Social: l’effetto delle campagne virali non dura

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Le campagne social hanno una vita breve: ad affermarlo è lo psicologo Sander van der Linden, le cui riflessioni sono contenute sul sito “Scientific American”. Il primo fenomeno che viene in mente è il famoso Ice Bucket Challenge, iniziativa a sostegno della Sla che ha coinvolto diversi personaggi famosi e non nel 2014. La campagna social, in cui ogni persona veniva filmata mentre si versava un secchio di acqua fredda in testa, ha  visto la partecipazione di circa 28 milioni di persone con i video che sono stati visti 10 miliardi di volte da 440 milioni di soggetti. L’iniziativa ha raccolto in breve tempo milioni di dollari per la ricerca, ma l’effetto non è durato troppo tempo. Come afferma van der Linden, la campagna nel 2015 ha ottenuto lo 0.9% dei finanziamenti rispetto all’anno precedente. Anche le ricerche Google, cosi come le visite su Wikipedia e sul sito dell’associazione, sono calate dopo aver avuto un picco nell’agosto del 2014.

L’Ice Bucket Challenge non è l’unica campagna di successo che ha fatto registrare questi risultati. Come rivela lo stesso van der Linden, l’iniziativa di Facebook sulla donazione degli organi ha raggiunto numeri record nei primi due giorni, mentre quella sul Darfur ha raccolto buona parte dei membri nei primi due mesi, con il 72% di loro  che non ha fatto nemmeno una donazione. Tra le iniziative più riuscite, lo psicologo cita  Movember, in cui si chiede agli uomini di non tagliare i baffi per sensibilizzare una serie di problemi legati alla salute.

Le ricerche dimostrano dunque che un’adesione a livello social, non si traduce in comportamenti significativi a lungo termine. Queste campagne virali hanno una vita breve e non riescono ad incidere sulla consapevolezza del pubblico sui temi proposti. Per far durare “l’altruismo virale”, come rivela van der Linden, servirebbe un coinvolgimento più profondo  da ripetere in un lasso di tempo sostenuto.