L’amore, la “Niña Blanca” e le energie nella musica di ELLYNORA

Di Alessio Boccali
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ph. Federico Rinaldi

“Prima che con le parole, ognuno di noi stabilisce con gli altri un legame comunicativo basato sulle energie”. Riprendo queste parole dal testo dell’intervista per presentarvi il progetto di ELLYNORA, al secolo Eleonora Sorrentino Paravia. La sua musica ha l’obiettivo di comunicare in qualsivoglia forma artistica ed è per questo che la cantautrice romana ama trasmettere messaggi attraverso le immagini quanto farlo attraverso la musica. Il suo sogno è dar vita concerti che siano esperienze immersive, la sua musica risente di varie influenze, da Napoli fino a Los Angeles, ma intende affermarsi senza etichette e con il criterio assoluto dell’originalità.

Questo il resoconto della chiacchierata agostana tra me e Eleonora dopo l’uscita del suo sentitissimo singolo “Niña Blanca”:

Ciao Eleonora, come nasce “Niña Blanca” e com’è stato presentarlo al pubblico?

Ciao! “Niña Blanca” parla di una vicenda in parte autobiografica raccontata sotto forma di leggenda. Per anni ho provato a scrivere un brano su questo evento della mia vita, un lutto che mi ha segnato e mi ha fatta diventare quella che sono con le mie esperienze all’estero, con il bagaglio delle mie scelte, con la mia personalità e la mia verità. Dato che tramite questa canzone voglio mantenere in vita il ricordo di una persona, è stato davvero difficile trovare le parole giuste per farlo, fino a che non mi è venuta in mente la storia, inventata da me, di questa sirena che da uno scoglio guarda una coppia di amanti e che così, dopo aver perso il suo compagno, ritorna a capire il senso dell’amore. A questo punto inizia a invocare la Niña Blanca, ovvero la Santa Muerte messicana, affidandole il suo amato per proteggerlo. Mi ha sempre colpito questa idea benevole della morte che hanno nell’America Latina, non so se hai visto il film Disney “Coco”, beh, lì è spiegato benissimo.

Ora che il dolore è emerso, c’è stato un flusso di coscienza che ha dato vita ad altri pezzi, magari terapeutici, per te?

Questo pezzo, in realtà, è nato circa un anno fa anche se ho preferito aspettare prima di pubblicarlo; ho avuto davvero bisogno di metabolizzarlo prima dell’uscita. Tra la fine stesura di questo pezzo e l’uscita ho scritto altro, naturalmente, e anche in lockdown, nonostante un blocco iniziale, ho scritto qualcosina. In quel periodo, mi è mancato però il vivere la quotidianità che è ciò che mi ispira più di tutto. Poi, lo sai forse meglio di me, più cerchi di scrivere qualcosa e più non ci riesci.

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ph. Federico Rinaldi

Rimanendo sul brano, abbiamo parlato di questa sirena che, dopo momenti di smarrimento, riesce a ritrovarsi pregando la Santa Muerte. Qual è il tuo rapporto con il trascendente, con la spiritualità?

Credo molto nelle energie che risiedono in ognuno di noi e che mettiamo in circolo sul pianeta con le nostre azioni, le nostre emozioni. Tenendo ben a mente questo, cerco sempre di trovare in me stessa quella positività da trasmettere a chi mi sta accanto: prima che con le parole, ognuno di noi stabilisce con gli altri un legame comunicativo basato sulle energie.

Si intravede chiaramente che sei una donna molto forte…

Ti ringrazio, non bisogna essere dei supereroi, ma è necessario saper valorizzare ogni aspetto delle nostre emozioni. Anche le fragilità sono parte della nostra forza.

Nemmeno i videoclip dei tuoi brani sono mai lasciati al caso. Presti una grande attenzione alle immagini…

Considero l’esprimermi attraverso le immagini al pari del farlo attraverso la musica. Il racconto delle immagini è molto diretto, spesso sopperisce addirittura a ciò che le parole non riescono a comunicare. Quando scrivo le mie canzoni ho sempre ben chiare quali forme, quali colori voglio arrivino alle persone. Per questo, la regia e la sceneggiatura dei miei videoclip le curo io insieme all’aiuto essenziale di Federico Rinaldi. Scendendo nel dettaglio, poi, come puoi notare dai video, prediligo sempre delle tinte vintage, con quelle pellicole che saranno per sempre immortali. Adoro riprendere il passato e raccontarlo nuovamente in chiave personale e moderna.

Sogniamo per un attimo il ritorno al live. Hai mai pensato ad una dimensione teatrale per la tua musica, quello che mi racconti ha un forte potenziale teatrale…

Ho sempre sognato di realizzare concerti che fossero delle esperienze artistiche a tutto tondo. Anche per questo sono andata a studiare negli Stati Uniti. Ovviamente bisogna fare un passo in più per realizzare tutto questo, ma se dobbiamo sognare, facciamolo per bene. Vorrei che i miei concerti fossero un racconto coreografato, con delle immagini proiettate e delle luci che illuminano e cambiano d’intensità a seconda dell’andamento della narrazione. Riprendendo il discorso di prima, un concerto di ELLYNORA deve essere il risultato di un mix di energie che dà vita a un’esperienza artistica immersiva.

