Lucio Leoni, dialogo sui “massimi sistemi” tra due logorroici

Di Alessio Boccali

 

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Ph. Cecchetti

“Dove sei coincide con dove vorresti essere?” È questa la domanda che ha chiuso la mia chiacchierata con Lucio Leoni, reduce dall’uscita del suo ultimo lavoro “Dove sei pt.1”. La sua risposta, però, racchiude a pieno il contenuto dell’intera intervista, quindi ve la metto qui prima di lasciarvi al botta e risposta tra due logorroici come me e Lucio: Dove sei non coincide quasi mai con dove vorresti essere; semplicemente perché è difficilissimo rendersi conto di voler essere in un determinato punto in un determinato tempo. Penso che se ci accorgessimo di questo, ci accorgeremmo immediatamente anche di essere felici.

Ciao Lucio! Siamo qui per parlare del tuo nuovo disco “Dove sei pt.1”. Prima domanda, banalissima, come mai questa divisione del tuo progetto in pt.1, uscita ora, e pt.2 che uscirà in autunno?

Ciao Alessio, ti dirò: la questione è semplice. Io ho un approccio molto verboso alla musica, non conosco bene il dono della sintesi (ride, n.d.r.). Nella sezione di registrazione sono nati 16 brani e metterli tutti insieme in un disco sarebbe stato pericoloso, antipatico. Io e i miei collaboratori abbiamo cercato di andare incontro all’ascoltatore per dargli un po’ di respiro per metabolizzare i brani.

Questo “Dove sei”, rigorosamente senza punto interrogativo, ha un legame con i tuoi precedenti dischi “Lorem Ipsum” e “Il Lupo Cattivo”?

Sì, c’è una sorta di fil rouge che li lega. “Lorem Ipsum” ruotava attorno alla comunicazione con tutto ciò che è esterno al sé, mentre “Il Lupo Cattivo” è una riflessione sulla comunicazione interna a noi stessi, all’interno del bosco; ora con questo nuovo lavoro c’è una sintesi di tutte e due le forme di comunicazione, sono uscito dal bosco, ma continuano ad esserci dubbi, bivi e strade tortuose.

 

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Ph. Cecchetti

A proposito di dubbi e di bivi, mi collego subito al primo pezzo in tracklist, ovvero “Il fraintendimento di John Cage”. Ho apprezzato molto non solo la riflessione fatta, appunto, sul dubbio e quindi sulle scelte, ma anche il tuo continuo rivolgere il pensiero al concetto di felicità. Tra il serio e il faceto canti “Guarda che tu sei felice solo quando decidi di esserlo…”; ti chiedo, è più facile essere felici o rendersene conto?

Wow, cacchio che domandone! (ride, n.d.r.) Eh… è più facile essere felici, rendersene conto è più difficile, è un passaggio in più; per rendersi conto della felicità bisogna lasciar cadere un po’ di schermi, un po’ di maschere che ci mettiamo davanti. Probabilmente siamo molto più felici di quanto pensiamo di esserlo.

Sai che ho notato questa cosa anche nel tuo disco… ti ho sentito più ottimista del solito.

Non sei il primo che me lo fa notare e mi incuriosisce molto questa cosa. Ogni volta che termino di scrivere un disco mi rimprovero di essere stato un’altra volta pesante, un’altra volta depresso… e invece anche tu mi dici che questo disco ha uno sguardo ottimista. Ti dirò che mi fa molto piacere e allo stesso tempo mi stupisce. Vedi? Torniamo a quello che dicevamo prima, significa che non me ne rendo conto quando sono felice o comunque sto un attimo meglio (ride, n.d.r.).

Provo a giustificarti la mia teoria sull’ottimismo di “Dove sei pt.1”. Ne “Il sorpasso” feat. C.U.B.A, Cabbal, ad esempio, parli di un progresso che l’arte e la gente comune hanno realizzato, mentre le istituzioni ancora no, oppure non se ne sono accorte. C’è una parte del brano che riassume benissimo questo concetto ed è quando canti “Siamo già arrivati. Che facciamo, bussiamo?”. Il senso della mia constatazione è questo: la società, in quanto insieme di cittadini, sta davvero già avanti rispetto a varie problematiche sociali come l’omofobia o il razzismo, mentre le istituzioni continuano ad enfatizzare l’esistenza di queste problematicità?

