16Gang: “La nostra trap dance è come un film dal finale aperto”

Di Alessio Boccali
16Gang_ph. credits Luca D'Amelio

ph. Credit: Luca D’Amelio

La 16Gang è composta da Pasquale Bello in arte “Skelotto” e Antonio Santarcangelo in arte “Weegly”, e di recente dal produttore, anche lui giovanissimo, ROX.  I ragazzi del collettivo, scoperti da Angelo Calculli di Mk3 e da Giuliano Saglia di Red Music, hanno le idee ben chiare in testa e ora che hanno da poco firmato con la Elektra Records, del direttore artistico Achille Lauro, sono pronti a “spaccare” con il loro flow senza filtri. “SnitchDance”, il loro ultimo singolo sta spopolando ovunque, specie tra  più giovani; a riconferma dello stretto legame tra questi ultimi e la trap.

 Ciao ragazzi, parlatemi di come nasce “SnitchDance”. È il vostro biglietto da visita?

Ciao! Il brano “SnitchDance” è frutto della sperimentazione di diversi sound da parte del nostro producer Rox ed è arrivato nel momento giusto, in quanto si inserisce perfettamente nell’ondata di successo della trap dance. Quando Rox ci ha presentato per la prima volta il beat dal quale è nata poi “SnitchDance”, non lo abbiamo subito apprezzato per via del sound davvero nuovo per noi. Successivamente, lavorandoci tutti insieme siamo riusciti a ricavarne una traccia perfetta. Più l’ascoltavamo, più iniziavamo a intuire che questo sound, così all’avanguardia, avrebbe potuto funzionare. “SnitchDance” non è ancora il nostro biglietto da visita: come detto, ha un sound totalmente nuovo, molto distante rispetto ai nostri brani precedenti. Trattandosi di una novità, siamo certi che i nostri ascoltatori non riusciranno facilmente a prevedere la nostra prossima mossa (sorridono, n.d.r.).

La vostra gang, la vostra traphouse sembra quasi un Fight Club, con le stesse regole d’onore per farne parte. Me ne parlate un po’ (per quello che potete…)? Come nasce, cosa significa per voi, quali sono i requisiti per avvicinarsi alla gang…

La prima regola della traphouse è non parlare della traphouse (ride). Noi veniamo da una zona dove le persone sulle quali puoi davvero contare e di cui puoi fidarti sono poche. Siamo cresciuti con una cerchia ristretta di amici e ancora oggi sono gli stessi. Nella traphouse entra solo chi fa parte della squadra; è il nostro luogo di culto (e studio di registrazione), dove nasce la nostra musica (dalla scrittura all’incisione), dove siamo liberi di esprimere la nostra arte e creatività. Per poter entrare, il requisito fondamentale è far parte della squad, e, attualmente, la squad non ha bisogno di nuovi personaggi.

Cover Snitchdance

Da film a film, il video di “SnitchDance” è ispirato a Pulp Fiction e in particolare all’episodio con la “ventiquattrore misteriosa”, che è diventato iconico nella storia del cinema e non solo. Come mai questo rimando e qual è il collegamento che avevate in mente con la vostra musica?

Il video di “SnitchDance” ha preso spunto da capolavori della storia del cinema, come “Pulp Fiction” e non solo. Infatti, nel video troviamo chiari riferimenti anche ai film “Paura e delirio a Las Vegas”, “Scarface” e “Prova a prendermi”. Il rimando all’episodio di “Pulp Fiction” con la “ventiquattrore misteriosa” è frutto della creatività del videomaker Davide Masciandaro, che ha curato concept creativo e realizzazione del video. Nello specifico, la valigetta è il motore del video, l’elemento che crea la narrazione e la porta avanti, collega le varie scene e contribuisce a creare suspance e un alone di mistero nello spettatore, che viene quindi invogliato a proseguire la visione. La ventiquattrore nel film “Pulp Fiction” ha una potenza enorme, è il motore fittizio della trama del film, in quanto dimostra la forza del linguaggio cinematografico, che può mostrarci determinate cose, ma può anche decidere di nascondercele, facendo lavorare la nostra immaginazione. La nostra musica contiene elementi che lasciano libera interpretazione all’ascoltatore, pensa in “SnitchDance” al discorso creato attorno alla traphouse, di cui ti abbiamo appena parlato. Quindi, disseminiamo nella nostra musica e nella nostra comunicazione tanti elementi (la traphouse, la gang…) che hanno potenza comunicativa equivalente alla valigetta misteriosa di “Pulp Fiction”.