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ph. Andriana Tuesday

Torniamo alla musica in senso stretto. Nei tuoi brani c’è elettronica e melodia, suoni latini e testi da cantautrice; quanto ha influito la tua esperienza americana sul tuo modo di far musica?

Sono andata in America appena finito il liceo; portavo con me le canzoni con le quali sono cresciuta, tra cui molta musica napoletana visto che i miei genitori sono partenopei. Qui ti spieghi la melodia, ma anche l’uso dello spagnolo che è molto simile come sonorità al napoletano. A questo, per arrivare ad oggi, devi aggiungere i miei studi americani di canto e ballo e, in generale, tutto ciò che ho imparato vivendo da sola. Oggi posso dire che la mia musica sono pienamente io.

Quanto è stata complessa questa operazione e soprattutto è stato mai difficile mantenere questa libertà di esprimerti?

Ti dico che in molti mi hanno detto di non sapere dove collocarmi in termine di genere musicale. Beh, questa per me è una grande vittoria. Dovremmo essere tutti ben distinti gli uni dagli altri per non farci etichettare. Per questo motivo non ho mai sentito il “peso” della mia libertà, ho sempre voluto essere libera da targhette così da essere originale, unica. L’obiettivo primario è sempre stato quello di affermarmi col mio modo di fare musica, senza ispirarmi a nessuno. Insomma, sono ELLYNORA e questa è la mia musica, il mio biglietto da visita.

Ghost, tra il vivimix di “Vivi e lascia vivere” e i vent’anni di carriera

Di Francesco Nuccitelli

Alex ed Enrico Magistri sono i due fratelli che hanno dato vita al progetto dei Ghost quasi venti anni fa. Dallo scorso 26 giugno è in rotazione radiofonica e in tutti gli store digitali “Vivi e lascia vivere – Vivimix”, la versione 2020 del loro grande successo. I due artisti con questo brano si prendono una grande responsabilità: portare una ventata di spensieratezza e di speranza dopo un periodo problematico. Per raccontare il vivimix del brano e il traguardo dei vent’anni di carriera, i due fratelli si sono raccontati in una doppia intervista:

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“Vivi e lascia vivere” – Vivimix

Come state vivendo questo ritorno alla normalità?

Entrambi – Con tanta voglia di tornare alla vita e di tornare alla musica. Sentivamo il desiderio di normalità e di musicalità, perché poi è quello che noi facciamo. È bello tornare a vivere, anche se dobbiamo fare il tutto rispettando le regole.

Di recente è uscito il vivimix del brano “Vivi e lascia vivere”, come mai questa scelta?

Alex – La scelta è nata per la nostra esigenza di trattare un argomento importante, ma con un vestito leggero. Ci sentivamo di voler tornare con uno dei brani che rappresentasse al meglio il concetto di parte seria, ma trattato con leggerezza e semplicità.  Visto il periodo ci sembrava normale presentare un qualcosa di bello e “Vivi e lascia vivere” era la canzone giusta e al momento giusto.

Enrico – Parlando anche con il nostro staff ci è sembrato il pezzo giusto. Volevamo trasmettere un messaggio importante ma con delicatezza. Tutti abbiamo bisogno di ritrovare i valori importanti della vita e questo brano era perfetto. Volevamo essere diretti.

Vi sentite la responsabilità di dover trasmettere questa spensieratezza ai vostri fan?

Alex –  Si, ed è una bella responsabilità. Siamo molto orgogliosi che nel nostro video abbiano partecipato tanti ragazzi. Per noi è importante riuscire ad essere capiti e avere un pubblico così partecipe anche nelle tematiche importanti. Siamo consapevoli del nostro ruolo e di quello che dobbiamo fare.

Enrico – Io penso che tutti gli artisti dovrebbero avere una responsabilità nei confronti dei loro fan e della società in generale. Nel nostro piccolo abbiamo la possibilità di trascinare le persone. Gli argomenti che trattiamo, e come li trattiamo assumono peso specifico nei confronti di tutti quelli che ci seguono.

Il videoclip vede la presenza dei vostri fan. Che rapporto avete con loro?

Entrambi – Con loro abbiamo un rapporto meraviglioso. Noi crediamo molto nella parte umana della musica, anche perché la musica non è solo accordi, parole o arrangiamenti, ma è un qualcosa di viscerale e che rappresenta l’artista stesso. La musica è un linguaggio universale e nel nostro piccolo siamo orgogliosissimi di avere un pubblico così variegato ed eterogeneo.

Il prossimo anno festeggerete i 20 anni di carriera, avete già iniziato a pensare ad un bilancio della vostra carriera?

Alex – Come diceva il grande Morricone: “la costanza e la coerenza sono due cose importantissime, nella vita e nella musica”. Con impegno e coerenza portiamo avanti il nostro mondo. Questo è il motivo per cui il prossimo anno festeggeremo con grande gioia i vent’anni di carriera.

