LEGION: episodio 01×03 – La recensione

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La terza puntata di Legion si apre con una scena che vede la dottoressa Melanie Bird, a capo di Summerland, dialogare con una macchina del caffè futuristica che racconta alla donna la storia giapponese della ragazza- gru, Tsuru no Ongaeshi: un taglialegna e la moglie salvano una gru da una trappola e ricevono, subito dopo, la visita di una giovane donna vestita di bianco. La ragazza si ferma dai due coniugi e li convince ad acquistare un telaio, con il quale provvederà a cucire dei vestiti che i due poi potranno vendere, in modo da sdebitarsi della loro ospitalità. La regola da non infrangere è una sola: mentre ella lavora, i due non la dovranno mai guardare. Chiaramente, la promessa fatta verrà presto infranta e la ragazza verrà rivelata per quello che realmente è, ovvero la gru che poco prima i due avevano salvato: a causa della curiosità dei due, ella volerà lontano senza mai più ritornare.

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La curiosità può essere spesso controproducente, è il chiaro messaggio della storia fornita dalla saggia macchinetta del caffè, e sarà proprio la curiosità nei confronti della mente di David Haller il fattore che metterà in pericolo l’intera combriccola di personaggi di Legion. Anche questa puntata infatti, come la precedente, si svolge interamente con Ptonomy, Melania Bird e la dolce Syd che continuano ad indagare sulla memoria del potentissimo mutante: ad un incremento continuo dei flash che David ha della sorella imprigionata e interrogata, corrisponderà una parallela necessità di capire la portata e l’entità dei suoi poteri prima che essi possano essere controllati.

Come i personaggi continuano imperterriti a voler esplorare la mente di David, fino anche a venirne imprigionati all’interno, così anche lo stile visivo e narrativo della serie cambia poco o niente rispetto alla puntata scorsa: se la struttura di Summerland comincia un po’ a stancare soprattutto a causa della monotonia delle location, quando veniamo catapultati nella mente del mutante la serie mantiene i suoi altissimi standard qualitativi. La trama orizzontale infatti è anche qui praticamente inesistente, lavorando più che altro sul groviglio di sensazioni e riferimenti confusi della labirintica mente del mutante e mantenendo una narrazione estremamente compatta ed efficace: i giochi di montaggio si alternano a continui cambi del taglio d’inquadratura,  con uno stile riconoscibilissimo e unico.

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In aggiunta, in questa puntata la serie viene contaminata anche da con fortissime tinte horror: in attesa di scoprire chi (o cosa) sia il terrificante “Demone dagli occhi gialli” che infesta la mente del povero David, dai suoi ricordi emerge anche un’altra figura a tormentare i tre esploratori della mente. Si tratta di un pupazzo dalla testa gigante (e dai tratti un po’ hitleriani) che sembra essere uscito direttamente dal macabro libro della buonanotte che veniva letto  ogni sera al piccolo David dal padre, la cui identità ci è ancora ignota.

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Se questa inedita svolta horror funziona alla grande, c’è da dire che viene naturale chiedersi quanto ancora la serie ideata da Noah Hawley reggerà questo tipo di narrazione che tanto indaga sul passato del protagonista, quanto fa progredire quasi per nulla la storia principale. David è un teleporta? È un telecineta? Un telepate? Quanto è potente realmente? Cosa è successo nel suo passato? Cosa, di quello che stiamo vedendo su schermo, sta accadendo realmente e cosa invece è solo una sua allucinazione? Ancora sono molte le domande alle quali la serie dovrà rispondere: fatto sta che noi da questo labirinto mentale ancora non riusciamo a uscire.

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Legion è una serie televisiva ideata e prodotta da Noah Hawley, trasmessa negli Stati Uniti dall’emittente via cavo FX dall’8 Febbraio 2017 e che in Italia va in onda ogni lunedì su Fox. Interpreti: Dan Stevens, Rachel Keller, Aubrey Plaza, Bill Irwin, Jeremie Harris, Amber Midthunder, Katie Aselton, Jean Smart. Una produzione Marvel Television, FX Productions, 26 Keys Productions

Kong: Skull Island – La Recensione in anteprima (senza spoiler)

Kong: Skull Island, diretto da Jordan Vogt-Roberts. Cast: Tom Hiddleston, Samuel L. Jackson, Brie Larson, John Goodman, John C. Reilly, Toby Kebbell. Prodotto da Legendary Pictures e distribuito da Warner Bros. Pictures. Uscita nelle sale italiane: 9 Marzo

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È in uscita nelle sale italiane il 9 Marzo il secondo film appartenente all’ormai dichiarato universo condiviso dei mostri giganti, il MonsterVerse, che segue il Godzilla del 2014 diretto da Gareth Edwards.