Sì, ho la sensazione che tutta una serie di questioni che tuttora sono il fulcro delle discussioni politiche contemporanee e vengono identificati come dei problemi: “il problema dell’immigrazione”, “il problema della sessualità liquida”, ecc. siano in realtà, per fortuna, in grande scala superati. Viviamo fianco a fianco con persone dal colore della pelle diverso dal nostro, con culture e tradizioni differenti, eppure mi sembra che nella realtà dei fatti ce la caviamo benissimo. Sono speranzoso nel pensare che noi questi noiosi paradigmi li abbiamo superati e chi non l’ha ancora fatto, deve svegliarsi. Non esiste il clandestino, siamo tutti parte dello stesso mondo e questa pandemia dovrebbe avercelo ancora una volta dimostrato. Eppure, c’è sempre chi deve parlare, ad esempio, della conversione di Silvia Romano all’Islam, ma di cosa stiamo parlando? Discorsi senza senso. Nonostante questo, te lo ripeto, sarà anche perché la speranza è da sempre una dote peculiare di chi scrive, ma penso che siamo molto più evoluti di quanto si possa pensare.

Siamo più felici, più evoluti di quanto possiamo pensare e ascoltando il tuo brano “San Gennaro”, rilancio con un “anche più spirituali” nella nostra continua ricerca di un senso. Cosa rappresenta per te indagare su te stesso e su ciò che ti circonda, guardare al di là dell’oggettività delle cose?

Bella domanda. Sicuramente la risposta migliore che posso darti è questa: mettermi continuamente in discussione. Quando credi di essere arrivato al punto più “giusto”, quando riesci a darti una definizione, è proprio quello il momento in cui devi fare un passo in più. “Cercare” è un processo ininterrotto; è necessario non stare mai troppo attaccati all’idea che ci si fa di noi stessi e, soprattutto, stare sempre all’ascolto delle opinioni degli altri, del racconto delle vite altrui… la vita non può essere filtrata solo attraverso la tua esperienza; è necessario mettersi in contatto con tutte quelle situazioni diverse dalla propria, che ti danno una visione più ampia della complessità del mondo.

Un altro pezzo che mi ha colpito è “Dedica” con Francesco Di Bella. Ti faccio una premessa: al primo ascolto l’intro mi ha ricordato “A mano a mano” di Rino Gaetano e successivamente mi è piaciuto molto la strizzatina d’occhio a “La crisi” dei Bluvertigo. A parte questo però, quello che mi è piaciuto molto è questo pensiero di aver finalmente raggiunto un’affermazione personale senza però non poter guardare con un briciolo di nostalgia al passato…

Innanzitutto, mi piace la premessa: l’omaggio a Rino non era cercato, ma effettivamente ci sta. Per quanto riguarda la domanda, qui l’ottimismo di cui parlavamo prima scema un po’ perché questo pezzo riguarda il mio rapporto col tempo: una relazione particolarmente confusa. Da una parte, infatti, c’è l’ancorarsi alla memoria e all’esperienza, anche se così si rischia di perdere il senso del presente, dall’altra parte invece c’è una chiave di ottimismo nell’essere fuori pericolo dall’avere tutta la vita davanti. Ti spiego meglio. Quando sei giovane e ti dicono che “hai ancora tutta la vita davanti”, ti senti, sì, pieno di speranza, ma allo stesso tempo sei investito da tante aspettative e da tante responsabilità. Ecco, scoprirmi libero da queste attese, mi fa stare meglio. Della serie “Il più l’ho fatto. Com’è andata, è andata…”

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Ph. Cecchetti

Nei tuoi pezzi c’è sempre stata una grandissima attenzione ai testi, ben accordati con la musica. Questa grande ricerca testuale e dunque attenzione al significato delle parole è espressa nel miglior modo dal brano “Atomizzazione”.  Ebbene, attraverso il senso di questo brano voglio collegarmi a ciò che potrebbe essere il futuro prossimo della musica live e quindi la possibilità della nascita dei famosi concerti in streaming. Non c’è il rischio, con questa digitalizzazione, di perdere il senso del concerto, ovvero del suo concepirlo non come banale momento di fruizione musicale, ma anche, e soprattutto, come esperienza?

