Gli eroi sconosciuti dell’universo di Star Wars – di Gianluca De Angelis
Sorto sulle ceneri di un “universo espanso” fatto di libri, fumetti e videogiochi (caratterizzato dall’essere tanto appassionante quanto disordinato) Rogue One: A Star Wars Story è, come anticipa il titolo, il primo di una serie di film spin-off che inframezzeranno annualmente le uscite della “saga madre” dell’universo di Guerre Stellari.
Questo “Episodio 3.5”, in realtà, non è altro che la storia comparsa già nei titoli di apertura del primo capitolo della saga, Una nuova speranza. La disperata missione per il furto dei piani della Morte Nera trova posto, infatti, subito prima di Episodio IV (quanto prima, esattamente, sarà chiaro solo alla fine del film), e fa da formidabile prologo a quel film del ‘77 che gettò le basi per quello che è oggi uno degli universi narrativi cinematografici più amati al mondo. Quello che fa egregiamente questa pellicola non è però solamente raccontare una grande storia, con un inizio ed una fine (cosa sempre più rara nella nostra epoca fatta di saghe infinite), quanto andare a tessere le fila e ricollegare due trilogie forse troppo distanti tra loro, mettendo anche qualche toppa ad incongruenze dovute ad alcune ingenuità passate.
Si torna quindi ad epoche antecedenti ai capitoli storici della saga, a periodi oscuri in cui era l’Impero a dominare incontrastato la galassia ed era la Ribellione a ritrovarsi frammentata nei più disparati gruppi dagli altrettanto diversi metodi: la magia e la leggerezza dei capitoli principali qui è lontana, a dominare è invece la guerra e il dramma dei personaggi in essa coinvolti, che si può trovare nel volto duro dell’eroina della pellicola Jyn Erso (Felicity Jones) come nell’armatura ammaccata del sarcastico droide K-2SO.
Sono accantonate le battute come anche gli spiegoni, indirizzati entrambi principalmente forse ad un pubblico più “nuovo” della saga: Rogue One, oltre ad essere una pellicola inaspettatamente seria e cupa, è un film fatto per i fan di vecchia data, che tutto quello che chiedevano dalle loro ‘Guerre Stellari’ non era altro che poter dare un’occhiata più attenta ad un mondo che esisteva già, senza ampliarlo, senza proseguirlo, ma ammirandolo da dietro le quinte. I personaggi principali qui infatti sono proprio quelli minori, secondari, i soldati che in ogni film passavano sempre in secondo piano per far posto ai Jedi ed alle loro gesta: il gruppo di protagonisti che si forma nel primo atto del film è fatto da individui imperfetti, irregolari, disorganizzati, che si ritrovano a dover compiere una missione suicida più grande di loro. Nella loro normalità e con il fuoco di speranza che li anima riescono però, per un momento, a far dimenticare anche una sagoma dal mantello nero che, seppur comparendo nel film molto poco, riesce a ristabilire immediatamente un’aura di terrore che noi spettatori avevamo dimenticato.
Forse il compito svolto dal regista Gareth Edwards nella sua pellicola riesce così bene proprio perché nasce priva di quel peso di responsabilità che aveva contraddistinto Il Risveglio della Forza sin dal suo primissimo annuncio. Rogue One non ha l’obbligo di rifarsi all’estetica mitologica di tutti gli altri film della saga: alle radici western e fantasy da sempre ribadite da Lucas, Edwards sostituisce infatti quelle dei film di guerra. Non ci sono Jedi e nobili duelli con le spade laser, ma scene di guerriglia molto più tangibili e vicine allo sbarco in Normandia, dove il bianco delle armature degli Stormtrooper si sporca davvero, forse per la prima volta, di sabbia e devastazione.
Rogue One, quindi, riesce ad essere un capitolo così diverso ma allo stesso tempo così fedele a se stesso e agli ideali della saga che abbiamo imparato a conoscere e ad amare: resta una storia di padri e figli, ma qui né il padre né il figlio sono protagonisti di alcuna profezia. Resta una storia di spettacolari inseguimenti nello spazio a colpi di laser, che qui però vengono oscurati dagli scontri a fuoco allo sbaraglio sulla spiaggia, dalle pistole e dalla polvere. Resta una storia sul destino e sulla Forza, ma qui la Forza non è un’arma né un potere da usare in battaglia, quanto un ideale e un mantra ripetuto a bassa voce da un cieco.
“Le ribellioni si fondano sulla speranza”