Enrico – Sono tanti e con tante soddisfazioni. Il bilancio è più che positivo, abbiamo suonato con diversi grandi artisti (Ornella Vanoni ed Enrico Ruggeri ndr.), abbiamo suonato all’Arena di Verona per i Wind Music Awards. Questi sono solo alcuni momenti particolari della nostra carriera. Anche i concerti sono una grande soddisfazione per noi e lo saranno sempre. Il 2021 sarà importante per i Ghost, ci saranno diversi eventi speciali e il pubblico si aspetterà molto da noi. Anche qui abbiamo una bella responsabilità.

Festeggerete anche con un album?

Entrambi – Dal punto di vista discografico stiamo preparando un qualcosa di interessante. Non sappiamo ancora se sarà un album o un cofanetto, non vogliamo spoilerare troppo, ma ci saranno tante belle sorprese.

Due fratelli dai caratteri diversi, ma come riuscite a coesistere e a scrivere insieme?

Alex – Discutendo tanto (ride ndr.). Noi crediamo fortemente nell’unione, ma fatta di differenze. Se io ed Enrico fossimo identici non ci sarebbe quel giusto feeling e quel nostro modo così particolare di lavorare. Quando uno ha delle idee l’altro è il primo giudice, e questo è utile per migliorare un progetto.

Enrico – Quando lavoriamo su una canzone è bello dividerci i compiti per avere un feedback iniziale. Tra noi c’è uno scambio continuo di pareri, opinioni e consigli. Siamo complementari e riusciamo a lavorare benissimo insieme grazie alle nostre differenze.

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GHOST – Alessia Caiazzo

Dioniso: “Questo brano vuole portare gioia e far ballare le persone”

Di Francesco Nuccitelli

Giovanissimi, dallo stile unico e dall’impronta inconfondibile. I Dioniso sono composti da: Francesco Campo (il fondatore e chitarrista), Andrea Sciacca (batterista-percussionista), Filippo Ferro (cantante e frontman) e Filippo Novello (bassista-tastierista). Dopo il singolo “SU-SPIRE”, è uscito (lo scorso 12 giugno ndr.) “Dammi una ragione” l’ultimo brano della giovane band. Una canzone dalle sonorità pop/rock e che anticipa l’album del gruppo siciliano. In attesa del nuovo progetto abbiamo raggiunto i Dioniso per una piacevole chiacchierata:

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Come sta procedendo questo ritorno alla “normalità”?

Finalmente si sta riprendendo a vivere. Per noi che siamo giovani e abituati al calore è importante tornare ad una vita normale seguendo sempre le regole. Poter tornare a lavorare insieme è una grande liberazione, anche perché alla fine la musica è condivisione.

Come è nato “Dammi una ragione”, questo vostro ultimo singolo?

Dammi una ragione” è un singolo diverso dal precedente (Su-Spire ndr.); ma entrambi faranno parte del prossimo album in uscita. Rispetto al primo singolo presenta delle sonorità diverse, più calde, più estive e più leggere. Il brano è nato nel periodo di lockdown; vivere quella situazione di isolamento ci ha colpito e ispirato molto. Questo singolo vuole portare gioia e far ballare le persone. Questo brano è la nostra risposta al periodo vissuto e all’interno c’è la voglia di aiutare tutti in questo percorso di ripresa.

Oltre al singolo anche un album con queste sonorità quindi?

Non vogliamo catalogarci in un genere preciso, noi possiamo spaziare dal rock al pop, passando per lo psichedelico o anche per qualcosa di più intimo. Essendo una band emergente, però, siamo ancora alla ricerca di un sound ben definito, tuttavia non vogliamo precluderci nessuna via a livello musicale. Nell’album che uscirà tra pochi mesi ci saranno anche canzoni diverse tra di loro, ma sicuramente la nostra identità trasparirà in ogni brano.

Rispetto al vostro precedente singolo “Su-Spire”; “Dammi una ragione” suona in modo diverso, ma entrambi i brani sono facilmente riconducibili a voi. Come nasce questa vostra riconoscibilità nella differenza dei brani?

Rimanere riconoscibili è la cosa a cui teniamo maggiormente. Il processo creativo nasce nel nostro grande studio e avviene anche grazie al nostro produttore (Herman Ezscò ndr.), che è colui che ci ha convinto a scrivere i nostri pezzi inediti. Noi della band siamo in quattro e siamo persone differenti nei gusti e nelle emozioni. Questa differenza noi la mettiamo anche nella nostra musica, che infatti, presenta colori diversi e non un carattere monocromatico. Ciò che esce fuori ci rappresenta in pieno e in maniera diretta.

Piccola digressione sulla vostra storia, come è nato il progetto dei Dioniso?