Secondo me questo rischio non c’è perché non c’è la possibilità di trasferire un concerto nel mondo digitale. Un concerto è uno spettacolo dal vivo, è un’esperienza vissuta assieme, un momento di compresenza, di respiro comune, una relazione tra emittente e ricevente e se quelle parti non sono insieme nello stesso luogo non avviene un concerto. Quello che succederà con la digitalizzazione del live, se così vogliamo chiamarla, sarà un qualcosa di altro. Qualsiasi tipo di forma verrà individuata per portare avanti questo discorso, dovrà essere interpretata come un qualcosa di diverso: non ci possiamo permettere di pensare di poter trasferire la forma di spettacolo dal vivo dentro a un altro vettore. Quindi, quello che possiamo fare e che per un certo senso rappresenta per me anche uno stimolo è immaginare e sviluppare altre forme di intrattenimento. Se siamo separati da uno schermo non possiamo parlare di spettacolo dal vivo.

Per finire, una piccola osservazione sul mondo della radio visto che ne hai fatta. Secondo te, questi giorni che abbiamo trascorso in casa e che ci hanno fatto in qualche modo rallentare e lasciato più spazio alla riflessione, al pensare, cambieranno la nostra attitudine ad ascoltare la musica. C’è una speranza di diventare più propensi all’ascolto di un racconto in musica piuttosto che rimanere spesso ascoltatori passivi?

Mi piacerebbe tanto risponderti di sì. Sinceramente, voglio essere speranzoso, ma non lo so se abbiamo imparato a gustarci le sensazioni di un racconto. La sensazione che ho è che comunque sarà il futuro, durante questo lockdown, la maggior parte delle persone ha riscoperto il valore del tempo e ha imparato a viverlo in una maniera diversa. Pensa solo a quanta gente ha passato tante ore in cucina scoprendo che poi cucinare non è così difficile o noioso. Me lo auguro che questo periodo ci abbia fatto riflettere anche sulle modalità di fruizione dell’arte e ci abbia riavvicinato a tutte le sue forme. Sarebbe molto bello.

PINGUINI TATTICI NUCLEARI

di Francesco Nuccitelli

Grande rivelazione sul palco dell’Ariston sul quale sono arrivati terzi con la loro “Ringo Starr” nella categoria BIG del Festival di Sanremo 2020, i Pinguini Tattici Nucleari (all’anagrafe Riccardo Zanotti, Nicola Buttafuoco, Lorenzo Pasini, Simone Pagani, Matteo Locati ed Elio Biffi) si sono prestati con grande simpatia alle nostre domande.

Dopo questo Sanremo vi sentite ancora “Ringo Starr” in un mondo di John e Paul?
Non abbiamo mai smesso di esserlo, è vero, abbiamo acquisito molta più visibilità dopo Sanremo, ma restiamo quelli di sempre, Ringo lo siamo stati per molti anni durante la nostra gavetta e anche se la partecipazione a Sanremo ci ha permesso di fare il salto e arrivare al grande pubblico, continuiamo a conservare lo spirito di Ringo Starr.

Com’è suonare sul palco dell’Ariston?
Suonare sul palco dell’Ariston è stata probabilmente una delle esperienze più emozionanti della nostra vita, è stato stimolante ed è stata una sfida con noi stessi in uno dei contesti più complessi con cui un musicista si può rapportare. Abbiamo vissuto una settimana magica piena di cose bellissime e che ci ha caricati al massimo per affrontare al meglio l’instore tour prima ed il tour nei palazzetti poi.

 

Con l’aiuto del WWF e grazie ai Pinguini Tattici Nucleari, da oggi in Antartide ci sono 100 pinguini imperatore che portano i nomi di stelle della musica italiana, e che non sono più in pericolo.

