrò procurarmene una il prima possibile!

“Invisibile agli occhi” ci dice che esistono diverse forme di buio e che la cecità è,
semplicemente, un altro modo di intendere la luce. Quando hai capito che la musica era la tua luce?

La musica ha un qualcosa di strano. Una canzone di una band con cui ho lavorato diceva: “La musica mi ha salvato, ma ora mi vuole morto”. Mi sembra la sintesi perfetta. Sono una persona, per quanto non possa sembrare, a cui piace stare da solo. In qualche modo, la musica mi ha aiutato a lavorare su quest’aspetto di me, facendomi viaggiare e facendomi conoscere tante persone. Credo che non riuscirei mai ad allontanarmi da
lei. Anche se domani decidessi di non suonare più, la musica rimarrebbe comunque nella mia vita. Nella mia famiglia non c’erano appassionati di musica, quindi quando l’ho scoperta la sentivo molto mia e devo dire che per me è stato uno smarcamento totale nella vita, ancor prima della mia condizione di cecità. Questa lascia e lascerà sempre una traccia indelebile nella mia vita.

Progetti futuri? Partirà un tour a breve…

Sì, partiamo il 27 aprile.C’è questa nuova band da mettere in pista: Carla Grimaldi al violino, Luca Stefanelli che suonerà il basso ed altri strumenti e Julie Ant alla batteria. I concerti saranno nuovi rispetto ai precedenti ed il primo giro del tour prenderà in lungo e in largo l’Italia: Vicenza, Messina, Milano, Napoli, Torino e il 7 giugno saremo a Roma al Teatro India, per India Estate. Ci sono moltissime cose che stanno bollendo in pentola, ma che non possiamo ancora svelare perché sono troppo fiche. Usciranno presto comunque.