Noi siamo giovanissimi e lo è anche la band, che è nata 2 anni fa da una mia volontà (Francesco ndr.). L’Idea era di  proporre quelle canzoni anni ’60/’70 che ascoltavamo di solito. Non solo quei successi planetari, ma anche quelle canzoni di nicchia che ci trasmettevano determinate emozioni. Così, da questa visione emotiva, è nata l’esigenza di formare una band vera e propria, che riuscisse in qualche modo a trasmettere quelle vibrazioni, ma attraverso i nostri pezzi.

Come giudicate questa riapertura contingentata dei live?

Rimettere in moto la macchina dei live è una cosa importante. Chiaramente nei concerti non lavoriamo solo noi musicisti, ma anche tantissimi tecnici che in questo momento sono stati un po’ dimenticati. Secondo me riprendere o quantomeno organizzare i vari concerti è un grande passo avanti. Poi chiaramente dipende da cosa si fa, i live chiedono una partecipazione forte da parte del pubblico, specialmente negli eventi rock. Però è un bel passo in avanti per la musica dal vivo.

Blindur: “In questo periodo abbiamo acquistato la giusta consapevolezza”

Di Francesco Nuccitelli

Tra i vincitori del musicultura 2020 ci sono anche i Blindur, band partenopea che con il suo sound unico e riconoscibile, sta ricevendo le giuste attenzione da tutti gli addetti ai lavori. Se in “A” siete rimasti colpiti, da 3000remix non vi riprenderete tanto facilmente. Un progetto dalle sette versioni differenti e dalle sette collaborazioni ricche di passione e musicalità, che hanno reso 3000X un brano con qualcosa di nuovo da raccontare. Insomma un EP di grande interesse e che Massimo De Vita ci ha raccontato:

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Come nasce l’idea di 3000remix?

3000X” è una canzone che mi ha preso moltissimo fin da subito, anche se all’inizio non era stata presa in considerazione come singolo. Durante il tour questa canzone aveva costituito il perno centrale del nostro live, ed è quella che abbiamo trasformato di più nelle sonorità durante i vari concerti; così abbiamo deciso di organizzare qualcosa di bello per questo brano. Visto che io amo molto le collaborazioni e le contaminazioni, ho deciso di chiamare una serie di amici e colleghi per tirare su questo progetto.

Come mai sette versioni per questo progetto? 

Perché io sono un po’ fissato su queste cose (ride ndr.) e sette è un numero magico. Tutta la canzone si tiene su una sorta di ritualità, un qualcosa di ancestrale e mi è piaciuto giocare un po’ con questa magia.

Questa è un’ idea estemporanea dall’album “A” o c’è comunque un filo logico oltre la scelta del brano?

Blindur è un progetto in continua evoluzione. Se si fa un analisi di tutte le produzioni che abbiamo pubblicato in questo periodo, si nota che il trend è sempre in evoluzione. Infatti, abbiamo cercato di non ripeterci mai. Io sono una persona molto curiosa, che ascolta molta musica e sono sempre alla ricerca di sperimentazioni e soluzioni nuove. In questi remix ci sono cose che appartengono già in buona parte a Blindur e altre che magari valorizzeremo meglio in futuro.

Parli già di un nuovo progetto, praticamente non vi fermate mai…

Noi stavamo terminando un tour e ci stavamo preparando per l’America; solo dopo ci saremmo presi una pausa per ragionare e per tirare i remi in barca per un po’, anche perché sono anni che Blindur non si ferma. Tuttavia, al momento qualcosa è cambiato, per ovvi motivi noi suoneremo di meno dal vivo, e così abbiamo deciso di mettere mano a cose nuove. Sarà una sfida interessante per noi, anche perché il prossimo, sarà il primo disco con la formazione al completo.

L’8 luglio è uscito il videoclip della versione 3000remix fatta da Marco Messina. Com’è stato lavorare con lui?

Con Marco è nata una collaborazione bellissima, ma in realtà con tutti è nata una splendida alchimia. Quando Marco ha fatto questo remix ci è sembrato così spontaneo e così naturale, adatto allo stile Blindur. Poi abbiamo scelto di proporre due versioni dei remix, una per le radio (la versione di Whodamanny feat. Fabiana Martone ndr.) e una per il video (Quella per l’appunto di Marco Messina ndr.). Anche il video è frutto di una serie di incontri fortunati.

Questo è stato un anno particolare, ma per voi è stato estremamente positivo. Come giudicate questo vostro percorso?

Le esperienze negative, anche quelle più delicate possono comunque essere convertite in energia creativa. In tutte le cose c’è comunque del potenziale, e più sono potenti nel bene o nel male e più potenziale nascondono. Quest’anno è stato un anno difficilissimo e assurdo ed entrerà nei libri di storia, però io non credo che esistano soltanto le cose buone o le cose cattive. Io non credo che si possa dire che il 2020 sia un anno da cancellare completamente anche se è stato complicato. In questo periodo abbiamo acquistato la giusta consapevolezza.

Con queste rivisitazioni, cosa ha guadagnato il brano?