L’essenza dell’artista trap passa anche dalla moda; quant’è importante per voi il vostro vestire? Rappresenta una sorta di marchio di appartenenza?

Nella trap, molto più che nel rap l’immagine ha acquistato un valore immenso. Quando parliamo di potenza dell’immagine, intendiamo soprattutto la moda, intesa come il modo di vestire e di indossare determinati marchi importanti. Noi siamo sempre stati appassionati di marche, vestiti e quant’altro e la trap è proprio il mondo ideale dove poter sfoggiare il nostro outfit. Senza dubbio è la musica che parla, sempre e comunque, ma la moda e gli outfit sono parte della nostra comunicazione quindi più che marchio di appartenenza, sono il nostro marchio. Ci piace avere uno stile tutto nostro ed essere riconoscibili per questo.

16Gang

Siete nel team di Elektra Records, sotto la direzione artistica di un’artista come Achille Lauro, tra i protagonisti di una vera e propria rivoluzione moderna nella nostra musica, rivoluzione che ha dato più spazio anche al vostro genere musicale. Bella responsabilità?

Assolutamente, enorme responsabilità! Siamo contentissimi e molto orgogliosi della chiamata ricevuta da Elektra Records. Crediamo davvero in quello che facciamo, dal primo giorno. Per noi, non si tratta solo di fare musica trap, bensì di avere un determinato stile di vita. Non potevamo chiedere di meglio che avere Achille Lauro come direttore artistico: l’artista più rivoluzionario degli ultimi anni, che ha cambiato in molti il pensiero e il modo di vedere questo tipo di Musica. Ed è riuscito a portarla a livelli mai raggiunti prima. A lui, sentiamo di dovere tanto.

Il beat del pezzo spopolerà su Tik Tok, che rapporto avete coi social?

Prima del lancio di “SnitchDance” non avevamo mai usato Tik Tok, ma usavamo molto Instagram, sia i nostri profili personali, sia il profilo 16gang, per raccontare la nostra musica e la nostra quotidianità (ci piace mostrare ai nostri follower la nostra vita fuori dallo studio di registrazione). Poi abbiamo capito il potenziale della piattaforma, anche per dialogare con un pubblico giovanissimo, quindi siamo approdati anche su Tik Tok. Siamo davvero felici che il sound di “SnitchDance” stia spopolando su Tik Tok, è un successo inaspettato. Guardiamo i video dei vari creators, che ci divertono molto, e ci teniamo a condividerli sul nostro account Instagram per avere un dialogo diretto coi nostri fan. Quindi ragazzi, seguite 16gang su Tik Tok e continuate a usare il sound di “SnitchDance” nei vostri video.

Progetti futuri: singoli, disco…?

Stiamo sempre nella traphouse, al lavoro, alla ricerca di nuovi sound, alla sperimentazione continua. Potremmo riempirvi le casse di musica per un giorno intero da quanto produciamo, ma la prossima mossa ve la facciamo solo immaginare (ridono, n.d.r.).  Un bacio a tutti i lettori di Musica Zero Km!

 

Giulia Penna: “La musica è il diario dei miei giorni. La romanità, la mia verità”

Di Alessio Boccali

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Giulia Penna, cantautrice e web performer romana, dopo un passato da artista di strada e una gavetta piena di kilometri percorsi e partecipazioni a diversi concorsi canori, ha trovato la sua dimensione ideale nel mondo della rete dove è seguitissima grazie alla sua genuinità e alla sua schiettezza. Il suo progetto musicale, concretizzatosi in un lavoro indipendente, ha ricevuto già diversi riconoscimenti dal pubblico e arriva oggi alla pagina di diario dedicata all’estate. Un’estate decisamente particolare durante la quale, scrivendo sul suo diario musicale, Giulia ha deciso di raccogliere i frutti di quel “Bacio a distanza”, questo il titolo del brano, che noi tutti abbiamo mandato, durante il lockdown, a chi poteva starci vicino soltanto col pensiero. Qualche mattina fa i kilometri che separano Roma, la nostra mamma comune, e Milano, la sede attuale di Giulia, sono stati cancellati da una piacevole chiacchierata telefonica:

Ciao Giulia! Per giocare un po’ col nome del tuo nuovo singolo, ti chiedo: come stai vivendo questo ritorno all’accorciamento parziale delle “distanze”?

