MILLE, “la vita le cose” e il bello della mia colorata quotidianità

Di Alessio Boccali

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MILLE, al secolo Elisa Pucci, cantautrice romana, ma milanese d’adozione, è un’artista a tutto tondo. Con il suo secondo singolo da solista intitolato “La vita, le cose”, vuole ribadire l’importanza, e la bellezza, delle piccole cose, riscoperte ancor di più durante questo periodo di lentezza forzata impostoci dal lockdown. Il suo elisir di felicità ha come ingredienti principali la semplice quotidianità e i colori…

Ciao Elisa, come hai passato questo recente periodo a Milano?

Nella mia routine non è cambiato molto, visto che io vivo tantissimo in casa perché lì penso, dipingo e scrivo e vado in studio solo per registrare. Devo dire che ho rivalutato molto questo periodo di quarantena perché mi sono un po’allenata alla lentezza; avevo preso già diversi impegni da tempo e quindi la sorpresa di ritrovare poi tutti i piani scombinati alla fine l’ho anche accolta di buon grado. Bisogna prendere le cose come vengono e pazienza se poi avevamo programmato tutt’altro. Quindi si, ho passato questi due mesi chiusa in casa come tutti e il rientro alla normalità mi ha fatto percepire per prime le gambe, che mi sembrava quasi di aver perso: la mia casa è molto accogliente, ma piccolina, avevo completamente dimenticato cosa significasse camminare o scendere le scale, quindi diciamo che il mio lockdown si è concluso con la riscoperta del corpo.

Diciamo che si è concluso con la riscoperta di quelle piccole cose di cui parli anche nel tuo singolo “La vita le cose”. Ho letto, poi, che con questo pezzo vuoi dare una risposta alla famosa domanda che poniamo sempre, spesso anche come semplice frase di circostanza, ovvero “Come stai?”…

Sì, per me sono sempre i piccoli dettagli che fanno la differenza e sono veramente tanto, tanto affezionata anche a quei piccoli riti quotidiani. Per me è una cosa grandiosa anche andare a fare la spesa con la mia dolce metà; perché se per gli altri è una rottura di palle fare la fila, fare i conti con gli altri carrelli… per me acquisisce sempre un valore immenso. Così ogni cosa che mi succede nella vita cerco di godermela, anche il gesto banale di fare la spesa, appunto, o di prendere un caffè. Il chiedere “come stai?” fa parte di queste routine perché poi magari lo sai già come sta l’altro, perché ci vivi insieme o intuisci più o meno la “temperatura” dell’altra persona, però è sempre un gesto che apprezzo. Cerco di guardare le cose con occhi sempre diversi e quindi mi sento molto più ricca di quello che poi in realtà sono.

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Sulla spalla hai tatuato un ritratto di Frida Kahlo; a lei spesso davano della surrealista, al che rispondeva sempre prontamente “Io interpreto o disegno solo la realtà”. Ho trovato un grosso parallelismo tra le vostre personalità, non solo su questo, ma anche con le cover dei tuoi singoli: il fatto che tu abbia disegnato su queste una specie di autoritratto, si specchia negli autoritratti della Kahlo dopo il suo incidente…

Beh, sicuramente nutro un amore sconfinato per Frida Kahlo, per la sua forza, per l’amore con Diego Rivera, per la sua vita in genarle… Ecco perché poi me la sono tatuata sul braccio. I suoi occhi sulla realtà sono per me un esempio, perché lei poteva benissimo maledire ogni cosa da cui era circondata, sì, malediva comunque il mondo, l’incidente, ecc., ma ne sapeva accogliere la bellezza anche nelle tragedie e questo mi ha sempre molto colpita. Sicuramente quel mood è un po’ anche il mio modo di vedere le cose e, per quanto riguarda le copertine dei singoli, l’aver disegnato una ragazza con i capelli rossi come me, probabilmente è solo un caso, perché poi quei disgni fanno parte di una serie che si chiama “Tette Sulle Spalle” e in realtà gli elementi che compongono i disegni sono simili in tutte le cover, ma anche molto diversi. Come per la musica, anche quando dipingo, non ho ben chiaro quello che voglio disegnare, sicuramente ho sempre a cuore il mettere su quel foglio tutto quello che mi sembra necessario nella mia vita.

 

Certo, è come un flusso di coscienza, ti fai guidare da quello e basta, nessun retropensiero, nessun ragionamento lungo…

Sì, assolutamente. Anche quando scrivo una canzone,in realtà, non lo so di cosa voglio parlare o scrivere, cioè per me è importante ciò che avviene, il movimento, quando mi alzo e mi siedo davanti al pianoforte e inizio a suonare, è questo che mi preme, anche perché con la canzone io decodifico le cose che mi accadono.

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Prima abbiamo parlato un po’ dei colori. Questi sono molto presenti nella tua vita, anche tra le tue foto è difficile trovare un bianco e un nero. Mi chiedevo da cosa derivasse, se c’è un legame un po’ con quello che mi hai raccontato fino ad adesso, cioè sull’apprezzare le piccole cose e quindi vedere sempre un po’ tutto a colori…

Tutto sempre a colori. Sono estremamente legata ai colori, sarà anche un po’ per contrapposizione con il colore nero, la lentezza del colore nero, che corrisponde spesso alle cose brutte. Io intendo distaccarmi da quella cosa lì. Mi è sempre piaciuto vestirmi colorata, un po’ anche grazie alla mia mamma, perché ho questa immagine di lei con i capelli lunghi, rossi, ondulati, vestita sempre colorata, con le gonne a vita alta che mi riporta a un concetto di delicatezza, benessere, felicità… Quella per me è sempre stata un’immagine sacra a cui ho voluto sempre attingere per sentirmi meglio.

E a proposito di stare bene, com’è stato uscire dalla “comfort zone” dello scrivere in inglese per passare all’italiano?

