Di Alessio Boccali

ph. Alessandro Boggi
Emanuele Bianco, all’anagrafe Emanuele Maracchioni, classe ’93 è un cantautore, musicista e producer romano con un passato da rapper col nome Chabani. Nella sua musica c’è la sua vita, le esperienze che l’hanno formato e continuano a farlo, gli affetti che lo hanno aiutato a crescere personalmente e artisticamente e quella vena rap che non smette mai di pulsare nella fase di scrittura. A circa un mese dall’uscita del suo ultimo singolo “La mia terra”, abbiamo scambiato due chiacchiere per tirare le somme ritrovandoci a parlare di stabilità, di insegnamenti, di ricordi e di tutto ciò che, in fondo, è vita.
Ciao Emanuele, innanzitutto come stai, com’è stato “fare” musica da casa in questi mesi?
Ciao! Sto bene dai, grazie. Diciamo che io vivevo in quarantena già da prima perché stavo sempre chiuso in studio. Per la produzione, soprattutto, ho sempre lavorato molto da remoto. Ti dico la verità: son sempre stato un fan della digitalizzazione. Secondo me, se non pensiamo alla bellezza del “contatto fisico”, lavorare da remoto ha tantissimi lati positivi. Anche perché a Roma per spostarti da una parte della città all’altra butti sempre mezza giornata. In fin dei conti, tralasciando la tragedia dell’emergenza sanitaria, questa situazione ha accelerato un processo che, volenti o nolenti, ci avrebbe prima o poi coinvolti tutti.
Il tuo ultimo singolo “La mia terra” è uscito durante il lockdown; hai sentito ancora di più la responsabilità di dover essere vicino a chi ascoltava questo nuovo brano?
Sì, hai detto una parola molto importante: responsabilità. Io credo che tutti coloro che hanno un pubblico che li segue, più o meno numeroso che sia, debbano tenerne conto. È bellissimo avere un rapporto con chi ti segue, ma è altrettanto importante rispettare queste persone perché l’artista può avere una grande influenza. Soprattutto quando hai a che fare con i ragazzi più giovani, devi essere consapevole che la musica può salvare le persone, ma può anche distruggerle. È importante avere la fiducia delle persone che ti ascoltano e fare musica, fare film, fare un quadro… non è mai un procedimento fine a sé stesso, ma ha sempre un’influenza su chi godrà di quell’arte. Tutti noi siamo stati influenzati dall’arte nella nostra vita, nelle nostre scelte. A maggior ragione oggi che la fruizione dell’arte, in primis della musica e del cinema è veramente immediata grazie a internet.
Mi aggancio a questo per parlare di musica live e concerti in streaming. Abbiamo letto che con le nuove norme a breve sarà possibile, durante questo periodo di emergenza, fare concerti per un massimo di mille persone e sempre a seconda della capienza dei teatri/locali naturalmente e con le dovute distanze. Tanti hanno rinunciato a quest’idea, altri hanno continuato a sostenere la via della digitalizzazione. Immagino sarai d’accordo con questi ultimi…
Il mondo è cambiato, inutile nascondercelo. Stiamo cambiando stili di vita e inserendo nella vita quotidiana nuove abitudini. Il mercato della musica non fa eccezione. Prima si diceva che il pesce grande mangi sempre il pesce piccolo, nell’industria musicale così come negli altri mercati. Oggi penso che sia il pesce veloce a sovrastare il pesce lento. Chi si adatta prima ha la meglio. Credo che questo discorso possa valere anche per il discorso dei live in streaming, che tra l’altro in America tra gli artisti un po’ meno conosciuti è pratica comune. Forse parlo da “malato” di digitalizzazione, ma credo che tra un po’ di anni riusciremo a godere dei concerti con l’audio in 3D e grazie ai visori sfruttando la realtà virtuale. Logicamente la dimensione del concerto dal vivo sarà sempre un’altra cosa e il contro più grande di un evento in digitale è sicuramente, per l’artista, quello di non sentire il calore del pubblico che canta insieme a te e, per il pubblico, quello di non vivere un’esperienza e di condividerla con altri fan nello stesso luogo, nello stesso momento. Un beneficio importante, tuttavia, potrà esserci per gli artisti emergenti. Anche chi non ha un booking o non ha la capacità/possibilità di investire sui propri live, può investire una volta per tutte nell’attrezzatura per i concerti in streaming e può esibirsi praticamente quando vuole. La musica è passata attraverso tantissime rivoluzioni, credo sia fisiologico; bisogna sempre vedere il lato positivo del cambiamento e darsi da fare.
Torniamo a “La mia terra”; L’amore ha una grande importanza nella tua vita e dopo “Tu sei”, che ha superato il milione di views su YouTube, questo brano è l’ennesimo riconoscimento dell’amore per la ragazza che ami, ma è anche la consapevolezza di aver raggiunto un obiettivo nella stabilità affettiva.
“Tu sei” il fuoco di passione che divampa all’inizio di un amore, mentre “La mia terra” è il consolidamento del rapporto, un’acquisizione di maturità. La persona amata è il tuo mondo, la tua quotidianità, la tua stabilità. Ne “La mia terra” racconto di aver raggiunto un equilibrio tra mente e cuore; quando ti trovi in questa condizione riesci a visualizzare tutto il tuo trascorso. Ringrazi le cose che ti son successe, positive o negative che siano state, perché tutte ti hanno formato. È un tirare le somme sulla mia testa calda, sugli obiettivi raggiunti o meno e su tante altre cose per poi mettere tutto questo da parte e pensare con tanta gratitudine solo a quello che ho. Ho imparato che a tutto ciò che succede bisogna dare un significato e, grazie a questo significato, imparare la lezione.