Ciao Alessio! Bene dai, è stata dura e sarà sicuramente un’estate particolare, ma voglio viverla come una ripartenza, proprio come il mio singolo “Bacio a distanza”, che vuole raccontare la stagione calda cercando di dare un messaggio di rinascita. Secondo me, in questo periodo abbiamo imparato a dare più valore alle persone e alle relazioni e, con questo brano, canto che è giunto il momento di andarmi a “riprendere” tutti coloro che mi sono mancati perché l’estate, e la vita in generale, sono belle solo con loro.

È stato difficile concepire un pezzo fresco come “Bacio a distanza” in una situazione così critica o questo ha rappresentato una sorta di liberazione, di evasione per te?

Durante la quarantena è uscito anche un altro mio singolo, “Soli anche insieme”, che raccontava proprio un momento di solitudine, un momento buio. Non era nulla di premeditato, ma è successo e, in parte, ha anche rappresentato il mio stato d’animo iniziale. Non ti nascondo che nelle prime settimane di lockdown ero molto spaesata e impaurita per il futuro, tuttavia, nella mia vita ho imparato sempre che dai momenti bui posso sempre trovare la forza per far nascere delle cose belle e quindi bisogna sempre rialzarsi. Ce l’ho messa tutta, mi sono ricaricata e ho scritto “Bacio a distanza”.

Tutte le copertine dei tuoi ultimi singoli sono pensate come delle pagine di un diario…

Sì, il 2020 lo avevo immaginato come l’anno per raccontarmi nelle mie diverse sfaccettature, nelle mie tante e variegate esperienze. Naturalmente, ci saranno altre pagine di diario, non mi fermerò a causa di questi mesi che abbiamo trascorso, anzi, avrò tante nuove emozioni da raccontare. La musica è il diario dei miei giorni.

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È sempre stato così viscerale il tuo rapporto con la musica, come la vivevi prima della notorietà?

Sì, la musica è sempre stato il carburante della mia vita. Sono stata artista di strada, ho partecipato a diversi concorsi come, ad esempio, il Festival di Castrocaro, e ora eccomi qui a capo del mio progetto musicale indipendente e con un occhio speciale per le collaborazioni sul web. Internet, devo e voglio riconoscerlo, mi ha dato veramente tante opportunità.

A proposito del web, oltre a sottolineare il potenziale che la rete in generale, e soprattutto i social, hanno, vorrei chiederti qualcosa sulla responsabilità che una star del web deve nutrire nei confronti del pubblico…

Assolutamente, è davvero importante fare attenzione a ciò che si comunica. Io ho sempre cercato di trasmettere messaggi positivi, di mostrarmi nella mia genuinità. Poi certo, siamo esseri umani, si sbaglia e si sbaglierà sempre, però cerco sempre di stare attenta e di fare il mio meglio. Ci sono ormai intere generazioni che stanno crescendo con la rete, è davvero essenziale per noi creatori di contenuti di qualsiasi natura responsabilizzarci.

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Con il video ufficiale del singolo hai coinvolto tanti amici del mondo del web e del mondo dello spettacolo in generale. Dai loro contributi video a distanza, è nata poi la Challenge che hai sottoposto ai tuoi fan…

Esatto, avevo tanta voglia far ballare le persone. Sentivo, soprattutto in questo momento, la necessità che le persone, ascoltando il mio brano, si staccassero dalla realtà e iniziassero a muoversi. Per il video, poi, ringrazio tutti gli amici che mi hanno inviato i loro contributi filmando la loro quotidianità. Volevo una cosa che fosse il più naturale possibile; non avrebbe avuto senso fare un video su una barca o in spiaggia insieme a tante persone. Ho voluto essere vera fino in fondo e ho raccontato la mia quotidianità fondendola con quella dei miei amici.