Finito il tour con i Moseek, avevo tempo per poter fare anche cose che non avevo mai fatto. Sicuramente, come per ogni cosa nuova, c’è il timore di sbagliare o di fare un cosa che non ti piace ed è oggettivamente brutta, ma soprattutto di fare qualche cosa che non mi rappresentasse, e invece quando poi ci ho preso gusto, ho assolutamente percepito che era totalmente una cosa che mi stava rappresentando; paradossalmente era una nuova scoperta, una nuova dimensione perché quando scrivevo in inglese per i Moseek ero molto legata ad un approccio estetico, se vogliamo anche molto ludico, ma non andavo ad addentrarmi in cose assolutamente personali anche perché avevo bisogno di fare una media con i pensieri dei miei colleghi di band, mentre in italiano ho quasi sentito l’obbligo di mettermi nero su bianco totalmente. Quando ho fatto leggere a Dario e Fabio (gli altri componenti dei Moosek, n.d.r.) questi brani, abbiamo subito detto “Beh, queste canzoni devono far parte di un altro progetto” e così si è delineato il mio progetto solista che è qualcosa di parallelo alla band.

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Prima mi hai parlato di Frida Kahlo, una donna eccezionale, perché spesso oggi, soprattutto per le donne, c’è il dovere di essere fuori dal comune per essere prese un po’ in considerazione anche nel mondo lavorativo. Ad esempio, leggevo in una tua intervista che, secondo te, è più facile oggi che ad un’anteprima di un film ci si accalchi più vicino all’attore uomo piuttosto che alla donna…

Si, io nello specifico ho parlato dello strapparsi i capelli, piangere. I fan sfegatati, quelli che piangono davanti al loro “idolo” per capirci. Sicuramente c’è bisogno anche per gli uomini di essere eccezionali, ma in generale, nella musica specialmente, per emergere bisogna essere eccezionali. Detto questo, c’è sicuramente una differenza anche di percezione del pubblico, è qualcosa di innato che abbiamo, fa parte della nostra abitudine, dei nostri usi e costumi; io sono cresciuta con la famiglia che mi ripeteva “Ma tu il principe azzurro che ti renderà felice non lo trovi?”. Il pensiero di dover trovare una seconda persona che ci renda felici è qualcosa di radicato nelle teste delle bambine perché siamo abituate a pensare che un principe azzurro ci salverà. Sicuramente non è una cosa che io condivido, ma nemmeno la condanno perché è un qualcosa che viene detto sempre con tanta innocenza e tanto amore da parte delle nonne, delle zie, delle mamme. Sicuramente le abitudini possono essere scardinate e il tempo lo può fare, perché stanno cambiando tante cose e sicuramente c’è bisogno di tanto impegno da parte sia degli uomini che delle donne per far notare appunto quelle piccole cose che però fanno la differenza, perché sono proprio le piccole battute, le piccole percezioni e considerazioni nei confronti di una donna che rendono grande la differenza di percezione rispetto ad un’artista, ma anche ad una lavoratrice.

Verissimo, ed è paradossale che ancor’oggi si debba parlare di queste “differenze”. Volevo chiudere chiedendoti qualcosa sul tuo futuro prossimo.

Non ti posso dire tantissimo. Sicuramente curerò la parte grafica, le copertine e tutto ciò che è disegnare qualcosa che riguarda il mio progetto. Posso dire che questa seconda canzone rappresenta un po’ un secondo capitolo di una storia che mi riguarda, la vivo come se fosse un album di fotografie, un libro, perché sono tutte cose vere, non faccio nomi e cognomi per ovvi motivi, però dentro le canzoni che scrivo c’è tutto quello che poi è accaduto realmente nella mia vita.

Quindi, azzardo un po’, magari il prossimo album sarà una sorta di raccolta di come quadri con la loro “spiegazione”, ovvero i brani.

Mmm… Vedrete, ma, più o meno, hai colto (ride, n.d.r.).

 

 

“Non sarà così strano”: ecco la risposta musicale all’emergenza COVID-19

 

25Di Alessio Boccali

L’unione fa la forza e quando è la musica ad unire, le distanze – anche di questi tempi – si cancellano e la forza sprigionata si rivela benevolmente devastante.

Da un’idea di Sound Meeter e con la partecipazione straordinaria di tredici artisti romani (Cesare Blanc, Jacopo Ratini, Matteo Gabbianelli, Vittorio Belvisi, Mille, Stefano Scarfone, Luca Carocci, Marco Fabi, Felice Greco, Federico Pegan, Giacomo Latorrata, Rachele Trovatelli e Dario Amoroso) è nata una traccia inedita intitolata “Non sarà così strano”, con l’intento di sostenere la Croce Rossa di Roma nel fronteggiare l’emergenza Covid-19.

La traccia, online dal 23 aprile sul canale Youtube di Sound Meeter e su Gofundme, è stata accompagnata da un videoclip realizzato con scene delle puntate della web serie di Sound Meeter, dove ad essere protagonisti sono gli artisti interpreti del brano. Il video, così come il brano, racconta il contrasto tra il prima e il dopo coronavirus, l’impatto che questo ha avuto sulle nostre vite e, contemporaneamente, la certezza che si può continuare a volerci bene anche stando per un po’ distanti perché poi “non sarà così strano” tornare a ridere.

Ad impreziosire ulteriormente l’iniziativa, l’intervento in chiusura di diversi personaggi noti (tra cui Lillo Petrolo, Giorgio Caputo e Stefano Ambrogi) per invitare a donare.

Noi di MZK News – Musica Zero Km, ci siamo sentiti immediatamente chiamati in causa e non potevamo non supportare questa iniziativa agendo da media partner e invitando anche voi lettori a darci una mano.

Perché la musica può (e deve) fare tante cose, anche rispondere presente di fronte a un’emergenza.

 

Link diretto per le donazioni: gofundme.com/musica-per-roma

DIAMINE: dopo la “Via del macello” siam pronti all’esordio

Di Alessio Boccali

I DIAMINE, all’anagrafe Andrea Imperi Purpura e Niccolò Cesanelli, sono da poco usciti con “Via del macello”, il terzo singolo estratto dall’album d’esordio per Maciste Dischi/Sony Music Italy, che vedrà la luce il primo maggio e che si intitolerà “Che Diamine”. Poco importa se il disco in questione non potrà essere suonato in breve tempo, c’è altro di più importante cui pensare ora, l’obiettivo del duo elettro-pop romano è arrivare dritti al pubblico ed essere nelle loro teste quando tornerà il tempo di fare festa.