 

Qual è stato il criterio di scelta dei brani per il medley?
Come primo criterio di selezione abbiamo adottato l’ordine cronologico, prendendo le canzoni degli anni 50 e andando poi avanti con i decenni successivi. Abbiamo poi tenuto in considerazione la musicalità dei vari brani e la loro potenza musicale; non tutte le canzoni si riescono ad unire bene con le altre e quindi si doveva trovare qualcosa che avesse una certa potenza musicale, ma che allo stesso tempo avesse delle connessioni armoniche che permettessero alle canzoni di amalgamarsi le une con le altre.

Cosa significava per voi il festival e cosa significherà da oggi in poi?
Era un’esperienza nuova, che avremmo voluto provare. Da oggi in poi sarà una cosa in più che abbiamo fatto, un’esperienza che ci ha permesso di metterci in gioco e provare qualcosa di diverso, strepitoso. Nonostante sia stato molto importante, per noi in fondo è stata però solo una tappa: eravamo già per strada, con il successo di Fuori dall’hype e il tour nei palazzetti in partenza, ma il podio davvero non ce lo aspettavamo.

La vostra canzone di Sanremo?
Della settantesima edizione del Festival ci sono piaciute molto la canzone di Gabbani e quella di Anastasio.

In “Fuori dall’Hype Ringo Starr”, la riedizioni del vostro “Fuori dall’Hype”, ci sono nuovi inediti e nuovi arrangiamenti. Cosa ci potete a proposito?
“Bergamo”, che sembra essere una canzone d’amore per la nostra città natale, è in realtà un brano sulla bellezza, mentre “Ridere” è un pezzo che parla della grande paura generazionale degli gli Under30: la convivenza. Se va male, ci puoi solo ridere su! Ci sono poi gli arrangiamenti di Irene, in acustico con gli archi, e di Cancelleria, registrata live all’RCA Studio.

Neanche il tempo di rifiatare che già ripartirete per il tour. Non riposate mai?
Abbiamo deciso di goderci la vita da John e Paul per un po’, poi vediamo che accadrà.

Le pagelle della seconda serata di Sanremo 2020

Di Alessio Boccali e Francesco Nuccitelli

Seconda serata di gara per il festival di Sanremo 2020 e, quindi, seconda mattinata di pagelle per noi direttamente dalla sala Stampa Lucio Dalla.

Piero Pelù – Gigante

Alessio Boccali: Ho fatto fatica a comprendere tutte le parole, ma devo dire che comunque il pezzo gira. Certo mi ricorda un po’ la canzone di Jeeg Robot o, più in generale, la sigla di un’anime… Voto 6

Francesco Nuccitelli: Musicalmente il pezzo è forte, il testo sarà pure interessante ma nel live è poco comprensibile. Il palco lo gestisce alla grande, ma per festeggiare quarant’anni di carriera è un po’ poco. Voto 6,5

Elettra Lamborghini – Musica (e il resto scompare)

A.B.: Elettra sale sul palco emozionata e molto meno sciolta del solito. Nemmeno il suo twerk è così “convinto”. Il pezzo ha l’unica pretesa di entrare in testa: ci riuscirà e sarà la hit dell’estate quando il resto, giocoforza, scomparirà. Voto 5 

F.N.: La canzone sarà un tormentone, ma sul palco dell’Ariston stona parecchio. Nell’album rende, l’idea del brano è interessante, ma l’emozione è penalizzante per la sua performance. Voto 6

Enrico Nigiotti – Baciami adesso

A.B.: Bello l’assolo di chitarra, per un resto un pezzo più pop che d’autore che non entusiasma né arricchisce il curriculum di belle canzoni scritte dal cantautore livornese. Voto 4,5

F.N.: Dopo “Nonno Hollywood”  tutti si aspettavano molto di più. La ballad non gira, il testo è semplice (per una bella penna come la sua) e lui non colpisce sul palco. Voto 5

Levante – Tikibombom

A.B.: Brano alla Levante 2.0. Convincente, ma non pienamente nei miei gusti. L’esordio della cantautrice sul palco dell’Ariston è comunque pregno di personalità. Voto 6,5