Come il film del lucertolone, anche questo Kong: Skull Island è stato diretto da un regista semisconosciuto, Jordan Vogt-Roberts, a cui (nonostante avesse alle spalle solo una piccola pellicola indie) è stato affidato il budget stellare di questo reboot: quello a cui tiene Roberts è però mettere subito in chiaro, sin dall’inizio del film, la volontà di intraprendere una strada totalmente diversa rispetto alle varie versioni di King Kong che abbiamo in passato visto su schermo.

Questa grossa differenza si vede già a partire dal setting: dopo un’efficace sequenza di apertura ambientata durante la fine della Seconda Guerra Mondiale, che fa un po’ da prologo al film, veniamo catapultati nell’epoca in cui il resto della pellicola sarà ambientata, gli anni ’70. In questo salto cronologico l’associazione governativa M.O.N.A.R.C.H. (già vista proprio in Godzilla), guidata da John Goodman, decide di andare ad esplorare un’isola incontaminata a sud del Pacifico, l’Isola dei Teschi, da sempre rimasta fuori dalle mappe e ora finalmente trovata grazie a nuove foto satellitari. Gli scienziati saranno accompagnati da un gruppo di soldati guidati da Samuel L. Jackson, un comandante dei marines desideroso di rivincita dopo aver abbandonato la guerra contro i “Charlie”, dal cacciatore britannico Tom Hiddleston (vestito come Nathan Drake di Uncharted) e  da Brie Larson, una fotografa in cerca di nove avventure.

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A sostituire la classica ambientazione degli anni ’30, quindi, è proprio la gustosa estetica dei Seventy’s a farla da padrone: oltre ai numerosi rimandi alla guerra del Vietnam e ai suoi soldati in perenne ricerca di un’altra battaglia da combattere (alcune scene sono un chiaro omaggio ad Apocalypse Now), anche la colonna sonora pompa canzoni rock di quell’era, da Down on the Streets dei The Stooges fino a Run Through the Jungle di John Fogerty,  in una maniera che per fortuna ricorda più i Guardiani della Galassia che Suicide Squad (nel quale le canzoni sembravano inserite un po’ forzatamente).

Il tono del film è molto diverso anche dalla pellicola con la quale Kong: Skull Island condivide lo stesso universo: se Godzilla era abbastanza serioso e la sua estetica puntava a toni cupi e a colori tendenti al grigio e al bluastro, qui invece ci troviamo davanti ad un tripudio di rossi, arancioni e colori saturissimi che ricordano molto Mad Max Fury Road, così come non mancano parecchie battute e dialoghi divertenti. In aggiunta, se in Godzilla gli uomini erano protagonisti tanto quanto il lucertolone (comunque al centro di alcune sequenze di distruzione mozzafiato), qui il protagonista indiscusso è Kong, unico vero personaggio della pellicola a cui è riservato anche un po’ di background. I personaggi di cui abbiamo parlato, infatti, rimangono piatti quanto una sottiletta per tutta la durata della pellicola: non verremo a conoscenza di alcun retroscena né vera motivazione di alcuno di loro, nessuno avrà un’evoluzione, non ci interesserà della morte di nessuno, in una vuotezza così marcata che persino il tentativo dell’avventuriero interpretato da Tom Hiddleston di dire qualcosa sul suo passato, a un certo punto del film, ci sembrerà quasi fuori luogo.