È riuscito a sganciarsi dall’idea di brano d’autore, che è una cifra stilistica importante per Blindur.  In questa esperienza penso che si sia messa da parte l’aspetto più cantautorale del pezzo e sia venuto fuori il lato più emotivo e animalesco. Tutti quelli che hanno lavorato al brano sono riusciti a valorizzarlo e a portare alla luce un qualcosa di nuovo. Tante versioni bellissime e super evocative che hanno restituito alla canzone quel qualcosa in più.

Ecco la tracklist completa:
01. 3000X Marco Messina remix
02. 3000X Whodamanny remix feat. Fabiana Martone
03. 3000X Sanacore All Stars remix
04. 3000X Indigo remix
05. 3000X il Mago remix
06. 3000X Sodo Studio (Speaker Cenzou) remix
07. 3000X ADM remix

Annunciate anche le date del tour estivo

I CONCERTI

21/08 Bellosguardo (SA) – Rural Dimensions Festival

23/08 Marina di Camerota (SA) – Meeting del Mare *opening act per Dimartino e Colapesce *SOLD OUT

28 e 29/08 Macerata – Finale Musicultura 2020 @ Arena Sferisterio

04/09 S. Margherita Ligure (GE) – Finale Premio Bindi

06/09 Torino – Off Topic *in duo acustico + Stefanelli open act

11/09 S. Maria Capua Vetere (CE) – Matuta *in duo acustico

18/09 Salerno – Limen Festival @ Arena del mare

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MALEDIZIONE INDIE

Di Alessio Boccali

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Dapprima indie e basta, poi indie pop e sul finire ITPOP prima di essere assimilato al pop a tutti gli effetti. Lo abbiamo chiamato in tutti i modi questo “genere musicale” che negli ultimi anni ha riempito le nostre playlist e le nostre orecchie.

Questa tendenza musicale ha vissuto una parabola ascendente tale da far dibattere molto: si son aperti talk sull’indie, improvvisati dibattiti e, addirittura, scritti diversi libri. Ora però che succede? siamo giunti al “canto del cigno”? È notizia di poche ora fa lo scioglimento dei Canova, band milanese di casa MACISTE DISCHI; la notizia ha fatto di certo molto rumore, come accaduto nemmeno un anno fa con l’allontamento dai thegiornalisti e il conseguente esordio da solista di Tommaso Paradiso. Non parliamo poi della separazione professionale tra Carl Brave e Franco126, notizia che è passata forse più in sordina perché mai ufficialmente annunciata con post et similia, ma che ha portato dispiacere a non pochi ascoltatori. Insomma, tanti indizi fanno una prova, l’indie nostrano, per come avevamo imparato a conoscerlo negli ultimi anni, dunque nella sua accezione più pop e mainstream, sembra proprio agli sgoccioli.

Qualcuno naturalmente resiste (o ci lascia con la speranza che sia così): son certo che Calcutta viva da eremita in qualche campagna e stia preparando un ritorno in grande stile, Gazzelle ha rispolverato dal nostro armadio dei ricordi gli Zero Assoluto e ci ha cantato in un singolo nemmeno malaccio, COEZ è vivo, ogni tanto caccia fuori un feat. in cui la sua presenza è forte, poi torna sotto la sabbia, forse a lavorare a un nuovo progetto, altri come Motta o Brunori SAS – tanto per citarne due, ma di esempi da fare ce ne sarebbero un po’ – non hanno mai del tutto virato verso il mainstream – e per questo ho titubato prima di inserirli qui – conservando il loro alone di mistero e, forse proprio grazie a questa scelta, si son salvati dalla maledizione dell’ITPOP. Per i sopracitati il mondo non è mica finito, sia ben inteso, si è aperta forse una nuova pagina di vita, si è compiuta una scelta definitiva tra mainstream e mondo indipendente abbandonando quello che probabilmente era diventato un limbo troppo stretto e nel quale per varie esigenze – comprese quelle artistiche naturalmente, ma non solo – era impossibile rimanere.

Vasco Brondi, il quale anche lui già nel 2018 ha chiuso il percorso artistico de Le Luci della Centrale Elettrica per “ripartire in altre direzioni” (parole sue), ha pubblicato un libro praticamente undici anni fa, “Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero”, del quale, tralasciano il contenuto non in tema, mi piace prendere in prestito proprio il titolo per poi parafrasarlo così: “Cosa racconteremo di questo cazzo di indie”. Non voglio nemmeno togliere la parolaccia perché dà più enfasi a quello che è stato un fenomeno del quale probabilmente avremo da parlare ancora a lungo. Toccherà capire se a posteriori o dopo una nuova rinascita.

P.S. Tutto ebbe inizio, probabilmente, da Calcutta, ergo finché c’è Calcutta c’è speranza.

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ph. Credit Rolling Stone Italia

Alex Polidori: “Bisogna cambiare il presente per cambiare il futuro”

Di Francesco Nuccitelli

Quando guardare più in là serve, quando non bisogna pensare solo al proprio orticello, ma si deve andare oltre e cercare di salvare un intero ecosistema. Il poliedrico artista Alex Polidori, oltre a fare bene il suo mestiere, in questo caso come cantante con il suo ultimo brano “Mare di Plastica”, fa bene anche il ruolo di messaggero per la salvaguardia dell’ambiente e dei mari puliti. Nella speranza che il suo messaggio venga ascoltato da tutti, noi lo abbiamo intervistato:

Ciao Alex, come sta andando questo ritorno alla normalità?