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ph. Sara Pellegrino

Ciao ragazzi, innanzitutto come state? Leggevo dalle vostre bio che siete due strumentisti che hanno deciso di mettersi in gioco in una nuova veste. Com’è nata questa idea?

Ciao, siamo abituati a periodi di auto-isolamento quindi ce la caviamo abbastanza bene. Cerchiamo di impiegare il tempo per rendere le nostre case e le nostre idee un po’ più accoglienti. Il progetto è nato principalmente dall’entusiasmo, qualcosa ci riempie in questo atto di creazione lontano anni luce dalle dinamiche da band e dai virtuosismi del singolo. Volevamo sperimentare nella nostra musica la sensazione bellissima di quando non hai più nessun riferimento a cui aggrapparti e così sei eccitato anche solo nel camminare e lo abbiamo fatto fino in fondo.

Il vostro singolo “Via del macello” è il secondo singolo che esce in periodo di quarantena dopo “Isolamento”, che meglio non poteva descrivere il periodo che stiamo vivendo. Questo nuovo singolo invece è quasi come un sogno, come una voglia di tornare alla normalità e di rivedere il tempo scorrere e con lui sbocciare e morire nuove emozioni…

Questo è un brano pieno di forse eppure risulta liberatorio perché affronta il dubbio con la saggezza perduta di un bambino. Il protagonista si fa delle domande ma quello che arriva di più probabilmente è la sua voglia di vivere, lo dico anche in base a quello che mi stai dicendo tu. Spesso la voce ha già la sua gestualità che risulta molto più efficace dei ragionamenti dietro alle parole.

Il vostro sound elettro-pop si presta molto alla creazione di atmosfere tra il serio e il faceto, tra l’immaginato e la realtà. E anche nei testi si nota bene la stessa ricerca al fine di ottenere il medesimo intento. Come si svolge il processo creativo dietro ai vostri pezzi?

Le modalità sono consolidate: Nico scrive la musica e io il testo, in secondo luogo io critico la musica e lui critica il testo finché non arriviamo ad un entusiasmo comune. Ci troviamo bene così. I rapporti veri hanno sempre bisogno di confronti, non sono mai fermi e non devono essere fermi. Bisogna saper viaggiare nell’insicurezza, l’uomo occidentale è troppo presuntuoso e non accetta zone d’ombra che invece contengono la nostra naturale follia che ci rende irripetibili, il motivo per il quale ci muoviamo e ci innamoriamo. Noi non facciamo affidamento all’immaginazione, anzi, per niente. Tutto l’immaginario che scaturiscono le nostre canzoni nasce da un tuffo nel profondo delle nostre realtà entro ovviamente i limiti del nostro sguardo. Quindi diciamo che tutto il surreale lo si trova già con un attento sguardo al reale, la fisica quantistica moderna ci sta dicendo le stesse cose.

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ph. Sara Pellegrino

Il vostro disco d’esordio “Che diamine” uscirà il primo maggio, probabilmente sempre sotto quarantena o comunque in un periodo storico molto complicato. Avete paura, anche e soprattutto per la prospettiva di non poterlo presentare live nell’immediato?

Probabilmente il disco non verrà suonato per molto tempo, pazienza. Ci sono cose più importanti adesso a cui dobbiamo pensare, la natura ci sta ricordando la sua supremazia su di noi, tornerà il tempo delle feste

Non vi chiedo di progetti futuri, ma di normalità. Quale vorreste che fosse la normalità di DIAMINE una volta usciti da questa grave emergenza sanitaria?

Come diceva Lucio Dalla: “L’impresa eccezionale, dammi retta, è l’essere normale”. Noi abbiamo voglia di scrivere e abbiamo sogni semplici: rivederci, parlare dal vivo, girare in moto, uccidere Gno di Maciste Dischi. Cose normali (ridono, n.d.r.).

Per finire, gioco classico in questi giorni. Qualche brano per sconfiggere l’isolamento.

Allora: “Nightcall” di Kavinsky, “Fluff” dei Black Sabbath, “I can tell” degli Sleaford Mods e “Un uomo che ti ama“ di Lucio Battisti.

 

 

Matteo Alieno, la sua prima “Non mi ricordo” e il suo amore appassionato e maturo per la musica

Di Alessio Boccali

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Matteo Pierotti in arte Matteo Alieno è un cantautore, produttore musicale e polistrumentista romano classe ‘98. Nonostante la sua giovanissima età, ha una testa ben salda sulle spalle e le idee molto chiare sul suo futuro. “Non mi ricordo”, il suo primo singolo ufficiale, è un brano dalla scrittura assolutamente non banale che entra in testa per la sua semplicità e che rispecchia tutti noi nel nostro essere perennemente in moto.

 

Ciao Matteo, mi racconti com’è nato il tuo singolo “Non mi ricordo”?

Non sono molto forte con la memoria a breve termine, anzi, spesso combino dei veri e propri disastri quando mi dimentico le cose. “Non mi ricordo” è nato, quindi, dal mio quotidiano, è un pezzo della mia vita quotidiana. Così come pezzi disparati della mia vita quotidiana saranno i brani contenuti nel mio primo album.

Molto carino e allo stesso tempo molto semplice il video del singolo. Al centro ci siete solo tu e la tua musica?

Sì, volevo proprio che al centro dell’obiettivo ci fosse soprattutto la mia musica. Per quanto mi riguarda, non mi piace molto stare sotto ai “riflettori” e spesso me ne vergogno pure (difatti anche nel video spesso sto di spalle o a testa chinata sulla chitarra). L’importante era che il focus del video, e qui Lorenzo Piermattei (il regista, n.d.r.) è stato bravissimo, fosse la mia canzone e il suo messaggio.

A proposito di dimenticanze. Cosa non puoi proprio dimenticare del tuo percorso nella musica che ti ha portato all’uscita di questo primo singolo ufficiale?

No, il mio rapporto con la musica me lo ricordo sempre benissimo (ride, n.d.r.). Vivo di musica da quando sono bambino e mia madre mi faceva ascoltare tanta buona musica, poi anche nelle scuole ho sempre cercato di seguire dei percorsi musicali e ho fatto anche un anno di Conservatorio. Insomma, per me la musica è vita, è la cosa più importante. Essere arrivato al punto in cui sono oggi è certamente solo una partenza, ma mi sento già molto fortunato. Anche solo sognare di poter vivere della mia più grande passione è meraviglioso.