A proposito di genuinità. Nei tuoi brani, soprattutto in quelli più intimi c’è tanta Roma, c’è il tuo accento che non hai mai nascosto, ci sono quei vocaboli che a noi romani risultano più familiari…

Sì, il romano è la mia lingua, rispecchia me stessa. È il mio marchio di fabbrica che non vorrò mai perdere. Scrivo e canto come parlo, fa parte del mio mostrarmi senza filtri. La mia romanità è la mia verità. Poi certo, ci sono pezzi che si prestano di più a questo e pezzi che si prestano meno, ma chi mi conosce, anche attraverso i social, sa che se non mi mostrassi in questo modo, se non conservassi il mio accento anche nel cantato, non sarei io.

Emanuele Aloia e quel senso di eterno ricercato nell’Arte

Di Alessio Boccali

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Emanuele Aloia, giovanissimo cantautore torinese, sta vivendo un successo immenso grazie al suo “Il bacio di Klimt”, un brano che parla ai giovani (e non solo) con una semplicità e allo stesso tempo una profondità tali da farlo schizzare in vetta alle più note classifiche musicali nostrane e riuscire a conquistare il disco d’oro. Un successo fortemente aiutato dalla piattaforma social Tik Tok, che ha permesso al pubblico di conoscere un ragazzo, un artista, che cerca di imprimere il suo marchio di fabbrica nella musica attraverso originali riferimenti al mondo della storia dell’arte e della letteratura. Questo il resoconto della nostra piacevole chiacchierata:

Ciao Emanuele, innanzitutto, come stai?

Ciao! Tutto bene, sto ritornando a una lenta normalità; faccio musica, anche se quello non ho mai spesso di farlo, rispondo alle interviste… insomma, si ricomincia.

aloia_il_bacio_di_klimt_640_ori_crop_master__0x0_640x360Il tuo brano “Il bacio di Klimt” sta davvero spopolando. Perché questo titolo e perché, secondo te, il Bacio di Klimt è così iconico?

Il titolo nasce dopo la canzone; quando ho finito di scriverla, ho subito pensato che dovesse chiamarsi così. Questo racchiude a pieno il senso del brano. È difficile dare una risposta, invece, sull’iconicità dell’opera d’arte vera e propria. Nell’arte non c’è mai una spiegazione logica che ti motivi il perché questa arriva alle persone; sicuramente ne “Il bacio” una gran parte del lavoro possiamo dire tranquillamente che la fanno i colori, i quali danno al quadro un senso di eternità, che poi è quello che vorrei trasmettere con il mio brano.

Un altro tema portante del singolo è quello della solitudine; problema sempre di grande attualità e che, ora più che mai, con questo virus e questa digitalizzazione del mondo della scuola, rischia di toccare di più i giovani; sei giovanissimo anche tu e tramite i vari social parli molto con tanti ragazzi; cosa vuoi trasmettergli in questi giorni?

Premetto che il brano nasce prima di tutta questa brutta situazione, tuttavia, sono molto fatalista e questa canzone sembra proprio descrivere un momento come quello dal quale ci stiamo lentamente rialzando. Ciò che mi sento di poter affermare è che le emozioni più negative come la malinconia, o appunto la solitudine, fanno parte della vita e vanno sempre affrontate. Bisogna cercare di essere sempre abbastanza equilibrati: sia nel vivere le gioie che nei momenti di tristezza.

Com’è portare la storia dell’arte, la letteratura…, in un’altra forma d’arte come la musica?

Nonostante abbia solo ventuno anni, ho già vissuto diverse trasformazioni su di me, sul mio essere artista. Non sono un esperto d’arte, sebbene ne sia appassionato; sono un tipo soprattutto curioso e mi affascinano la storia dell’arte, la letteratura – che poi in musica diventa quel cantautorato con il quale sono cresciuto – e sicuramente tutto ciò sta incidendo su quello che è il “marchio di fabbrica” della mia scrittura. Scrivo sicuramente meglio di come facevo qualche anno fa, ma naturalmente c’è sempre tanta strada da fare. Sono arrivato al punto, però, di voler affermare una mia precisa identità per differenziarmi e fare la differenza. Sicuramente, questo è un lavoro lungo che richiederà tanto tempo, ma sono sicuro che avverrà tutto in maniera naturale.

L’influenza della musica sull’ascoltatore è cosa nota, soprattutto per quanto riguarda i più giovani. Tu hai una bella responsabilità perché inviti a percepire la bellezza. Quanto è presente questo pensiero quando scrivi e soprattutto quanto pensi peserà questo nel tuo imminente futuro, visto anche il successo de “Il bacio di Klimt”?