Tutto bene! Continuo ad essere molto attento nell’osservare le regole di distanziamento e soprattutto di NON ASSEMBRAMENTO, ma comunque sto tornando a fare quasi tutto quello che facevo prima…con la mascherina!

Cantante, attore e doppiatore, in quale veste ti trovi meglio?

In tutte e 3! Sono varie sfaccettature della mia personalità e fanno parte di me. Nessuna esclude l’altra. Anche se la musica è probabilmente la mia passione più grande.

Mare di plastica

“Mare di plastica” è il tuo ultimo brano. Cosa ci puoi raccontare di questo singolo?

È una canzone volta a denunciare lo scarso rispetto per la natura e sensibilizzare le persone sul tema dell’emergenza ambientale. È un tema che ho molto a cuore e spero che questa canzone possa far riflettere ed essere apprezzata anche musicalmente.

Da dove nasce questo tuo impegno sociale?

L’idea è nata qualche mese, mentre guardavo un servizio in tv sui cambiamenti climatici e il problema della plastica in mare. Mi ha toccato e colpito moltissimo. Ho iniziato a riflettere sul fatto che se ognuno di noi cambiasse alcune abitudini, si potrebbe migliorare la situazione e far sì che l’uomo inizi ad impattare sempre meno sulla salute del pianeta. Tanti piccoli cambiamenti fatti da tutti possono diventare un grande cambiamento. Non si può più rimandare, non esiste “poi”. Bisogna cambiare il presente per cambiare il futuro. Mi ha ispirato tutto questo. Durante la quarantena mi sono avvicinato sempre di più al tema, partecipando anche a dirette instagram a tema ambientale con alcuni esponenti del movimento Fridays For Future, ho fatto piccole delle modifiche e ho ultimato il progetto. Credo fermamente che la musica sia uno dei mezzi di comunicazione più potenti e adatti a veicolare un messaggio così importante.

C’è un progetto più amplio, come un album, dietro al brano?

Per ora ho in progetto l’uscita di una serie di singoli, e in alcuni ci saranno ancora dei  riferimenti al rispetto dell’ambiente. Più avanti Mi piacerebbe realizzare un album. Magari il prossimo anno.

Prima di “Mare di plastica” c’è stato il brano “Virus Bastardo”, come hai vissuto questo periodo particolare?

È stato particolare. Ma nella negatività del momento ho provato a creare qualcosa di positivo e di essere prolifico al livello musicale. Essendo fermo col doppiaggio mi sono potuto dedicare al 100% alla musica. Tra le varie cose, ho voluto un esperimento social. Ho chiesto a chi mi segue su Instagram di aiutarmi a scrivere una canzone, suggerendomi attraverso dei sondaggi il mood della canzone e poi attraverso parole concetti e frasi che venivano loro in mente ho provato a scrivere un testo, componendolo quasi come un puzzle. Ovviamente ho messo molto del mio dopo aver scelto circa dovuto una trentina di parole, frasi, stati d’animo e concetti vari. Tutto convergeva verso la quarantena e quindi sono partito a scrivere su questo, ma in maniera molto spensierata e fresca. Così nasce Virus Bastardo.

Il tuo, come già detto, è un grido di allarme per l’ambiente. Cosa si può fare nel concreto per salvaguardare la natura?

Cambiare alcune piccole cose nel proprio stile di vita. Fare bene la differenziata, cercare di limitare i contenitori in plastica sostituendola con contenitori riutilizzabili. Si possono utilizzare borracce anziché le classiche bottigliette (già ogni volta che si riempie una borraccia si risparmia una bottiglietta di plastica e quindi uno dei rifiuti che finiscono di più nell’ambiente) spazzolini in bamboo, rasoi riutilizzabili, mascherine lavabili anziché monouso, non sprecare l’acqua, provare, dove possibile, a utilizzare mezzi elettrici per spostarsi. Queste sono solo alcune delle cose che si possono fare. Ovviamente la cosa principale è non disperdere rifiuti nell’ambiente circostante, e quello è un fatto di EDUCAZIONE prima di essere una questioni di rispetto della natura.

Celentano negli anni ‘60 scrisse la prima canzone ecologista e oggi tu proponi una canzone a difesa del mare e dell’ambiente. Pensi che sia cambiata la percezione dell’ambiente in questi anni?

Certamente sì! Ci sono tantissimi articoli, documentari, servizi in cui si parla del problema. È un emergenza di cui si parla molto ormai. Lo si conosce meglio e si sa anche abbastanza bene come affrontarlo, anche se è difficile. Sicuramente oggi non si può fare finta di niente come è stato fatto in passato. Tanti anni fa la risposta della natura sembrava non potesse arrivare mai, o si pensava che sarebbe arrivata tra centinaia di anni, forse. Ci si permetteva di rimandare, c’erano anche altri problemi più imminenti. Ma Oggi la situazione è critica e rimandare non è più possibile.