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Parliamo del tuo nome d’arte “Alieno”. Questo nickname ti è stato “affibbiato” da bambino e ora hai deciso di portartelo dietro nel tuo percorso artistico. Guardandoti intorno nel panorama musicale nostrano, ti senti un po’ un alieno, magari diverso e per questo azzeccato?

Come dicevo già prima, io vedo la musica al centro di tutto. Per me non conta essere un personaggio, conta l’essenza e quindi la musica che fai. Oggi vedo spesso dei ragazzi, miei coetanei più o meno, che puntano maggiormente all’apparenza che alla musica che fanno. Diciamo che grazie a quei dischi che mi faceva sentire mamma e dunque alla musica di Michael Jackson, di Lucio Dalla, di Lucio Battisti ecc. ecc. ho avuto la fortuna di conoscere il vero senso di fare musica, l’importanza del contenuto e la forza, nonché la bellezza, di creare un mondo intorno a quel contenuto e poi comunicarlo.

Prima abbiamo accennato al nuovo disco, sarà un lavoro che ti rappresenterà molto, quindi? E com’è pubblicarlo con un’etichetta già affermata come la Honiro?

Sì, il disco sarà proprio un insieme di emozioni e parole che riguardano, o hanno riguardato, la mia vita. Lavorare con Honiro è fantastico perché mi hanno concesso una libertà impressionante e al momento penso sia questa la forza di un’etichetta come la loro che è davvero indipendente dalle logiche di mercato. Uscivo dal mio studio abituale e andavo in quello che mi hanno messo a disposizione per la registrazione, ma non sentivo la differenza: mi sentivo sempre come se fossi a casa mia.

In chiusura ti faccio una battuta. Sei davvero molto maturo per la tua età, significa che la bocciatura alle scuole superiore ti è servita (ride, n.d.r.)?

(Ride, n.d.r.) Non rimpiango nulla del mio passato, sicuramente mi è servita. Sono stato bocciato perché pensavo sempre alla musica e avevo quindi la testa sempre da un’altra parte. I voti, le promozioni, non misurano di certo l’intelligenza di una persona, ma sì, lo scossone della bocciatura mi è servito nella vita, di certo non mi ha allontanato dalla musica, anzi… 😊

Metti una sera con Matteo Gabbianelli dei kuTso: del più e del meno, del passato, del presente e del futuro…

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Di Manuel Saad

In occasione del Sun Meeter Fest abbiamo intervistato Matteo Gabbianelli, voce e leader dei kuTso, per farci raccontare come sta e come stanno andando le cose.

Come sta procedendo con il tuo ultimo album?

Il disco, “Che effetto fa”, è uscito a settembre dell’anno scorso e ora siamo in tour estivo che credo sarà l’ultima tranche promozionale. Per la band è stata una svolta importante visto che la formazione è cambiata totalmente. È una band che fa capo a me, alla Foo Fighters per intenderci.

Ho letto il tuo post “sfogo” su Facebook riguardo la formazione della band.

Sì. Bisogna esternare quello che si ha dentro per far capire meglio le cose. Quando successe la diaspora a me non andava affatto di pubblicizzarla perché non volevo dare luce a cose che non fossero il disco. Però, siccome mi sono arrivati feedback di gente che non ha ascoltato l’album solo perché è cambiata la band, mi è andata di traverso. Ti faccio un esempio estremo: quando i Guns ‘n’ Roses si separarono, lì il pubblico aveva ragione a decidere di staccarsi, ma per il semplice  fatto che tutti i membri dei Guns scrivevano. In questo gruppo, invece, sono solo io a scrivere e gli altri hanno un ruolo relativo al proprio strumento, ma il cuore di questo progetto, il nucleo, sono io. Se cambia il chitarrista, il bassista o il batterista, non cambia nulla. Ho una visione molto chiara di quello che voglio fare e di dove voglio andare, quindi ho capito che era il momento di fare quel post per chiarire.
Nel contempo siamo molto contenti perché abbiamo un sacco di date e devo dire che la band, ora, è veramente fica e siamo più forti di prima.

Stai scrivendo nuovo materiale in questo periodo?

Sì, e a settembre ci chiuderemo in studio. Ti faccio una rivelazione: sto scrivendo delle cose, ma sto ancora cercando di capire se voglio fare un qualcosa di parallelo con un altro nome oppure continuare con i kuTso. Questa scelta dipenderà dal feeling che sentirò a settembre, dopo questo tour.
Sento la necessità di far approcciare le persone alle mie canzoni in maniera diversa, senza aspettarsi qualcosa. Se non stai dentro questo progetto, se non hai la pazienza di voler capire e ascoltare, ti aspetti un certo mood dai kuTso e vuoi quello. Io, in realtà, sono poliedrico, come lo sono stati i dischi precedenti. C’era tanta roba dentro, tante sfaccettature, a volte anche opposte. Devo ancora capire se mantenere il nome o cambiarlo, mi è utile per far approcciare le persone alla mia musica in maniera diversa.
Ho notato che, sui social, abbiamo due tipi di pubblico: il pubblico su Facebook è totalmente legato al nostro passato, quindi anche se chiudessi la pagina, non cambierebbe nulla. Su instagram, invece, c’è tutto un pubblico nuovo che è arrivato con l’ultimo disco. Il pubblico nuovo è pronto a recepire materiale diverso.

Il pubblico su Facebook dici che ormai si è fossilizzato al passato?

Sì, o comunque devi svegliarlo in qualche modo per fargli capire le cose. È questo il motivo della mia incertezza su quale nome dare a queste cose. Non riesco a capire quanto è una parte e quanto è l’altra. Questo è un discorso basato sul fatto che non voglio sprecare le canzoni. Come tutti quanti, quando produco dei brani, quando faccio un disco, ci lavoro tantissimo ed è come se fosse un figlio. Buttarlo in un pozzo che nessuno vedrà mai, solo perché è in un contenitore sbagliato mi farebbe rodere, anche perché è la mia vita.
Devo capire, quindi, qual è l’opportunità migliore per dare una luce migliore alle canzoni. Tutto quello che faccio, lo faccio per le canzoni, nemmeno per me, solo per loro.