F.N.: Il brano è interessante, la giovane artista siciliana convince al suo esordio. Grinta e forza per un brano impegnato. Voto 6,5

Pinguini Tattici Nucleari – Ringo Starr

A.B.: Quota pop – indie dell’anno. A me son sempre piaciuti e non dispiace nemmeno questo pezzo. Non so però quanto possa essere azzeccato per la kermesse. Voto 6,5

F.N.: Momento simpatia nel festival. La band indie si diverte e fa divertire, il pezzo suona bene e piace al pubblico. Per una volta Ringo Starr diventa protagonista. Voto 7,5

Tosca – Ho amato tutto

A.B.: La bellezza di un racconto cullato da una voce elegante ed emozionante. Nell’inciso ricorda l’interpretazione di Salvador Sobral all’Eurovision song contest del 2017. Tosca è una (gran) signora della musica. Voto 8 

F.N.: La voce di Tosca è da brividi, il pezzo è bello e lei lo interpreta divinamente.  Performance elegante e di classe. Voto 8,5

Francesco Gabbani – Viceversa

A.B.: Pezzo pop, ma con una buona impronta autorale. Piacevole e delicatamente sorprendente. Voto 7

F.N.: Messa da parte la scimmia, il Gabbani 2.0 colpisce con un brano intenso e impegnato. Outsider di questo festival. Voto 8

Paolo Jannacci – Voglio parlarti adesso

A.B.: Lui è emozionante ed emozionato. Strano vederlo lontano dal pianoforte, ma grazie a questa assenza riesce a far intravedere il sangue teatrale che gli scorre nelle vene. Ahimè, il pezzo non è proprio originalissimo. Voto 6

F.N.: Esordio positivo per il figlio d’arte. Il pezzo è molto sanremese, teatrale al punto giusto e vocalmente preciso. Non vincerà, ma il testo (personalmente) merita. Voto 7

Rancore – Eden

A.B.: Carico, motivato e con un pezzo dal ritmo incalzante e dal testo pungente. Bella anche l’interpretazione, come sempre “sul pezzo”. Voto 8

F.N.: Grintoso e arrabbiato al punto giusto. Rancore al suo esordio da solista si comporta benissimo. L’orario (come per altri) è stato penalizzante, ma lui è forte e veramente bravo. Voto 8

Junior Cally – No grazie

A.B.: Incavolato al punto giusto: forse un po’ populista, ma innegabilmente pieno di verità. Giusta la scelta di scendere in campo a volto scoperto. Voto 7

F.N.: Mettiamo da parte le polemiche per un momento; il pezzo gira bene, è polemico e politico al punto giusto. La performance colpisce e il ritornello rimane in testa. Voto 7

Giordana Angi – Come mia madre

A.B.: Pezzo pop un po’ scarico per la vena cantautorale dell’autrice romana. Bello il pensiero, ma si poteva fare di più. Voto 5

F.N.: Anche per lei – come per gli altri – l’orario è penalizzante. Lei è tra le cantautrici più interessanti del panorama italiano, ma questo pezzo non le rende giustizia. Voto 4,5

Michele Zarrillo – Nell’estasi o nel fango

A.B.: Esce dal suo sentiero, lo fa a notte fonda con tanta energia e coraggio. Esempio chiaro di un artista che ha saputo rimettersi in gioco. Da premiare. Voto 6,5

F.N.: Fuori dalla sua comfort zone, Zarrillo si mette in gioco con un brano bello e musicalmente coraggioso. Il veterano del festival chiude la seconda puntata in un orario improponibile, ma con il suo consueto sorriso. Voto 7

 

Qui Le pagelle della prima serata di Sanremo 2020

LE VIBRAZIONI: “Siamo tornati e la nostra “Vieni da me” oggi suona come un pezzo suonato dagli Aerosmith in versione pugliese.”