Alex Polidori

MILLE, “la vita le cose” e il bello della mia colorata quotidianità

Di Alessio Boccali

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MILLE, al secolo Elisa Pucci, cantautrice romana, ma milanese d’adozione, è un’artista a tutto tondo. Con il suo secondo singolo da solista intitolato “La vita, le cose”, vuole ribadire l’importanza, e la bellezza, delle piccole cose, riscoperte ancor di più durante questo periodo di lentezza forzata impostoci dal lockdown. Il suo elisir di felicità ha come ingredienti principali la semplice quotidianità e i colori…

Ciao Elisa, come hai passato questo recente periodo a Milano?

Nella mia routine non è cambiato molto, visto che io vivo tantissimo in casa perché lì penso, dipingo e scrivo e vado in studio solo per registrare. Devo dire che ho rivalutato molto questo periodo di quarantena perché mi sono un po’allenata alla lentezza; avevo preso già diversi impegni da tempo e quindi la sorpresa di ritrovare poi tutti i piani scombinati alla fine l’ho anche accolta di buon grado. Bisogna prendere le cose come vengono e pazienza se poi avevamo programmato tutt’altro. Quindi si, ho passato questi due mesi chiusa in casa come tutti e il rientro alla normalità mi ha fatto percepire per prime le gambe, che mi sembrava quasi di aver perso: la mia casa è molto accogliente, ma piccolina, avevo completamente dimenticato cosa significasse camminare o scendere le scale, quindi diciamo che il mio lockdown si è concluso con la riscoperta del corpo.

Diciamo che si è concluso con la riscoperta di quelle piccole cose di cui parli anche nel tuo singolo “La vita le cose”. Ho letto, poi, che con questo pezzo vuoi dare una risposta alla famosa domanda che poniamo sempre, spesso anche come semplice frase di circostanza, ovvero “Come stai?”…

Sì, per me sono sempre i piccoli dettagli che fanno la differenza e sono veramente tanto, tanto affezionata anche a quei piccoli riti quotidiani. Per me è una cosa grandiosa anche andare a fare la spesa con la mia dolce metà; perché se per gli altri è una rottura di palle fare la fila, fare i conti con gli altri carrelli… per me acquisisce sempre un valore immenso. Così ogni cosa che mi succede nella vita cerco di godermela, anche il gesto banale di fare la spesa, appunto, o di prendere un caffè. Il chiedere “come stai?” fa parte di queste routine perché poi magari lo sai già come sta l’altro, perché ci vivi insieme o intuisci più o meno la “temperatura” dell’altra persona, però è sempre un gesto che apprezzo. Cerco di guardare le cose con occhi sempre diversi e quindi mi sento molto più ricca di quello che poi in realtà sono.

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Sulla spalla hai tatuato un ritratto di Frida Kahlo; a lei spesso davano della surrealista, al che rispondeva sempre prontamente “Io interpreto o disegno solo la realtà”. Ho trovato un grosso parallelismo tra le vostre personalità, non solo su questo, ma anche con le cover dei tuoi singoli: il fatto che tu abbia disegnato su queste una specie di autoritratto, si specchia negli autoritratti della Kahlo dopo il suo incidente…

Beh, sicuramente nutro un amore sconfinato per Frida Kahlo, per la sua forza, per l’amore con Diego Rivera, per la sua vita in genarle… Ecco perché poi me la sono tatuata sul braccio. I suoi occhi sulla realtà sono per me un esempio, perché lei poteva benissimo maledire ogni cosa da cui era circondata, sì, malediva comunque il mondo, l’incidente, ecc., ma ne sapeva accogliere la bellezza anche nelle tragedie e questo mi ha sempre molto colpita. Sicuramente quel mood è un po’ anche il mio modo di vedere le cose e, per quanto riguarda le copertine dei singoli, l’aver disegnato una ragazza con i capelli rossi come me, probabilmente è solo un caso, perché poi quei disgni fanno parte di una serie che si chiama “Tette Sulle Spalle” e in realtà gli elementi che compongono i disegni sono simili in tutte le cover, ma anche molto diversi. Come per la musica, anche quando dipingo, non ho ben chiaro quello che voglio disegnare, sicuramente ho sempre a cuore il mettere su quel foglio tutto quello che mi sembra necessario nella mia vita.

 

Certo, è come un flusso di coscienza, ti fai guidare da quello e basta, nessun retropensiero, nessun ragionamento lungo…

Sì, assolutamente. Anche quando scrivo una canzone,in realtà, non lo so di cosa voglio parlare o scrivere, cioè per me è importante ciò che avviene, il movimento, quando mi alzo e mi siedo davanti al pianoforte e inizio a suonare, è questo che mi preme, anche perché con la canzone io decodifico le cose che mi accadono.