C’è stato un po’ questo problema, come dicevi tu, del pubblico che si è legato ai personaggi più che alle canzoni.

Senza sembrare auto celebrativo, ti dico che quando tu hai una personalità molto forte e una presenza scenica importante, quella presenza scenica sarà sempre più forte di una canzone.
Achille Lauro, senza tutto quel contorno, avrebbe lo stesso peso? Che poi, lui in particolare, ha fatto i numeri, come molti altri, proprio perché è successo qualcosa di diverso, adesso. C’è una generazione che si identifica in quello che sta accadendo, mentre nel nostro caso non c’era ancora questo grande movimento collettivo. Stava nascendo, ma io personalmente non ho mai assecondato nessun movimento. Se devo rimproverarmi qualcosa, sempre fino ad un certo punto, non essendo nella mia indole, non ho fatto “squadra”, non sono stato per forza amico di qualcuno e non mi faccio piacere cose che non mi piacciono.

Questo rientra molto nel discorso di avere una personalità forte.

Sì, anche se ha dei pro e dei contro. Se tu vedi, nei progetti che nascono, c’è sempre un riferimento o straniero o al passato italiano. Tutto ciò che esce ora è come se prendesse il testimone da qualcosa che c’è già stato. Questa cosa è importante comunicarla perché hai subito il consenso dell’establishment e la gente vede qualcosa che più o meno si ricorda e che più o meno riconosce. Io, invece, ho sempre negato e combattuto tutto questo. La nostalgia, il fascino verso ciò che viene da fuori. Ho sempre fatto un mio discorso che non è mai stato legato a niente. Mi dicono che ho la voce simile a quella di Ivan Graziani, ma non mi sono mai ispirato a Ivan Graziani.

Le persone hanno sempre avuto la necessità di incasellare ed etichettare ciò che vedono.

Esattamente, e ho capito che comunque questo nostro non voler essere etichettati ci ha portato a grandi difficoltà.

Possiamo, però, dire che questa è stata la vostra forza, essendo sempre stati qualcosa di diverso.

Sì e mi fa piacere sentirtelo dire dal punto di vista morale, ma non siamo stati premiati per questo.
Come quando ci fu l’intervista a Nanni Moretti, ai tempi dei girotondi, che criticava rifondazione comunista. Criticando Bertinotti diceva questa grande verità: “La gente applaude Bertinotti, ma vota Berlusconi.”. Tu, quindi, diventi un po’ Gesù che viene immolato e la gente cerca comunque la tranquillità e la sicurezza. Purtroppo non riesco ad essere Berlusconi.
Anche le cose che sembrano più originali, quando sono tanto acclamate è perché, comunque, continuano qualcosa. Che non è sbagliata come cosa, assolutamente, ma non mi appartiene. Non lo dico per sembrare chissà chi (ride, ndr).

La situazione musicale a Roma, come la vedi? È una città grande, quindi ci sono molte opportunità rispetto ad un paese. Ma questa grandezza può portare ad una dispersione?

In realtà, a differenza del mio progetto, credo che questo sia un periodo bellissimo. Per la prima volta c’è un mercato musicale, vero, italiano che non viene dalla televisione né dalla radio. Adesso si fanno trentacinquemila persone, quattro date ai palazzetti come se fosse nulla. Ricordo  quando Ligabue fece sei date nei palazzetti, ed era un evento. Adesso i Thegiornalisti fanno il Circo Massimo.
Il successo che stanno facendo i gruppi oggi, è molto più grande di quello che fece Vasco Rossi all’epoca.
Mi chiedo dov’era tutta questa gente prima! (ride, ndr).

Indubbiamente il fattore moda ha colpito anche il mondo musicale.

Sì, c’è anche quello. Ipotizzando: Se sei Ultimo, fai l’Olimpico e fai almeno cinquantamila paganti e la metà li hai regalati, sono sempre venticinquemila biglietti venduti fatti a vent’anni con il primo disco. È un momento bellissimo, di cui non faccio parte (ride, ndr), ma è comunque bellissimo.

Le major hanno cominciato a buttare l’occhio su queste realtà.

Sì, anche se non hanno avuto nessun ruolo se non di cominciare a distribuire soldi. La morte del mercato discografico ha fatto nascere il mercato discografico. Finalmente si è rotta questa bolla in cui ci veniva detto che c’era la crisi, che chiudeva tutto. Adesso la musica italiana è veramente un fenomeno.
È chiaro che, magari, su dieci concerti due sono fichissimi e otto no, ma in quei due dove fai ventimila persone…
De André, all’epoca, quando cominciò a fare i palazzetti, che poi non fece più perché tornò nei teatri, era un evento. E stiamo parlando di De André.
Stiamo attraversando un periodo veramente bello. Indubbiamente può piacerti come no, puoi pensare che alcuni siano venduti e che alcune cose sembrino plastica. C’è tutto dentro, c’è sempre stato.
Alcuni dicono “eh ma parla al venticinquenne!”. Quindi? Il venticinquenne di adesso che non è affatto inferiore rispetto al venticinquenne di trent’anni fa. Se facessimo questo ragionamento, gli uomini di Neanderthal dovrebbero essere i più fighi.
Io suono da tanti anni, e sinceramente non ricordo nulla del genere. C’erano grandi eventi, ma non c’è mai stato un movimento come quello di ora.
Anche io sono cresciuto molto e vedo un più nella mia carriera, ma indubbiamente se ti rapporti a numeri grandi, rimani un po’ così. Ma va bene così, anche perché non puoi evitare di essere te stesso.
Tornando al discorso di Roma, invece, ti dico che è la città più forte, secondo me. Diventa dispersiva nel momento in cui non ti circondi di persone giuste che ti seguono e che cercano di creare una rete intorno a te di contatti.

Cambiando totalmente argomento: l’esperienza sanremese, com’è nata?

