
“L’arrangiamento è misto: c’è una mia proposta iniziale durante la stesura del testo, poi la band ci lavora e si finalizza il tutto in studio. Su ‘Oggi mi voglio bene’ l’onere dell’arrangiamento ce l’ho avuto io con la supervisione di Mauro Munzi perché all’epoca non avevamo una seconda chitarra (abbandono di Daniele Raggi dalla band, ndr).”
Su cosa vi siete basati per scegliere un’etichetta discografica?
“In questo caso siamo stati scelti ‘inaspettatamente’ dalla Lostunes Records – vicina alla musica in inglese, ma entusiasta del nostro lavoro ‘genuinamente rock’. Fortunatamente è molto vicina ai nostri aspetti stilistici rispetto alle etichette indipendenti italiane, poco attente al rock. Lì infatti va per la maggiore il cantautorato che strizza l’occhio agli anni ’70 con una formula più semplicistica dal punto di vista dei testi e della produzione. In pratica crea un fastidioso ‘mainstream in piccolo’, quando invece ci sarebbe bisogno di un’altra dimensione, simile alla genuinità e agli approcci di Hilly Kristal, proprietario del rock club neyorkese ‘CBGB’.”
Collegandoci proprio al desiderato ‘CBGB’, in Italia c’è quindi difficoltà a trovare locali che supportano questo genere e pagano?
“Si, c’è difficoltà. Roma è molto intasata, perché parecchi club cercano di omologarsi, facendosi pagare oppure utilizzano situazioni come il ‘jam session’ per guadagnare in consumazioni anziché in pubblico ascoltante. Secondo me si parla di locali con musica dal vivo con troppa facilità, perché bisogna selezionare quelli giusti.
Per esempio il Wishlist è una felice anomalia perché ti fa suonare bene, ha spazio, ti dà la dignità di fare musica e paga gli artisti con accordi economici molto chiari con il rischio d’impresa collegata logicamente agli artisti – perché è vero che i musicisti non sono PR, ma in questo momento di crisi ci si deve autopromuovere. Quando c’è insomma questa condivisione di responsabilità le cose funzionano meglio.”
Ti sono capitate invece situazioni di inefficenza con il locale?
“Beh si, succedeva anche negli anni ’90 quando suonavamo pure nei ‘buchi’ (luoghi molto piccoli, ndr). Ma basta la buona atmosfera per suonare bene, anche se le situazioni tecniche non sono ottimali.
Suonando poco ultimamente, mi capita di notarle quando vado ai concerti. Ciò mi lascia perplesso per la reputazione che ha il locale.”
Dunque cosa serve per una perfetta performance?
“Un locale con il suo pubblico – perché ti devi esibire per qualcuno che non ti conosce – che ti faccia suonare musica di un certo livello, dando la possibilità davvero di apprezzarti o meno.”