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Prima abbiamo parlato un po’ dei colori. Questi sono molto presenti nella tua vita, anche tra le tue foto è difficile trovare un bianco e un nero. Mi chiedevo da cosa derivasse, se c’è un legame un po’ con quello che mi hai raccontato fino ad adesso, cioè sull’apprezzare le piccole cose e quindi vedere sempre un po’ tutto a colori…

Tutto sempre a colori. Sono estremamente legata ai colori, sarà anche un po’ per contrapposizione con il colore nero, la lentezza del colore nero, che corrisponde spesso alle cose brutte. Io intendo distaccarmi da quella cosa lì. Mi è sempre piaciuto vestirmi colorata, un po’ anche grazie alla mia mamma, perché ho questa immagine di lei con i capelli lunghi, rossi, ondulati, vestita sempre colorata, con le gonne a vita alta che mi riporta a un concetto di delicatezza, benessere, felicità… Quella per me è sempre stata un’immagine sacra a cui ho voluto sempre attingere per sentirmi meglio.

E a proposito di stare bene, com’è stato uscire dalla “comfort zone” dello scrivere in inglese per passare all’italiano?

Finito il tour con i Moseek, avevo tempo per poter fare anche cose che non avevo mai fatto. Sicuramente, come per ogni cosa nuova, c’è il timore di sbagliare o di fare un cosa che non ti piace ed è oggettivamente brutta, ma soprattutto di fare qualche cosa che non mi rappresentasse, e invece quando poi ci ho preso gusto, ho assolutamente percepito che era totalmente una cosa che mi stava rappresentando; paradossalmente era una nuova scoperta, una nuova dimensione perché quando scrivevo in inglese per i Moseek ero molto legata ad un approccio estetico, se vogliamo anche molto ludico, ma non andavo ad addentrarmi in cose assolutamente personali anche perché avevo bisogno di fare una media con i pensieri dei miei colleghi di band, mentre in italiano ho quasi sentito l’obbligo di mettermi nero su bianco totalmente. Quando ho fatto leggere a Dario e Fabio (gli altri componenti dei Moosek, n.d.r.) questi brani, abbiamo subito detto “Beh, queste canzoni devono far parte di un altro progetto” e così si è delineato il mio progetto solista che è qualcosa di parallelo alla band.

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Prima mi hai parlato di Frida Kahlo, una donna eccezionale, perché spesso oggi, soprattutto per le donne, c’è il dovere di essere fuori dal comune per essere prese un po’ in considerazione anche nel mondo lavorativo. Ad esempio, leggevo in una tua intervista che, secondo te, è più facile oggi che ad un’anteprima di un film ci si accalchi più vicino all’attore uomo piuttosto che alla donna…

Si, io nello specifico ho parlato dello strapparsi i capelli, piangere. I fan sfegatati, quelli che piangono davanti al loro “idolo” per capirci. Sicuramente c’è bisogno anche per gli uomini di essere eccezionali, ma in generale, nella musica specialmente, per emergere bisogna essere eccezionali. Detto questo, c’è sicuramente una differenza anche di percezione del pubblico, è qualcosa di innato che abbiamo, fa parte della nostra abitudine, dei nostri usi e costumi; io sono cresciuta con la famiglia che mi ripeteva “Ma tu il principe azzurro che ti renderà felice non lo trovi?”. Il pensiero di dover trovare una seconda persona che ci renda felici è qualcosa di radicato nelle teste delle bambine perché siamo abituate a pensare che un principe azzurro ci salverà. Sicuramente non è una cosa che io condivido, ma nemmeno la condanno perché è un qualcosa che viene detto sempre con tanta innocenza e tanto amore da parte delle nonne, delle zie, delle mamme. Sicuramente le abitudini possono essere scardinate e il tempo lo può fare, perché stanno cambiando tante cose e sicuramente c’è bisogno di tanto impegno da parte sia degli uomini che delle donne per far notare appunto quelle piccole cose che però fanno la differenza, perché sono proprio le piccole battute, le piccole percezioni e considerazioni nei confronti di una donna che rendono grande la differenza di percezione rispetto ad un’artista, ma anche ad una lavoratrice.

Verissimo, ed è paradossale che ancor’oggi si debba parlare di queste “differenze”. Volevo chiudere chiedendoti qualcosa sul tuo futuro prossimo.

Non ti posso dire tantissimo. Sicuramente curerò la parte grafica, le copertine e tutto ciò che è disegnare qualcosa che riguarda il mio progetto. Posso dire che questa seconda canzone rappresenta un po’ un secondo capitolo di una storia che mi riguarda, la vivo come se fosse un album di fotografie, un libro, perché sono tutte cose vere, non faccio nomi e cognomi per ovvi motivi, però dentro le canzoni che scrivo c’è tutto quello che poi è accaduto realmente nella mia vita.

Quindi, azzardo un po’, magari il prossimo album sarà una sorta di raccolta di come quadri con la loro “spiegazione”, ovvero i brani.

Mmm… Vedrete, ma, più o meno, hai colto (ride, n.d.r.).