Noi abbiamo fatto il primo disco, “Decadendo (su un materasso sporco)”, nel 2013. Siccome conosco Alex Britti da tanti anni perché le nostre famiglie si conoscevano, gli ho chiesto se poteva mettermi delle chitarre in un pezzo. Lui collaborò e poi finì lì. Avevo il disco pronto ma non sapevo con chi sarebbe uscito perché stavamo rompendo con l’etichetta dell’epoca, la INRI. Un giorno, poi, Britti mi chiese se avessi un pezzo per Sanremo. Ovviamente risposi di no, anche perché non avevo mai preso in considerazione Sanremo. Poi pensandoci bene, gli dissi “Elisa”, che avevo già prodotto per il primo disco ma che fu sostituito con “Marzia”. Successivamente, dopo non averlo più sentito, Alex, a ridosso di Sanremo, mi chiamò e mi chiese di fare un video in stile kuTso, con delle maschere. Faccio il video e mando il tutto tramite la sua etichetta e ci prendono.
Prima di Sanremo, i direttori artistici si incontrano con tutti i musicisti di cui hanno bisogno e a tutti promettono di inserirlo in gara. Anche un Toto Cotugno, prima dell’ultima notte, è capace che tolgono dalla gara, per via di incastri televisivi, spinte, etc. Può succedere di tutto e tra i big c’è una lotta pazzesca.
Alex venne a sapere che non avrebbero partecipato Elio e le Storie Tese, e al programma serviva un elemento eclettico. A quel punto fece il nostro nome e ci scelsero.
È stata un’ottima esperienza che non rinnego assolutamente.

Sun Meeter Fest: figli di Roma sotto ai riflettori

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ph. Francesca Romana Abbonato

Di Manuel Saad

Domenica 21 luglio, si è concretizzato a Largo Venue il tanto atteso festival di Sound Meeter: il Sun Meeter Fest.
Nonostante l’improvviso contrattempo che ha minacciato la realizzazione della serata, lo staff di Sound Meeter si è fin da subito attivato per evitare che l’evento fosse rimandato o, addirittura, cancellato.
Fortunatamente, il cambio di location ha permesso al Sun Meeter Fest di aprire gli occhi e rendere una calda serata romana diversa dalle altre.
Una serata in cui la musica, protagonista indiscussa della serata, si è unita al mondo audiovisivo palesando, quindi, il vero spirito del progetto Sound Meeter.
Sound Meeter è la prima Music Web Series italiana, ideata da Giacomo Latorrata e Arianna Bureca, che ha come missione quella di raccontare e mostrare, soprattutto, tutto quello che c’è dietro alla musica, dietro a una canzone, dietro a un artista.
I protagonisti camminando per le strade dei quartieri dove sono cresciuti, si immergono, e immergono lo spettatore, nei ricordi passati di quando erano più piccoli, delle giornate passate a scrivere su una panchina o più semplicemente una partita di pallone dalla quale è nata una canzone.
Oltre a questo, Sound Meeter segue gli artisti producendoli, promuovendoli e creando contenuti inediti, aiutandoli nella ricerca della propria identità.

Durante la serata, abbiamo chiesto ad Arianna Bureca, co-fondatrice del progetto, di raccontarci com’è nato e cosa li ha spinti nel realizzare tutto questo.

“È nato tutto per gioco. Abbiamo cominciato a sentire gli artisti romani che ci piacevano di più e gli abbiamo chiesto il proprio tempo, il loro quartiere di riferimento e una chitarra, partendo dal loro background, dai loro aneddoti, per riuscire a raccontarli meglio. Eravamo io e Giacomo: una telecamera e un’intervista spartana, e se vedi le prime puntate si nota molto questa cosa. Successivamente, abbiamo inserito una seconda camera, una persona in produzione, una fotografa di scena, una terza camera, un montatore, un colorist e abbiamo creato questo team di otto persone. Da parte dei musicisti c’è stata una risposta super positiva, in quanto potevano raccontarsi come volevano loro attraverso i luoghi dov’erano cresciuti. Ad un certo punto, poi, ci siamo resi conto che potevamo creare un business attraverso tutto questo, visto che gli artisti, dopo le puntate, ci chiedevano i videoclip per i loro singoli. Anche per le puntate, che fino a poco tempo fa ci autofinanziavamo, potevamo trovare degli accordi con l’artista promuovendolo a 360° e curando gli aspetti non solo video, ma anche live e stampa per poterlo aiutare a crescere. Sound Meeter è in continua evoluzione e la gente sta rispondendo bene a questo tipo di format. Abbiamo ricevuto proposte importanti per far diventare Sound Meeter qualcosa di più grande ma ancora non posso dire nulla a riguardo, dato che ci sono delle trattative in corso, se non che c’è la voglia di farlo diventare nazionale e di farlo approdare in tv. Posso dirti che è un sogno che piano piano si sta realizzando e ne siamo veramente orgogliosi.”

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ph. Francesca Romana Abbonato

Abbiamo intervistato anche gli artisti partecipanti, chiedendogli come sono entrati in contatto con il mondo di Sound Meeter e cosa li ha spinti a raccontarsi attraverso i luoghi dove sono cresciuti.

PIETRO SERAFINI
“Online. Ho visto che lavoravano sia con artisti affermati che con emergenti come me, e ho chiesto se potevano inserirmi in questo progetto. Mi hanno accolto e abbiamo deciso di partire con la registrazione di un brano, “Washington”, ed è stato fatto anche il videoclip.”

CHIARA MONALDI
“Partecipai alla prima puntata che fecero. Mi contattò Arianna, tramite delle amicizie in comune, sapendo che sono di Roma, in particolare di Garbatella, e di quanto fossi radicata nel mio quartiere. Mi contattò dicendomi che stavano creando un format sugli artisti e sui quartieri dove sono cresciuti. L’idea mi entusiasmò molto e accettai subito.”

THE ROYAL STATE
“Conosco Arianna da quando avevamo 13 anni. Io ho sempre suonato, in precedenza anche in band pop punk e successivamente come solista. In contemporanea, Arianna e Giacomo hanno tirato su questa realtà chiamata Sound Meeter e così ho deciso di fargli ascoltare alcuni miei brani. A loro son piaciuti molto e così è nata questa collaborazione per la realizzazione dei video.”