ph. Alessandro Boggi
Questa grande riflessività è evidente in tutti i tuoi brani, anche i tuoi testi sono molto “lunghi” per il pop; è questo un retaggio del rap, vista la tua esperienza con questo genere?
Sì, sono d’accordissimo. Nella mia musica, nei miei testi c’è molto del mio passato rap. Questa cosa di mescolare il rap al pop mi piace moltissimo, nonostante in alcuni momenti cerco quasi di ammonirmi dicendomi di fare più pause nel cantato; ma è una cosa che mi viene naturale, amo il rap e la sua capacità di poter dire mille cose in un solo pezzo e di poterle dire in un milione di modi differenti. Nel pop questo non è impossibile, è solo più difficile perché inevitabilmente hai meno parole. Io ci sto provando e sono consapevole che devo migliorare ancora tanto. D’altronde il mio motto è sempre stato “O ti formi o ti fermi”.
A proposito di riflessività e di rap, la tua “Manchi” dedicata a Cranio Randagio è da spezzare il fiato; cosa ti legava di più a Vittorio?
Ho tanti bei ricordi di e con Vittorio. Innanzitutto, ogni volta che registravo Cranio imparavo un nuovo termine. Lui scriveva con un registro stilistico troppo alto per l’Italia. Era troppo. Vittorio, poi, era una persona di spessore oltreché un artista con la A maiuscola. E ogni volta che parlo di lui è questo che mi piace ricordare e raccontare a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo. Nella sua arte era libero, spesso utilizzava delle parole, delle metafore, che potevi starci a pensare per ore; non puoi capire quante volte gli dicevo di alleggerire un po’ la scrittura per arrivare a tutti o di fare un ritornello cantato. Un compromesso lo trovammo in “A Selfish Selfie”, che infatti “contaminò” più persone pur non snaturando l’anima di Cranio Randagio.
Non sarò il primo che te lo chiede e non vuole essere un giudizio, ma più una curiosità. Da cosa nasce quel “Keep it secret” tatuato sul viso? Da quello che ci siamo detti, sono certo che abbia un senso profondo.
Innanzitutto, ti dico che quando me lo son tatuato, mia madre non mi ha parlato per tre mesi (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, a me piacciono tanto i tatuaggi e quella scritta ha dei significati. Innanzitutto, mi ritengo una persona della quale ti puoi fidare, e questo è il significato più “accessibile”, l’altro senso riguarda il mio essere abbastanza introverso. Con la musica questa chiusura viene meno e riesco a parlare di ciò che ho visto e sentito. Quindi diciamo che è anche un po’ una garanzia sulla mia veridicità.

ph. Alessandro Boggi
Tornando ai tuoi pezzi. Prima abbiamo parlato di stabilità riflessiva raggiunta grazie alla stabilità affettiva raccontata ne “La mia terra”, in “Sotto la Torre Eiffel” parli di amore a distanza. Così è più difficile raggiungere quelle stabilità, non trovi?
Io penso che quando ti impegni in un rapporto scegli di vivere delle esperienze rinunciando ad altre. Tra le cose che scegli di vivere ci sono la stabilità della quotidianità, la sicurezza di avere una persona sempre vicina, il rapporto fisico e tante altre cose. Con un amore a distanza non è che sia impossibile portare avanti tutti questi aspetti, ma è molto difficile prendersene cura. Vivere una persona tutti i giorni, vederla, parlarci e confrontartici rende più semplice le cose e ti permette anche di capire meglio ciò che provi. La lontananza da “La mia terra”, dalla persona che amo, renderebbe inevitabilmente instabile anche la mia vita e penso anche quella della mia lei.
Finiamo parlando del disco che, se non erro, dovrebbe uscire dopo l’estate. Giusto?
Sì, diciamo che siamo in fase di finalizzazione. Ho contato molto come sempre sulla mia produzione perché mi piace molto dar forma alla mia musica anche se non disdegno le coproduzioni con chi naviga sulla mia stessa lunghezza d’onda. Le canzoni uscite finora sono molto eterogenee e vengono da diversi periodi della mia vita, col disco è arrivato il momento di dare l’imprinting giusto al mio percorso. La via scelta sarà quella dell’acustico, che dà quel mood che trovi al massimo in “Tu sei”.
Finiamo parlando del disco che, se non erro, dovrebbe uscire dopo l’estate. Giusto?
Sì, diciamo che siamo in fase di finalizzazione. Ho contato molto come sempre sulla mia produzione perché mi piace molto dar forma alla mia musica anche se non disdegno le coproduzioni con chi naviga sulla mia stessa lunghezza d’onda. Le canzoni uscite finora sono molto eterogenee e vengono da diversi periodi della mia vita, col disco è arrivato il momento di dare l’imprinting giusto al mio percorso. La via scelta sarà quella dell’acustico, che dà quel mood che trovi al massimo in “Tu sei”.