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Ma tutto ciò è necessariamente un difetto? Dipende sicuramente con quale predisposizione e aspettativa state andando a vedere il film: se pensate di trovare approfondimento psicologico e sentimento, se volete commuovervi e meditare sulla differenza tra l’uomo e l’animale come nella versione di King Kong di Peter Jackson, allora state pure a casa. Se volete spegnere il cervello per due ore e lasciarvi trasportare dal divertimento eccessivo più assoluto, invece, siete nel posto giusto. Sì, perché Kong: Skull Island funziona così bene proprio perché non ha paura di dichiararsi apertamente tamarro e sopra le righe in tutto. L’approfondimento è accantonato in favore dell’estetica più assoluta: le location sono meravigliose, il design delle creature fa gioire chiunque da bambino abbia passato pomeriggi a disegnare mostri di ogni genere, lo scimmione e le sue scazzottate lasciano con gli occhi sbarrati dallo stupore. Sorprende soprattutto, infatti, come questo regista sconosciuto sia riuscito a mettere in scena queste sequenze di combattimento dove l’azione è fluida e mai caotica, con la telecamera che segue i bestioni che si cartellano di mazzate dando una chiara idea della loro mastodontica scala.

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Chiaramente non mancano degli eccessi, e questa grafica fumettosa a tratti richiama troppo un videogioco (per chi ha già visto il film: maschera antigas + katana), così come anche il montaggio frenetico e aggressivo funziona alla grande nelle sequenze d’azione ma forse dà leggermente fastidio in quelle che dovrebbero lasciare un po’ più di respiro allo spettatore. Tuttavia questo non voler essere autori a tutti i costi, questo divertirsi e voler divertire (e fare anche un po’ gli scemi) ci piace da morire, e crea un nuovo canovaccio-tipo da filmone di serie-B tutto made in Hollywood.

Si abbandona la civiltà per buttarsi a capofitto in una natura sconosciuta, in cui tutto è grande e ignoto:  lo scimmione sorge maestoso davanti al sole e gli elicotteri di lamiera, che poco prima hanno superato una tempesta di fulmini, cadono come mosche sotto la collera del mostro. Una delle icone cinematografiche più antiche di sempre è tornata, e stavolta Kong è veramente il Re indiscusso.

P.S.: Restate fino alla fine dei titoli di coda… Ne vale davvero la pena.

Oscar 2017 – Cosa è successo realmente dietro all’errore?

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L’edizione appena passata degli Oscar verrà ricordata sicuramente sopratutto (ahimé) per il cosiddetto “Envelope Gate“: l’errore durante l’annuncio del premio per il Miglior Film che ha portato ad una delle più grosse gaffe mai avvenute alla cerimonia filmica più importante e seguita al mondo. E se il povero e imbarazzato presentatore della serata, Jimmy Kimmel, ha (doverosamente) aperto la sua puntata del suo Jimmy Kimmel Live Show spiegando come ha vissuto l’accaduto, arriva oggi anche il comunicato ufficiale sull’accaduto da parte della società PricewaterhouseCoopers, che si è presa completamente la responsabilità di quanto accaduto.

Se, infatti, già dopo la cerimonia era emersa ogni tipo di teoria, dalla spassosa vendetta di Leonardo Di Caprio contro l’Academy fino anche al complotto per aumentare l’impatto della serata sulla stampa di tutto il mondo, il comunicato ufficiale di Tim Ryan, uno dei dirigenti dell’azienda, fuga ogni possibile dubbio sull’accaduto:

Alla fine, non è stato nient’altro che un errore umano. È stato un semplice errore. Questo è quello che è accaduto esattamente: il nostro collaboratore che si trovava sul lato sinistro del palco, Brian Cullinan, ha consegnato la busta sbagliata a Warren Beatty, e appena ci siamo resi conto dell’errore ci siamo fiondati a segnalare l’errore per correggerlo.

Ci scusiamo con i produttori di La La Land per aver non essere riusciti a segnalare la cosa prima che iniziassero a fare i loro discorsi di ringraziamento. Quando l’Oscar a La La Land è stato annunciato, i due collaboratori che sapevano chi erano i vincitori (che sono gli unici a sapere i nomi prima dell’apertura delle buste) si sono resi conto dell’errore fatto, e hanno iniziato a segnalare la cosa alle persone adatte.

È stato un po’ caotico, c’è voluto del tempo prima di salire sul palco e far sapere alle persone presenti che c’era stato un errore. Sfortunatamente in quel lasso di tempo erano già stati pronunciati due discorsi e mezzo.

Ho parlato con l’Academy ed espresso le nostre scuse, assumendo la responsabilità di ciò che è successo. Sto contattando anche le varie persone che sono state colpite da quanto accaduto.

