Rosso Istanbul – La recensione in Anteprima del nuovo film di Ferzan Ozpetek

Rosso Istanbul è un film diretto da Ferzan Ozpetek, con Halit Ergenç, Tuba Büyüküstün, Nejat İşler, Mehmet Günsür, Serra Yilmaz; Prodotto da Tilde Corsi e Gianni Romoli: R&C Produzioni – Faros Film con Rai Cinema – BKM- Imaj; Distrubuito da 01 Distribution. In tutte le sale dal 2 Marzo 2017.

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Ferzan Ozpetek, regista di lavori come Le fate ignoranti e Allacciate le cinture, torna a descrivere il suo Paese natale, 20 anni dopo Il Bagno turco e Harem Suare, con Rosso Istanbul, un film che è un’aperta lettera d’amore a una città.

Tratto dal suo libro omonimo uscito nel 2013, la trama è incentrata sul ritorno dello scrittore Orhan Sahin a Istanbul dopo quasi 20 anni di assenza: lì dovrà aiutare il suo vecchio amico regista Deniz Soysal a finire la scrittura del suo libro, rimanendo però intrappolato in una città carica di ricordi rimossi. Si ritroverà infatti sempre più coinvolto nei legami di famiglia e di amicizia di Deniz, molti dei quali rispecchiano i personaggi fittizi del libro che il regista deve finire, rimanendo quasi prigioniero nella vita di un altro, ma finendo per indagare soprattutto su se stesso.

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Se le storie a cui Ozpetek ci ha abituato in questi ultimi anni si concentravano sulle relazioni tra due individui spesso diversi, affrontando ed equilibrando difficili temi come i sentimenti e la morte, qui l’amore è invece quello per una città, una realtà dimenticata e lontana: è infatti l’ambientazione stessa a riuscire ad offuscare i protagonisti, le interpretazioni dei quali restano comunque ottime anche se forse vincolate ad alcuni comportamenti che possono funzionare bene su carta ma un po’ meno se trasposti su schermo. La città di Istanbul invece si illumina di luci al neon soprattutto nei suoi scorci sul Bosforo, dipinta nelle sue atmosfere sospese, quasi come in attesa di un qualcosa che sta per accadere: quella che domina è una lenta aura di inquietudine che permea una città in divenire e il clima di un Paese che sta cambiando velocemente.  Come ha dichiarato anche il regista in conferenza stampa, dove abbiamo avuto modo di venire a conoscenza di alcuni gustosi retroscena: “In Rosso Istanbul i cantieri, il rumore delle fabbriche  e delle trivelle diventano quasi un vero sottofondo musicale” (un plauso va all’incredibile lavoro del sound designer turco Sertal Muldur). Anche se non mancano alcuni graditi rimandi politici come il ricordo del problema curdo e alle “madri del sabato” ( le donne che si riuniscono in piazza Galatasaray con le foto dei loro cari scomparsi sul petto) , la Istanbul che qui vediamo è infatti soprattutto quella più laica e moderna.

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Ma quanto c’è di Ferzan Ozpetek stesso in questo film? Tanto, forse più che in tutti i lavori precedenti: è infatti la sua stessa storia e personalità ad essere sottolineata in tutta la pellicola, più o meno esplicitamente. I ricordi d’infanzia (una delle case viste nel film era proprio quella dove viveva il regista da bambino), gli amici lasciati, le strade perdute e l’amore per la madre, scomparsa da poco, una donna che amava il colore rosso e alla quale il film è dedicato. Non è infatti un caso che la data che vediamo all’inizio della pellicola, il 13 Maggio, oltre ad essere una doverosa precisazione che la pellicola è ambientata precedentemente al golpe di Erdogan, era stata anche quella dell’inizio delle riprese di Bagno Turco: questo è il ritorno spirituale e artistico in un Paese lontano di un regista che sente la necessità di raccontare una città attraverso gli occhi di una persona che l’ha lasciata da tanto tempo, e che nel frattempo è diventata quasi uno straniero.

Se tutti questi fattori concorrono a fare di Rosso Istanbul un film  molto intimo e delicato, forse quello che si va un po’ a perdere è una storia che si dipana lentamente senza però lasciare pienamente soddisfatti: la virata verso una specie di thriller-noir non riesce ad essere pienamente efficace, non sviluppando in pieno molte situazioni che rimangono quindi scene un po’ fini a se stesse. Ciò non toglie che la pellicola resta un affascinante dipinto di una realtà lontana, che ci viene mostrata in una maniera molto diversa rispetto all’immagine creata nelle nostre menti dalle numerose notizie politiche: ci si immerge nella quotidianità di un Paese dormiente, come un tuffo nel Bosforo tinto di rosso dal tramonto.