O47A0727_ph Chiara Mirelli
di Alessio Boccali

Una reunion attesa che ha riportato un po’ di sano rock’n’roll nelle classifiche e nelle orecchie del pubblico italiano. Il progetto de Le Vibrazioni, in realtà, non si è mai fermato, si era soltanto preso una pausa laboriosa per poi tornare in grande stile, perché, come canta Venditti, “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…”. Durante il loro interminabile tour, che li sta portando in giro per tutta Italia, sono riuscito a scambiare due chiacchiere con lo storico frontman della band: Francesco Sàrcina. Di seguito quello che ci siamo detti.

Ciao Francesco, come procede il vostro tour? Quest’anno non vi siete davvero fermati un attimo…

Hola! E’ vero, il nostro è un never ending tour! E’ dal post Sanremo a febbraio, che non ci fermiamo; abbiamo fatto instore, club, festival, concerti estivi senza nemmeno un break, ma è stata un’estate molto gratificante. Ci sono tanti nuovi fan giovani che cantano le nostre canzoni e questo ci fa ancora più piacere. Pensa che il nostro singolo “Vieni da me”, dopo 15 anni, è nuovamente disco d’oro: una figata!

A proposito di quella grande hit, so che avete composto un pezzo, uscito il 28 settembre, che si intitola “Pensami così” e che sotto forma di jingle è la sigla del programma di Caterina Balivo su Rai1 che si chiama proprio “Vieni da me”…

Si, quello del jingle è stato un giochino molto simpatico. La Balivo è un’amica e mi faceva piacere comporre la sigla del suo nuovo programma. Non mi andava di riproporle una versione speciale di quella storica “Vieni da me”. Ho pensato allora ad una cosa nuova e l’ho fatto durante il tour sapendo che avrei dovuto inserire quel “vieni da me…” che è il titolo del programma. La sorte ha voluto che sia venuta fuori una bomba atomica e, di conseguenza, insieme ai ragazzi abbiamo deciso di inciderla e di farla uscire.

 

La vostra reunion ha scatenato una bella ed importante reazione da parte del pubblico, ve l’aspettavate?

 

No non ce l’aspettavamo, soprattutto perché di questi tempi ne accadono di tutti i colori; tutto è diventato così veloce ed improvviso: spesso situazioni semi-sconosciute, quasi casalinghe, iniziano a girare e fanno successo, mentre artisti o band storiche spariscono. Era un po’ un terno a lotto questo ritorno. Per fortuna l’abbiamo vinto ed è stato molto bello vedere come fosse ancora vivo un bel ricordo de Le Vibrazioni. Poi sai, quando vai in giro per i vari festival organizzati da Radio Deejay, RTL, Wind ecc. e stai sul palco a suonare la “chitarrona”, ti accorgi che non è più una cosa comune fare rock oggi e “Vieni da me” sembra quasi “Living on the edge” degli Aerosmith. Oggi è come se noi fossimo gli Aerosmith… in versione pugliese, eh, ma stiamo lì dai (ride, n.d.r.). Certo, abbiamo anche beccato un bel disco…

A proposito proprio di quest’ultimo disco, “V”, hai sempre detto che per voi ha rappresentato una rinascita, ma visto il titolo possiamo pensare anche ad una “v” che sta per vendetta contro tutte quelle logiche che avevano portato al vostro scioglimento?

No, perché la vendetta non ti porta mai niente; magari ti dà una soddisfazione momentanea, ma non crea una buona onda dato che nella vendetta c’è sempre rabbia
e con questa non puoi portare avanti un grande progetto come il nostro. Quindi proprio una vendetta no, ma sicuramente ci siamo tolti dalle scarpe un bel po’ di sassolini. In passato sono state fatte e dette delle cose sbagliate da parte di chi forse aveva capito poco della nostra musica e, probabilmente, credere in un progetto come il nostro, che richiede anni di attenzioni, ad alcuni non conviene. Questo che stiamo facendo oggi noi da indipendenti è un lavoro che va avanti da parecchio tempo; anche quando ero in giro come solista già pensavo al ritorno de Le Vibrazioni. Poi, insomma, la band era un fuoco e non vedeva l’ora di tornare in pista, i nostri collaboratori sono stati fantastici e, quindi, tutto un lavoro di squadra ha dato nuova vita al progetto. Non era facile trovare un clima del genere. Poi che te lo dico a fare? La passione e la voglia di raggiungere l’obiettivo prefissato ti danno una carica incredibile.