Quando hai un pubblico molto giovane – per quanto con quest’ultimo pezzo l’età media del mio pubblico si sia alzata e questo mi fa molto piacere – la responsabilità è sempre più grande. Devi dosare le parole, devi pensare molto a quello che dici. Sono comunque molto tranquillo perché prendo ispirazione dalla bellezza, come dicevi tu, e quindi è difficile sbagliare. L’unica tensione che posso sentire un po’ più forte in questo momento è proprio quella strettamente collegata al successo de “Il bacio di Klimt”. Certamente, ci sarà un determinato tipo di attenzione sulla mia prossima uscita, ma questa oltre che una tensione è anche, e soprattutto, uno stimolo. Sono un tipo molto competitivo e ritengo gli stimoli esterni molto utili. Per quanto riguarda il mio invito a percepire la bellezza nella cultura, che citi nella domanda, mi fa sempre molto piacere quando ricevo dei messaggi da parte di teenager che mi ringraziano per averli fatti incuriosire a quel quadro piuttosto che a quell’autore letterario…

Hai poco più di vent’anni eppure hai comunque una buona gavetta alle spalle…

Scrivo da quando avevo tredici anni e a quattordici avevo già aperto un canale YouTube dove pubblicavo i miei inediti – naturalmente discutibili (ride. n.d.r) -, non ho mai smesso di crederci.

emanuele-aloia-980x551A proposito di YouTube, hai avuto grande successo “social” grazie alla piattaforma Tik Tok; possiamo considerare quest’app come una sorta di nuovo YouTube, naturalmente con modalità estremamente differenti, che può fungere da rampa di lancio per gli emergenti?

Assolutamente sì. Anche se son diversi i tempi di fruizione: su YouTube senti il pezzo intero, su Tik Tok ti entrano in testa delle frasi, degli incisi. L’importante è far capire a tutti è che Tik Tok è solo un mezzo; se un pezzo esplode a caso su quella piattaforma, ma non ha potenzialità per resistere altrove, si ferma là. Tik Tok può lanciarti, ma se poi la tua musica non ha un certo peso specifico, non vai da nessuna parte. Le persone sono molto pigre sui social, se quei pochi secondi di canzone ascoltata in un tik tok ti invogliano ad interessarti di più a quell’artista, significa che qualcosa di quel pezzo gli è rimasto dentro.

Un altro tuo brano che ho apprezzato molto è “Sempre”, uscito anche lui quest’anno, molto interessante anche il video con un altro omaggio letterario…

Son molto contento di parlare di “Sempre” perché quello è un brano molto bello, che però va capito. In un certo senso c’è un filo che lega le mie canzoni più conosciute e lo possiamo racchiudere nel senso di eternità, di cui abbiamo parlato anche prima. “Sempre” non è autobiografica e proprio per il peso che ha questa parola, a ventuno anni non ho scelto di fare un video ufficiale con due ragazzi mano nella mano a rappresentare una promessa d’amore, una scena vista e rivista. Per il videoclip ho scelto invece di prendere in prestito i protagonisti di una saga cinematografica come Harry Potter, che conoscono praticamente tutti, e in particolare provare a raccontare, con la mia canzone, l’amore di Piton per la madre di Harry: un sentimento più forte di tutto, che per proteggere il figlio della donna amata, arriva ad influenzare in negativo il pensiero che le persone hanno di lui. Un amore che si riflette perfettamente nel concetto di eterno.

Progetti futuri? Un album? Hai già le idee chiare su quale sarà il “colore”, il mood dominante di quest’album?

Di album pronti ne avrei veramente tanti per quanto scrivo (ride, n.d.r.). Il mio percorso finora è sempre andato avanti di singolo in singolo, ma “Il bacio di Klimt” ha dato sicuramente un’accelerata che ha portato me e chi mi segue a pensare decisamente a un album. L’obiettivo – non semplice sicuramente – è quello di portare un qualcosa di originale e per farlo c’è bisogno di un po’ di tempo. Uscirà quando, da perfezionista quale sono, sarò convinto al 100% di aver impresso il mio marchio di fabbrica sul lavoro che andrò a presentare.