Ricordiamo che la società PricewaterhouseCoopers si occupa ormai da anni di gestire in totale segretezza lo spoglio dei voti dell’Academy, oltre ad imbustare e trasportare in valigetta le preziose cartoline contenenti i nomi dei vincitori alla serata di Gala. E’ stato quest’anno resa pubblica la principale causa del problema: sono infatti presenti DUE valigette con due copie delle buste, che vengono distribuite da entrambi i lati del palco ai presentatori che entrano in scena. Brian Cullinan e Martha L. Ruiz sono i due collaboratori che si occupano del trasporto delle valigette,  e sono proprio loro a posizionarsi ai due lati del palco consegnando le varie buste. 

Insomma, fa un po’ sorridere che anche un metodo così complicato e apparentemente infallibile come questo non sia riuscito a prevenire questo clamoroso errore, capitato malauguratamente proprio nella parte più importante della serata. In aggiunta, arriva anche il Los Angeles Times ad analizzare un altro possibile problema sorto quest’anno: il colore delle buste. Dal 2011, è infatti la prima volta che esse non sono di un colore chiaro, con un grosso font nero stampato sopra, a riportare il nome della categoria: il colore rosso di quest’anno, invece, con i suoi piccoli caratteri dorati, avrebbero contribuito anch’essi a non rendere immediatamente riconoscibile l’errore commesso.

Suicide Squad 2, Mel Gibson: “Abbiamo discusso della storia”

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Non è una novità che Mel Gibson sia ormai in aperte trattative con la Warner Bros. per dirigere il secondo capitolo di Suicide Squad, dove vedremo i supercattivi dal cuore tenero tornare sul grande schermo (nonostante l’accoglienza abbastanza tiepida riscossa nel grande pubblico e la demolizione della pellicola da parte della critica).

Arriva proprio dalle molte domande riservate all’eccentrico attore e regista durante la serata degli oscar qualche novità sullo stato delle trattative:

“Ho appena incontrato alcune persone e abbiamo parlato di alcuni punti della storia, ma non so ancora se lo farò. Ammetto però che è divertente chiacchierare di certe cose senza impegno. Se poi riusciremo a dare massima espressione a ogni nostra idea, vedremo!”

Ecco tutta l’intervista di Entertaiment Tonight:

Joonas Suotamo è ufficialmente il nuovo Chewbacca di Star Wars

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Peter Mayhew è stato l’attore nascosto dentro al costume del Chewbacca che abbiamo imparato ad amare in tutti i film della saga fino adesso usciti. Ne Il Risveglio della Forza però, a sostituirlo nelle scene più impegnative e complicate era stato Joonas Suotamo, un giocatore di basket. Avendo ad oggi più di 70 anni ed avendo da tempo grossi problemi di deambulazione dati dalla sua altezza di 2m e 18cm, arriva oggi l’annuncio ufficiale del passaggio di testimone con il giovane cestista (Suotamo ha anche una laurea in cinema), in concomitanza con l’inizio delle riprese del secondo spin-off di Star Wars, Han Solo: A  Star Wars Story (titolo ancora non ufficiale).

Tramite un tweet, l’attore ha voluto mandare un messaggio ai fan:

Sono enormemente grato per la straordinaria opportunità che mi è stata offerta: diventare parte del franchise Star Wars, che seguo da quando ero bambino. Voglio ringraziare la mia famiglia, gli amici, il mio allenatore e i miei compagni di squadra, tutti i membri del cast e della crew, la Lucasfilm e la Disney, tutti i fan di questo universo spettacolare e in maniera particolare Peter Mayhew.

Chewbacca è uno dei personaggi più iconici della storia del cinema e nell’interpretarlo Peter ha portato gioia in tutto il mondo. I consigli di Peter e la sua dolcezza sono stati dei doni incredibili che hanno riscaldato il mio spirito, preparandomi per questo viaggio. La mia aspirazione è rendere Peter orgoglioso e regalare ai fan il Chewie che conoscono e adorano.

Ci vediamo in una Galassia lontana, lontana…

Ghost in the Shell: ecco due strepitosi nuovi poster!

Sono state diffuse oggi due nuovi poster ufficiali del film Ghost in the Shell, con Scarlett Johansson, in uscita a Marzo nelle sale.