 

Come sono Le Vibrazioni oggi?

Beh, sicuramente abbiamo molto più entusiasmo. Un tempo avevamo la carica della gioventù, di tutto ciò che ci si era creato attorno appena avevamo fatto il “botto”, ma in realtà eravamo anche troppo giovani per soppesare e realizzare ciò che stava accadendo. Oggi siamo più maturi, più consapevoli, ponderiamo tutto ciò che abbiamo realizzato e non ce lo vogliamo far portare via, com’è successo un tempo quando ci perdevamo dietro alle stronzate. Adesso di cavolate ne facciamo meno siamo sempre e comunque degli eterni Peter Pan, eh, però lavoriamo con più cervello.

Con un gioco di parole, a 15 anni dalla vostra “Dedicato a te” a chi dedichereste questa rinascita?

A tutti i nostri collaboratori perché come ti dicevo prima se oggi siamo qua è proprio grazie ad un insieme di cose: belle canzoni, bei produttori, management fantastico, distribuzione e ufficio stampa impeccabili… e, perché no, anche a Claudio Baglioni che ha scommesso su di noi indipendenti facendoci suonare a Sanremo. In generale, Claudio è stato un grande perché ha preso pezzi forti fregandosene di tante logiche discografiche.

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In estate è arrivata “Amore Zen”, come sarà un vostro ipotetico album futuro?

Guarda, in realtà dopo “V” stiamo lavorando a dei pezzi singoli sempre rock’n’roll da far uscire un po’ alla volta e che poi, chissà, forse un giorno racchiuderemo in un disco. Abbiamo preso esempio dai “giovani”, da quello che stanno facendo i vari rapper, trapper piuttosto che i thegiornalisti o Calcutta. Un album spesso è limitante; succede, infatti, che nel mentre fai uscire i vari singoli del disco cambiano delle mode, cambiano

dei suoni e tu magari non hai una canzone adatta a quel determinato momento. È successo un po’ con “V”, che non conteneva un pezzo per l’estate e per questo motivo abbiamo composto “Amore Zen”. Siamo arrivati al punto che per ora procediamo così, per singoli. Anche perché se c’è una cosa che mi ha dato sempre fastidio è che tra le canzoni che ho scritto e messo nei vari album c’erano sempre più potenziali singoli di quelli che poi effettivamente uscivano.

In conclusione, voglio fare una domanda al Francesco uomo e non al frontman de Le Vibrazioni: in “Così Sbagliato” canti “Quando mi sento un glio e sono un padre…” e in un altro pezzo dell’album “V”, che si intitola “Voglio una macchina del tempo” ironizzi sulle difficoltà di essere un padre, ma com’è essere un papà rock?

Più che altro bisognerebbe chiedere ai figli com’è avere un padre rock, poveri ragazzi (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, in realtà penso che alla fine si divertano. Certo, non abbiamo gli orari canonici, la mia presenza a casa è un po’ random: potrei suonare a Capodanno come la domenica o a Pasqua, però ho anche dei momenti in cui sono in vacanza, non so, magari a novembre, e se mi gira li prendo e li porto in Sud America. Ormai sono rock anche loro. I bambini, di solito, hanno bisogno di metodi e regole, però devo dire che ho capito come dare qualità al tempo trascorso con loro anche se la quantità non è tanta. Tanti genitori stanno sempre in casa con i figli, ma non li considerano perché distratti dai cellulari, da quei social che ci stanno rovinando. Il bambino che ti vede in quelle condizioni, ti imita e da grande sarà un disadattato pure lui. Almeno io gli do quelle “botte di vita” e mi dedico totalmente a loro. Poi certo ho poche regole, ma ce le ho anche io. Devono ascoltarmi, riflettere sulle cose e poi possono farmi tutte le domande che vogliono.

Marconi e il collegamento attraverso “La Manica”

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Per la serie aneddoti storici, sono passati oltre cento anni, per la precisione centodiciotto anni, da quel 27 marzo 1899, dove Guglielmo Marconi, riuscì nell’impresa di concludere positivamente la prima trasmissione via radio della storia, attraverso La Manica.