Piccoli Fastidi Quotidiani: il nuovo divertente disco dei Controsenso Acoustic Duo

Band LR

 

E’ mattina e sto tocciando il primo Pan di stelle nel mio zuppone di caffèlatte. Ovviamente la sonnolenza è tale che il biscotto va in immersione subaquea in due secondi. Cerco un po’ di sound per iniziare la giornata e scelgo “Piccoli Fastidi Quotidiani”, titolo che mi sembra idoneo per coronare tale tragedia mattutina.

Inizialmente, ascoltando l’apertura dell’album penso subito a Marco dei Cesaroni e a Ed Sheeran. Ammazza ha del sound questa roba! Subito mi metto a saltellare e penso soltanto “questi Controsenso Acoustic Duo mi capiscono proprio”! Tra lamentarsi degli esami, delle ascelle maleodoranti sugli autobus e delle dubitabili doti canore degli artisti che passano per radio costantemente, rappresentano proprio un manifesto di protesta alle mie mattinate tipiche! Mi innamoro di loro quando però descrivono la scena epica di un sorpasso a destra da parte di un vecchietto con improbabili capacità di guida e quando esordiscono con un “sono già le 7.30 e già non vi reggo più!”

I Controsenso Acoustic Duo sono partiti facendo cover di canzoni metal, rock, pop e rivedendole in chiave acustica e hanno esordito a febbraio con il loro primo album “Piccoli Fastidi Quotidiani”.

I contenuti sono alquanto ironici ma davvero poetici e sentiti, anche se dedicati ad un noioso “Correttore Corruttore” che devasta umore e amori.

Il loro sound rende la narrazione molto leggera e divertente grazie  a una chitarra acustica molto ben strimpellata e da due belle voci come quelle di Davide Cotena e Chiara Consolini. A dirla tutta, come raccontano loro stessi nel Manifesto, la loro musica è creata anche suoni prodotti da cimbalino, loopstation, stompbox, cimbali a piede e tanto altro (ma tutto suonato dal solo Davide)!

Vi lasciamo con il loro divertente video di The Odorante!

Prossime Date dei concerti dei Controsenso Acoustic Duo:

  • 6 maggio (Sorbakko, RN)
  • 12 maggio (Quingentole, MI)
  • 20 maggio (Scandiano, RE)

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Dalì Experience

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I weekend Bolognesi sono contraddistinti dalle lunghissime file alle tante mostre e musei che la città offre ai suoi cittadini e turisti. Uno di questi, è la Dalì Experience a Bologna che si propone come un’esperienza museale unica nel suo genere nel contesto Bolognese. 200 opere appartenenti alla Collezione di Beniamino Levi saranno infatti esposte e inserite in un contesto multimediale ed interattivo a Palazzo Belloni fino al 7 Maggio. Particolarmente significativo il contributo di Loop srl, una realtà imprenditoriale creativa bolognese che costruisce interazione tra arte ed utenti attraverso alla tecnologia. Un percorso museale che si allontana dal tradizionale ed “ingessato” museo e che cerca di far esplorare la dimensione psicologica e filosofica dell’artista. L’esposizione è stata organizzata da con-fine Art con il patrocinio del Comune di Bologna e supportata da alcune realtà giornalistiche quali QN Quotidiano Nazionale, Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. Sarà forse questa ampia partecipazione dei giornali o l’autovalutazione dell’esperienza come “provocante, paranoica, esagerata e ri-creativa”che ha prodotto non poche aspettative tra gli utenti. Si può dire che in generale, per coloro che non sono familiari con i format museali già presenti in altri paesi europei, questa mostra potrebbe essere vista come innovativa e all’ avanguardia. Positivo è senza dubbio il percorso animato da installazioni suggestive e che stimolano una riflessione sui temi che l’artista metteva in discussione con le sue opere. In generale, è facile ripercorrere i principali aspetti dell’arte di Dalì e con questo della sua vita grazie a una divisione concettuale delle stanze. Le installazioni multimediali potrebbero essere anche una buona scusa per distrarre i bambini e farli interessare a complessi concetti filosofici quali le illusioni percettive, il concetto di tempo, le quattro dimensioni ed ad aspetti della psiche umana. La mostra è indubbiamente “social” attraverso all’ immancabile app e all’ hashtag #daliexperience che ha collezionato quasi 4000 condivisioni su Instagram.

