ROCCO HUNT

Rocco Hunt_foto di Riccardo Ambrosio_2 a

Niente è più bello di questa “Libertà”

di Alessio Boccali

Rocco Hunt è tornato dopo tre anni di duro lavoro e spergiura di aver trovato finalmente la sua libertà. Il suo nuovo disco, intitolato appunto “Libertà”, è un risveglio gioioso da un lungo sonno, una boccata d’aria dopo aver rotto le catene. Un disco urban, molto rap e meno pop, che sta piacendo un po’ a tutti.

Ciao Rocco, com’è stato il percorso di preparazione che ti ha guidato fino all’uscita di “Libertà”?
È stato un periodo sicuramente intenso e pieno di sacrifici, per fortuna, però, “Libertà” ha visto la luce nel migliore dei modi e ha risulto tutti i dubbi e i problemi che c’erano. Ora mi godo questo momento; l’album sta girando, sta piacendo e sta regalando alla mia squadra grosse soddisfazioni.

“Libertà” mi è parso un disco più rap e meno pop dei precedenti, sbaglio?
È un disco pensato e realizzato proprio come volevo. È un disco urban, che rappresenta pienamente il mio stile da “poeta urbano” e che, nonostante forse sia meno pop, sta arrivando tranquillamente al mainstream. Ci sono pezzi che stanno andando meglio in radio (come “Ti volevo dedicare con BoomDaBash e J-Ax, ad esempio) e pezzi che stanno andando meglio in strada. Sono contentissimo.

Lo sfogo sui social è sicuramente riuscito a sbloccarmi musicalmente, ora però voglio godermi tutto ciò che di bello sta succedendo.

Pensi di aver smosso un po’ le acque con quel post famoso di qualche mese fa?
Fortunatamente è acqua passata. Quello sfogo sui social è sicuramente riuscito a sbloccarmi musicalmente; è inutile nascondercelo: sono cambiati i tempi, è cambiata la discografia, ho avuto il bisogno di riposizionarmi in un circuito nuovo di mercato, ho avuto a che fare con visioni non comuni riguardanti il mio progetto, ma poi per fortuna tutto si è riallineato e ora voglio godermi ciò che di bello sta succedendo.

Questo disco è un grande gioco di squadra… quant’è importante nella musica potersi fidare di artisti, producer e addetti ai lavori?
Il gioco di squadra è fondamentale. In questo album non sono solo e questo si sente. Ogni collaborazione, dalla più mainstream a quella con l’emergente, ha impreziosito il mio lavoro. È un album che grazie al gioco in team può racchiudere varie chiavi di lettura.

Nella tua musica emerge sempre molto forte l’attaccamento alla tua terra, alle tue origini, e tutto ciò lo associ spesso alle “persone” che abitano le tue canzoni… In “Discofunk”, ad esempio, canti “Sai cosa ci accomuna a questo mare? Che purtroppo siamo belli, ma tenuti male”. Nel pezzo il mare è sporco, inquinato, uso questa metafora, che hai ben compreso, per restare ancorato all’attualità, a ciò che non ci piace. Il mare in questione, poi, può essere il mio, come quello di Riccione, tanto per dirne uno. Intendo parlare di una situazione che ci coinvolge tutti.

Ascoltando “Mai più” ho pensato che fosse una risposta alla tua vita dopo l’arrivo del successo…
In quel pezzo sono molto ironico; il successo non mi ha cambiato per niente, sono, per fortuna, riuscito a rimanere con i piedi per terra. Sicuramente è bello quando la gente mi riconosce per strada, ma la mia forza più grande è sempre stata quella di ritenermi uno dei tanti.

In apertura dicevamo che in questo disco forse sei meno pop, eppure in “Libertà” ci sono tanti potenziali singoli… È una rivoluzione urban napoletana?
Magari! Per l’appunto, la maggior parte dei pezzi sono in napoletano e non penso verranno trasmessi dalle radio nazionali. Ma è anche questa la libertà che ho cercato e trovato in questo album: potermi esprimere nel mio dialetto significa sentirmi me stesso, essere tra la mia gente.