Il primo messaggio è stato inviato da Guglielmo Marconi e rivolto al professor Branly, che così riportava: “…Marconi invia a Monsieur Branly i suoi rispettosi omaggi attraverso La Manica, questo bel successo essendo in parte dovuto alle notevoli ricerche di Monsieur Branly…”.

Il collegamento avvenne tra Wimereux (Francia), il battello faro “East Goodwin” e South Foreland (Inghilterra), passando quindi nel mezzo della Manica (creando così il primo collegamento interazionale della storia), con ottimi risultati al fine dell’esperimento. Tuttavia, questo collegamento di Marconi, non è stato il primo della storia. Qualche mese prima (per la precisione era il 26 agosto del 1989), tramite lo stesso battello faro “East Goldwin”, dotata di apparecchiature radiotelegrafiche ed ormeggiato a 19 km davanti a South Foreland (questo fu il primo soccorso via radio della storia invece).

Se a Marconi si deve lo sviluppo del telegrafo senza fili via onde radio, per questo importante risultato, si deve dare parte del merito anche ad altri scienziati come Nikola Tesla, Thomas Edison, Aleksandr Popov, Heinrich Hertz, Augusto righi e tanti altri che hanno effettuato esperimenti simili, della quale Marconi ha potuto usufruire.

In molti non colsero la straordinaria portata della scoperta di Marconi, molti degli scienziati sopracitati non seppero nemmeno spiegarla (il passaggio da pochi metri ai chilometri che separano Francia e Inghilterra) . Ma essi hanno i sufficienti meriti per essere degnamente ricordati, senza dover alterare la verità sulle loro ricerche, sui loro reali contributi e sui loro meriti per la scoperta di Guglielmo Marconi.

SOS dalla Casa Bianca, c’è un messaggio per voi!

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Allontanandoci dall’euforia sanremese odierna che investe l’Italia, oltreoceano si festeggia in maniera più riservata un’importante tappa che collega il potere e l’ultracentenario mezzo di comunicazione, la radio.

Ben 95 anni fa, l’8 Febbraio 1922, veniva introdotta nella Casa Bianca la prima radio, sfondando il rigoroso muro alzato dal potere nei confronti di un mezzo puramente commerciale e del popolo. In quella data, arrivava in pratica la prima convergenza con un mezzo fresco e innovativo, pronto a divenire in Europa il centro pulsante della propaganda totalitaria. Invece, negli Stati Uniti, l’approdo non equivalse a promozione o altro: sino agli anni ’30 si preferì l’azione fisica con un forte proibizionismo da parte delle autorità che sapevano come farsi rispettare dai ceti bassi della popolazione.
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Si deve arrivare ad un impedimento fisico per trovare la prima convergenza tra il potere a stelle e strisce e la radio. Con un malandato Roosevelt in sedia a rotelle, nacquero i famosi ‘discorsi davanti al caminetto’  che crearono un’intimità familiare necessaria in futuro per la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo si viveva in un periodo di fermento tecnologico e non si riuscì a coglierne l’essenza pura di questo rapporto.

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Lo dimostra proprio la ‘pausa di riflessione’ durata ben 40 anni. Sarà Reagan, convalescente dal proiettile di un attentatore, a riprendere il mezzo con un altro obiettivo. Dalla partecipazione comunitaria al paternalismo: il Presidente conservatore voleva creare un’immagine distorta ma vincente dell’America negli anni ’80, durante uno dei periodi più controversi della storia. L’esperimento riuscì a metà, non riuscendo più ad avvicinarsi all’aura creata dal creatore del New Deal.

Da lì, nacque l’ennesima pausa di riflessione che odora di addio. Tra nuove tecnologie più istantanee e  l’assenza (fortunatamente) di altri problemi fisici, nessun Presidente (eccetto un blando Clinton che provò senza successo) vide la radio come potenziale strumento di visibilità e appeal. Infatti oggi, a distanza di 95 anni, questa ‘relazione occasionale’ sarà vissuta come ricordo intimo che resta nel cuore di pochi americani.