Apprezzatissimo sembrerebbe essere il sofà a forma delle labbra di Mae West in rosa Schiapparelli, il bagno, decisamente molto creativo e i baffetti forniti all’ ingresso con cui scattare favolosi selfie. Purtorppo però le tecnologie che erano disponibili non sono state valorizzate al massimo. Secondo quanto riportato da alcuni visitatori su TripAdvisor, i tablet contenevano descrizioni troppo lunghe e per nulla interattive. L’audiopen fornita all’ ingresso si limitava a trasmettere materiali audio quali suoni o poemi che purtroppo erano troppo lunghi o irrilevanti. Poca attenzione è stata data all’ importanza dell’arte surrealista nei diversi ambiti creativi tra cui moda, arredamento funzionale, pubblicità e cinema. Pur essendo chiaro il tentativo di sottolineare questi aspetti fondamentali ed evidenti nell’attualità, questi non sono stati resi esaustivamente visibili all’utente ad esempio attraverso proiezione di video. Indubbiamente questa esperienza costituisce un passo in avanti nel lungo viaggio che porterà verso un tipo di museo più coinvolgente, che sappia intrattenere e mantenere l’attenzione del visitatore, smettendo di radicarsi dietro ad antiche gerarchie dove la cultura appartiene solo ai più istruiti. Questo percorso è ancora lungo ma sicuramente questa mostra indica una buona direzione per una nuova esperienza di museo per tutti.

Anti-pirateria, la Polizia Postale prova a smuovere gli animi

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La Polizia Postale è arrivata sui social e con essa i messaggi tra legalità ed educazione da veicolare ai suoi utenti. Uno che salta ovviamente all’occhio con il consueto #essercisempre è relativo ad uno dei temi caldi della rete: la pirateria.

Infatti conosciamo benissimo il tasso d’illegalità in questo campo, anche se i numeri danno un’immagine più chiara: secondo l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO) il 21% dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha utilizzato intenzionalmente fonti illegali per i contenuti online. Un dato medio stando alla classifica europea che pone la Francia (34%) e la Spagna (33%) sopra di noi  e sotto il Regno Unito (19%) e la Germania (18%).

Ma i tantissimi ‘pirati musicali’ cosa rischiano? Una sanzione “fino a un massimo di 1.032 euro qualora il valore dell’opera non sia facilmente determinabile” come riporta la pagina Facebook. Un prezzo salato per svicolare tra le righe della legalità: vale la pena rischiare?

Social: l’effetto delle campagne virali non dura

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Le campagne social hanno una vita breve: ad affermarlo è lo psicologo Sander van der Linden, le cui riflessioni sono contenute sul sito “Scientific American”. Il primo fenomeno che viene in mente è il famoso Ice Bucket Challenge, iniziativa a sostegno della Sla che ha coinvolto diversi personaggi famosi e non nel 2014. La campagna social, in cui ogni persona veniva filmata mentre si versava un secchio di acqua fredda in testa, ha  visto la partecipazione di circa 28 milioni di persone con i video che sono stati visti 10 miliardi di volte da 440 milioni di soggetti. L’iniziativa ha raccolto in breve tempo milioni di dollari per la ricerca, ma l’effetto non è durato troppo tempo. Come afferma van der Linden, la campagna nel 2015 ha ottenuto lo 0.9% dei finanziamenti rispetto all’anno precedente. Anche le ricerche Google, cosi come le visite su Wikipedia e sul sito dell’associazione, sono calate dopo aver avuto un picco nell’agosto del 2014.

L’Ice Bucket Challenge non è l’unica campagna di successo che ha fatto registrare questi risultati. Come rivela lo stesso van der Linden, l’iniziativa di Facebook sulla donazione degli organi ha raggiunto numeri record nei primi due giorni, mentre quella sul Darfur ha raccolto buona parte dei membri nei primi due mesi, con il 72% di loro  che non ha fatto nemmeno una donazione. Tra le iniziative più riuscite, lo psicologo cita  Movember, in cui si chiede agli uomini di non tagliare i baffi per sensibilizzare una serie di problemi legati alla salute.

Le ricerche dimostrano dunque che un’adesione a livello social, non si traduce in comportamenti significativi a lungo termine. Queste campagne virali hanno una vita breve e non riescono ad incidere sulla consapevolezza del pubblico sui temi proposti. Per far durare “l’altruismo virale”, come rivela van der Linden, servirebbe un coinvolgimento più profondo  da ripetere in un lasso di tempo sostenuto.