WILLIE PEYOTE

1627418_1457602621-45288-kYjE-U1101348771134bj-1024x576@LaStampa.it
di Alessio Boccali

Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, nasce a Torino nel 1985. Il suo ultimo lavoro Sindrome di Tôret prende il nome proprio da una particolarità della sua città natia: le fontane pubbliche con la testa di toro che popolano la città e che non smettono mai di sputare acqua proprio come le persone affette dalla sindrome Tourette non riescono a controllare i loro tic.

Ciao Guglielmo, il tuo “Sindrome di Tôret” è un disco schietto, molto punk e la metafora con la patologia di Tourette rispecchia proprio questa incapacità di controllarsi e, nella fattispecie del disco, di star zitti; non pensi però che sia proprio lo stare troppo zitti a subire uno dei più grandi problemi di questa società?

In realtà, la gente parla, anche troppo, senza mai però reagire. Parlare per non dire niente non è comunicare ed incazzarsi e sparare cazzate non è ribellarsi, anzi, essere schiavi dell’idea di dover dire sempre la propria per forza è essere soggiogati da come funzionano le cose senza rendersene conto.

Se le persone non riescono a ribellarsi all’essere incluse nel calderone di chi parla a vanvera come possono ribellarsi al sistema? È difficile fare musica per quello che in “Avanvera” definisci un popolo di Alberto Angela?

Non è difficile fare musica oggi, è difficile farla durare nel tempo senza che sia considerata soltanto un mero mezzo d’intrattenimento. Oggi poi con le nuove tecnologie è anche più facile diffondere le proprie opere.

I testi del disco racchiudono molte stilettate crude e disamine della realtà, ma sono anche pieni di domande. La mancanza di certezze è uno sprono a fare arte?

Senza dubbio, se hai delle certezze non produrrai nulla di artistico perché queste non ti portano a farti delle domande, a guardare le cose sotto un punto di vista che non sia quello della sicurezza. Non credo si possa produrre arte se si è sicuri di sapere e capire tutto. Il motore di tutto quello che ho fatto è sempre stato proprio il dubbio; dall’analisi di ciò che avevo intorno è sempre nato qualcosa di interessante.

In “Giusto la metà di me” con la frase “sapessimo il tempo che resta sapremmo davvero usarlo meglio?” ti domandi se davvero stiamo sfruttando al meglio il nostro futuro. Sei riuscito a capire quale sia il modo per sfruttare al meglio il tuo futuro?

Non so quanto mi resta e non credo di volerlo sapere (ride, n.d.r.), per ora sono determinato a pormi nei confronti del futuro in una maniera più consapevole rispetto a tempo fa, consapevole di quello che posso e devo fare e che è sempre necessario migliorare sé stessi per migliorare il futuro.

Non ti chiederò se sei più rap, più indie o più cazzone come dici ne “I cani”, ma ti chiedo cosa ne pensi dell’attenzione attirata sul pubblico da questi nuovi artisti che partono dal basso e rappresentano ormai il nuovo pop italiano?

Era ora. A prescindere dai gusti, è meglio avere primi in classifica gente come thegiornalisti, Levante o Coez piuttosto che i vari e vecchi Ramazzotti, Renga o Pausini, che hanno stancato. Sono contento che i primi citati siano persone della mia età, che io e la mia generazione possiamo comprendere. Mi sta benissimo che il nuovo pop italiano venga dal basso, che sia indie o quello che volete; è un buon momento per la musica italiana proprio per questo motivo. Meglio Tommaso Paradiso che Ramazzotti… tutta la vita!

Sei nel pieno di un tour per l’intera Penisola che si concluderà a gennaio, qual è la situazione dei club italiani, siamo ritornati ad una situazione in cui il pubblico smette di stare davanti alla tv ed esce ad ascoltare nuova musica?

Sì e a questo si associa la morte dei talent. Le persone da qualche anno vanno a vedere gente che fa musica sul serio e non solo prodotti commerciali, ci si è resi conti che quella dei talent e della tv era solo fuffa. Andare ad un talent non serve a niente, serve ai giudici per fare i giudici, ai musicisti non serve a niente. Per rimanere in tema tv ho apprezzato invece un programma come MTV Spit, che comunque non era preparato e, pur dovendo rispettare i tempi televisivi, era abbastanza veritiero. L’ho vissuto da vicino quando ha vinto il mio amico Shade e posso assicurarti che lì era tutto vero.