Eccoli qui:

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Ghost in the Shell è basato sul manga di Masamune Shirow ed è diventato famoso in tutto il mondo grazie all’adattamento anime del 1995: la storia vede come protagonista Major, un agente speciale ibrido tra cyborg ed essere umano umano a guida della task force speciale Section 9, che dovrà confrontarsi con un nemico il cui obiettivo è quello di annientare i progressi nel campo della cyber-technology della Hanka Robotics.

LEGION: episodio 01×02 – La recensione

La seconda puntata di Legion ci porta direttamente dentro la mente del disturbato mutante, dove si comincia a diramare la nebbia che circonda il suo passato

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Dopo un eccellente primo episodio, Legion continua il suo folle viaggio nella mente di David Haller, mutante la cui potenza smisurata corrisponde ad un’altrettanto acuta instabilità mentale. Se c’era qualche dubbio che l’impianto narrativo “psicologico” della prima puntata si rivelasse essere un esperimento singolo, prendendo poi una piega più canonica con il proseguire della serie, questa seconda puntata spazza via ogni dubbio e riesce a conferire a Legion un’identità ben definita: va detto però che il marchio stilistico distintivo e riconoscibile che troviamo in questa serie televisiva è dovuto anche alla sua noncuranza rispetto al materiale originale, esempio lampante di come il non sentirsi vincolati da gabbie imposte nel rispetto della continuity di questi ormai diffusissimi Multiversi non sia sempre un male.

L’episodio si apre esattamente dove quello precedente si era concluso. Troviamo infatti David proprio dove lo avevamo lasciato, ovvero intento a dirigersi verso la misteriosa oasi di Summerland, dove i mutanti possono vivere al sicuro e allenare i propri poteri; va fatto notare come ai lettori di fumetti il personaggio di Melanie Bird (interpretato da Jean Smart), che sembra essere a capo dell’istituto, riporterà inevitabilmente alla mente il Charles Xavier della Scuola per Giovani Dotati delle testate Marvel ( che tra l’altro è proprio il padre biologico di David nei cicli fumettistici).

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David inizierà qui l’addestramento per capire e controllare i suoi poteri, con il contributo fondamentale di Ptonomy (Jeremie Harris), che ha il potere di leggere la memoria altrui. Se nel primo episodio ci trovavamo ad osservare la mente di David dal di fuori, grazie a questo espediente nel secondo episodio veniamo invece catapultati direttamente dentro la mente dell’instabile mutante: torniamo indietro nel tempo per visitare i ricordi di David e, partendo da un atmosfera serena, assistiamo ad esempio agli incontri con il suo vecchio psichiatra (dove le scene riescono a creare un forte senso di disagio grazie alla scelta di accelerare lievemente il girato), culminando infine con un’inquietante scena dove vediamo il piccolo David nella sua cameretta, mentre suo padre (celato nell’ombra) gli legge il libro The Angriest Boy in the World, storia di un bambino che assassina brutalmente sua madre.

I vari flash creano un vero quadro impressionista di immagini: la manipolazione dei ricordi e della mente corrisponde ad un consequenziale cambio del taglio dell’immagine e dell’inquadratura, e allo stesso modo della prima puntata anche qui non è chiara la sequenza temporale degli eventi. Nonostante la trama vera e propria non prosegua quasi per niente, riusciamo però a scoprire diverse cose del fumoso passato del nostro antieroe, intuendo ad esempio che le apparizioni del misterioso Demone dagli Occhi Gialli siano cominciate proprio a partire dalle avventure a base di droga con Lenny Busker (Aubrey Plaza).

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Chapter 2 è chiaramente una puntata transitoria ma, come si nota da questa breve sintesi, ancora una volta la scelta narrativa messa in atto da Noah Hawley dimostra come la struttura scelta per raccontare una storia si riveli essere spesso più solida ed efficace della storia stessa: il racconto frammentato in visioni e suggestioni funziona proprio perché è uno specchio della mente confusa di David, dove lo spettatore si ritrova intrigato e invogliato a scoprire ogni volta un tassello in più. Per adesso, infatti, è proprio questa la cosa che maggiormente colpisce e convince di Legion: in un mondo cinematografico dove ormai gli “spiegoni” la fanno da padrone, con l’intento di arrivare anche agli spettatori più duri d’orecchi, qui per una rara volta è invece l’osservatore che deve fare i conti con i propri dubbi, ragionando per cercare di comprendere appieno la storia.