MATTEO GABBIANELLI – KUTSO
“Mi hanno proposto di fare questa cosa bellissima, che era questa intervista/documentario video dal vivo. L’ho trovato un pacchetto comunicativo veramente bello. C’erano tante cose insieme e l’idea di andare in un quartiere, camminare lungo le strade dove sei cresciuto e che hanno significato tanto per te, l’ho trovato fichissimo ed ho accettato subito la loro proposta. Se fossi pubblico, lo vedrei sicuramente in quanto è interessante vedere cosa c’è dietro un artista. Le domande sono fatte bene e i video sono girati e montati in maniera impeccabile. Spero crescano sempre di più fino ad arrivare a nomi sempre più grandi in modo da poter divulgare quest’iniziativa ad un pubblico ancora più grande.”

CESARE BLANC
“Conoscere Sound Meeter è stato un caso, in realtà. Hanno prodotto un mio video live, al Monk, e da quel momento ci siamo innamorati l’uno dell’altro. È iniziata questa collaborazione che ha portato alla produzione del mio primo EP e alla realizzazione del video di “Collage”, il mio primo singolo. L’idea del video è nata tutta dalla squadra di Sound Meeter, ascoltando il brano.”

LUCA CAROCCI
“Mi chiamarono, in quanto interessati a realizzare una puntata su di me. Li ho portati ad Artena, dove abito, e da lì ci siamo conosciuti ed è nata subito una bella sintonia. Mi è piaciuto molto il loro modo di lavorare e siamo sempre rimasti in contatto anche a livello personale. Hanno girato il mio ultimo video, “L’insuccesso mi ha dato alla testa” con Alessandro Pieravanti, riportando l’idea che mi era venuta in studio, davanti ad una videocamera.”

GIORGIO CAPUTO
“Li ho conosciuti in occasione del concerto con l’Orchestraccia alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica. Ci sono venuti a cercare per questa nostra affinità con Roma e con la romanità, in quanto loro “scavano” molto attraverso questo format sui quartieri di questa città e su quello che significa molto per gli artisti. Non potevano non intervistare l’Orchestraccia! (ride, ndr)
Ci siamo trovati molto bene e mi hanno aiutato molto nella distribuzione del video del mio primo singolo, “Er Principetto”. È stato un “Ciao, piacere, come stai? Ti va di lavorare con me?”. Approccio migliore non poteva esserci. (ride, ndr)”

NEW JERSEY QUAY
“Quando abbiamo visto i video che avevano fatto con The Castaway e Lucio Leoni, ci è piaciuto molto il tipo di format, ovvero il fatto che legasse i gruppi ai posti da cui provengono. Per noi, questa cosa è molto importante anche perché tutto quello che cantiamo, che scriviamo e che suoniamo, viene dal territorio in cui siamo cresciuti, nel nostro caso Guidonia. Quando li abbiamo contattati, proponendoci come band, trovavamo interessante il fatto che una puntata fosse girata nella provincia di Roma anziché nella città. Da lì è nato un amore infinito che ha portato alla realizzazione del nostro videoclip e a collaborare il più possibile.”

ALESSANDRO PIERAVANTI
“Ci siamo conosciuti a ‘Na Cosetta, durante la trasmissione radio che conduco su Radio Sonica, “Raccontami di Te”. Sono venuti a vedere una serata e lì mi hanno proposto di partecipare al progetto. Mi piaceva molto il discorso sui quartieri e sul fatto di localizzare chi fa musica, chi scrive, nelle varie zone di Roma e fargliele raccontare. C’era la possibilità di far uscire anche cose intime legate al posto in cui si è cresciuti. Personalmente, credo molto in quello che una persona fa nel posto in cui è vissuto, anche perché questo influenza molto chi sei. Mi capita spesso di ambientare quello che scrivo nei vicoli, nelle piazze e nei parchi dove sono cresciuto e Sound Meeter permette di far vedere questi posti alle persone che li hanno semplicemente ascoltati attraverso una canzone.”

PAN BELVISI
“Conosco Sound Meeter da tanti anni in quanto loro si occupano da anni di realtà live e mi è capitato spesso di incontrarli e di conoscerli attraverso la realtà di palco. Da lì è nato l’intento di voler fare un’intervista. Io sono di Roma mentre Andrea è di Napoli e ci siamo conosciuti già tramite web in quanto mi aveva contattato per delle produzioni. Da lì abbiamo deciso di unire i nostri due progetti e nel contempo abbiamo realizzato l’intervista insieme con Sound Meeter.”

JACOPO RATINI
“Era uscito il mio disco e loro ascoltandolo hanno contattato il mio ufficio stampa in quanto interessati al mio progetto. Ci siamo conosciuti insieme a tutta la squadra e abbiamo girato la puntata con due estratti live, e da lì è nata una bella amicizia. La cosa che mi ha affascinato molto è stato il fatto di poter creare un punto di contatto con il mio pubblico attraverso il quartiere in cui sono nato e cresciuto, e tutti quei luoghi dove insieme a me è cresciuta anche la mia musica.”

THE CASTAWAY
“Sound Meeter mi ha contattato circa due anni fa. Ci siamo conosciuti durante una mia serata live e hanno trovato interessante il mio progetto musicale. Mi hanno chiesto se fossi interessato a partecipare ad una loro puntata ed ho accettato subito, specificando però che non abitavo a Roma, ma ai Castelli Romani. Loro sono stati molto contenti di questa occasione nel poter raccontare una realtà “stretta” in quanto sono cresciuto in una paese, fondamentalmente, e abbiamo realizzato una puntata di cui andiamo orgogliosi.

GABRIELE AMALFITANO – JOE VICTOR
“Ci hanno contattato loro e abbiamo realizzato una delle loro prime interviste. Ci siamo conosciuti e ci siamo andati a genio fin da subito. Il format è veramente bello ed è stato molto divertente andare in giro per il mio quartiere, Parioli, che è un po’ lontano culturalmente dall’ambiente musicale. Ero molto contento di descriverlo anche se di cose interessante ce n’erano molto poche, ma interessanti (ride, ndr).”

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ph. Francesca Romana Abbonato

RED BRICKS FOUNDATION, dal quartiere Trionfale a Pete Doherty

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Di Alessio Boccali

Dai mattoncini rossi di Trionfale “verso l’infinito e oltre”, come direbbe Buzz Lightyear. I Red Bricks Foundation (Lorenzo Sutto, Claudio Cossu, Marco Cilo e Jacopo Corbari), nonostante la giovane età dei suoi componenti, hanno già alle spalle una notevole gavetta ed una bella esperienza nel talent show X Factor. Da poco è uscito il loro primo singolo in italiano “Ho perso la testa” e tanta carne è al fuoco per affrontare l’inverno con delle piacevoli sorprese. Nel frattempo, in questa afosa estate di lavoro, venerdì 5 luglio incontreranno uno dei loro idoli, Pete Doherty, e apriranno il suo concerto romano al Social Park.

Di tutto questo e di tanto altro ho parlato con Claudio, il chitarrista del gruppo.

Ciao Claudio, partiamo dagli inizi. Come sono nati i Red Bricks Foundation e qual è stata la gavetta affrontata fino ad ora?

Un abbozzo dei Red Bricks Foundation nasce nel 2011 grazie a Lorenzo (il frontman attuale della band) e ad una bassista con la quale lui suonava all’epoca. Il progetto prende questo nome da una strada costeggiata da mattoni rossi qui a Trionfale (nell’area ovest di Roma), il nostro quartiere. A dire il vero, inizialmente, Lorenzo voleva soltanto scrivere una canzone su questi mattoni, poi però, nel frattempo, la sua band dell’epoca si scioglie ed allora questi mattoni rossi, questi red bricks, diventano parte del nome di quella che ora è anche la mia band (io sono entrato nella “famiglia Red Bricks” circa due mesi dopo la fondazione “ufficiale”). Da allora ci sono stati un po’ di cambiamenti di formazione, fino a stabilizzarci circa un anno e mezzo fa. Per quanto riguarda la gavetta, ne ricordo davvero tanta: penso di aver suonato in più dell’80% dei locali romani e in qualsiasi condizione. Fuori la Capitale, inizialmente, non abbiamo fatto granché, ma c’è da considerare che i primi tempi avevamo anche 15/16 anni e quindi era un bel po’ complicato spostarci.

Dopo questa gavetta, è arrivata anche una grande occasione televisiva con X Factor… com’è stata?

Eravamo partiti molto tranquilli, non ci aspettavamo nulla di che, forse l’avevamo presa anche un po’ sottogamba, ma ben presto ci siamo accorti che avremmo dovuta prenderla più seriamente. L’impatto, infatti, è stato impressionante. Abbiamo immediatamente notato un grosso salto di qualità soprattutto a livello tecnico. Tutti ci han trattato fin da subito come dei professionisti della musica. Abbiamo avuto modo di capire e apprendere i tempi e i modi di approcciarsi alla musica di chi di musica vive e ci siamo resi conto sempre di più di quanto sia necessario impegnarsi al 100% per essere musicisti nella vita.

Vi ispirate ad artisti internazionali di spessore come Arctic Monkeys, The Strokes, Kasabian… gente che fa generi che in Italia (ahinoi, n.d.r.) non hanno attecchito molto. Quanto è difficile fare musica con quei mood in Italia e addirittura, come nel vostro ultimo singolo, in italiano?

Combattiamo con questa cosa fin dagli inizi e un po’ di anni fa la situazione era ancora più difficile perché eravamo davvero in pochi ad ascoltare questi artisti. Il bello, però, è che tanta gente cominciava (e comincia) ad ascoltarci proprio perché facciamo musica nuova per l’Italia. L’idea di portare quei generi in italiano nasce proprio dalla volontà di fare una cosa che nessuno aveva fatto prima oltre che dall’esigenza di esprimerci nella nostra lingua. “Ho perso la testa”, il singolo uscito da poco, ed altri pezzi, sempre in italiano, li abbiamo composti prima del nostro percorso televisivo, quindi alla base non c’è alcuna esigenza/richiesta discografica. Anzi, abbiamo osato, ci siamo presi un rischio e ci è piaciuto molto farlo perché abbiamo seguito, senza filtri, l’evoluzione del nostro pensiero sulla musica e anche le nostre nuove influenze (King Krule e Cosmo Pyke, tanto per citarne due…).

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Raccontami qualcosa su com’è nata “Ho perso la testa”…

Sì. Lorenzo l’ha scritta d’estate, in uno di quei periodi in cui sei un po’ giù e non hai molta voglia di fare qualcosa. Allora ripensi alla scuola, alle esperienze passate e dai sfogo alla tua noia mettendola in musica. La noia e la nostalgia sono, senza dubbio, le parole chiave che stanno alla base della genesi del brano.

Il vostro futuro, che poi sa anche un po’ di passato visto che tanti brani ce li avete già pronti da tempo, quale direzione seguirà?

Considereremo ancora sia l’inglese che l’italiano: scrivere in inglese spesso ci viene più naturale, ma l’italiano è la nostra lingua e ci affascina proprio perché è così difficile lavorarci per fare il nostro genere di musica.

Se ti parlo di Libertines, Babyshambles, Pete Doherty…

Eh… venerdì al Social Park a Roma canteremo prima di Pete Doherty & The Puta Madres. È un sogno. Doherty è uno dei nostri miti fin dall’adolescenza. Per ora ce la stiamo vivendo abbastanza serenamente; siamo contentissimi, naturalmente, perché è la prima volta che ci capita di aprire il concerto di un artista così grande e che ci ha influenzato così tanto. Io e Lorenzo, nel 2015, partimmo il giorno stesso del suo orale della Maturità e ci facemmo dodici ore di pullman per andare ad ascoltare i Libertines. Quel giorno riuscimmo anche a parlare rapidamente con Pete. Venerdì, però sarà diverso: ci parleremo da colleghi e condivideremo lo stesso palco e lo stesso backstage. Ripeto, un sogno.

…Oltre a Pete Doherty ritroverete Roma con una notevole cornice di pubblico…

Suonare davanti ad un bel po’ di gente per fortuna non ci fa più paura, però, naturalmente, è sempre un’emozione nuova. Certo che esibirsi a Roma, poi, è uno sprone in più. Il nostro obiettivo nei live è quello di far trasparire sempre le nostre origini: ok, ci piace la scena inglese, ma noi non siamo solo quello; vogliamo dare il nostro personale contributo alla musica.

L’appuntamento con Pete Doherty & The Puta Madres, Red Bricks Foundation, VANBASTEN, White Def e altre possibili sorprese è venerdì 5 luglio al Social Park di Roma in via del Baiardo, 25.