MILLE, “la vita le cose” e il bello della mia colorata quotidianità

Di Alessio Boccali

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MILLE, al secolo Elisa Pucci, cantautrice romana, ma milanese d’adozione, è un’artista a tutto tondo. Con il suo secondo singolo da solista intitolato “La vita, le cose”, vuole ribadire l’importanza, e la bellezza, delle piccole cose, riscoperte ancor di più durante questo periodo di lentezza forzata impostoci dal lockdown. Il suo elisir di felicità ha come ingredienti principali la semplice quotidianità e i colori…

Ciao Elisa, come hai passato questo recente periodo a Milano?

Nella mia routine non è cambiato molto, visto che io vivo tantissimo in casa perché lì penso, dipingo e scrivo e vado in studio solo per registrare. Devo dire che ho rivalutato molto questo periodo di quarantena perché mi sono un po’allenata alla lentezza; avevo preso già diversi impegni da tempo e quindi la sorpresa di ritrovare poi tutti i piani scombinati alla fine l’ho anche accolta di buon grado. Bisogna prendere le cose come vengono e pazienza se poi avevamo programmato tutt’altro. Quindi si, ho passato questi due mesi chiusa in casa come tutti e il rientro alla normalità mi ha fatto percepire per prime le gambe, che mi sembrava quasi di aver perso: la mia casa è molto accogliente, ma piccolina, avevo completamente dimenticato cosa significasse camminare o scendere le scale, quindi diciamo che il mio lockdown si è concluso con la riscoperta del corpo.

Diciamo che si è concluso con la riscoperta di quelle piccole cose di cui parli anche nel tuo singolo “La vita le cose”. Ho letto, poi, che con questo pezzo vuoi dare una risposta alla famosa domanda che poniamo sempre, spesso anche come semplice frase di circostanza, ovvero “Come stai?”…

Sì, per me sono sempre i piccoli dettagli che fanno la differenza e sono veramente tanto, tanto affezionata anche a quei piccoli riti quotidiani. Per me è una cosa grandiosa anche andare a fare la spesa con la mia dolce metà; perché se per gli altri è una rottura di palle fare la fila, fare i conti con gli altri carrelli… per me acquisisce sempre un valore immenso. Così ogni cosa che mi succede nella vita cerco di godermela, anche il gesto banale di fare la spesa, appunto, o di prendere un caffè. Il chiedere “come stai?” fa parte di queste routine perché poi magari lo sai già come sta l’altro, perché ci vivi insieme o intuisci più o meno la “temperatura” dell’altra persona, però è sempre un gesto che apprezzo. Cerco di guardare le cose con occhi sempre diversi e quindi mi sento molto più ricca di quello che poi in realtà sono.

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Sulla spalla hai tatuato un ritratto di Frida Kahlo; a lei spesso davano della surrealista, al che rispondeva sempre prontamente “Io interpreto o disegno solo la realtà”. Ho trovato un grosso parallelismo tra le vostre personalità, non solo su questo, ma anche con le cover dei tuoi singoli: il fatto che tu abbia disegnato su queste una specie di autoritratto, si specchia negli autoritratti della Kahlo dopo il suo incidente…

Beh, sicuramente nutro un amore sconfinato per Frida Kahlo, per la sua forza, per l’amore con Diego Rivera, per la sua vita in genarle… Ecco perché poi me la sono tatuata sul braccio. I suoi occhi sulla realtà sono per me un esempio, perché lei poteva benissimo maledire ogni cosa da cui era circondata, sì, malediva comunque il mondo, l’incidente, ecc., ma ne sapeva accogliere la bellezza anche nelle tragedie e questo mi ha sempre molto colpita. Sicuramente quel mood è un po’ anche il mio modo di vedere le cose e, per quanto riguarda le copertine dei singoli, l’aver disegnato una ragazza con i capelli rossi come me, probabilmente è solo un caso, perché poi quei disgni fanno parte di una serie che si chiama “Tette Sulle Spalle” e in realtà gli elementi che compongono i disegni sono simili in tutte le cover, ma anche molto diversi. Come per la musica, anche quando dipingo, non ho ben chiaro quello che voglio disegnare, sicuramente ho sempre a cuore il mettere su quel foglio tutto quello che mi sembra necessario nella mia vita.

 

Certo, è come un flusso di coscienza, ti fai guidare da quello e basta, nessun retropensiero, nessun ragionamento lungo…

Sì, assolutamente. Anche quando scrivo una canzone,in realtà, non lo so di cosa voglio parlare o scrivere, cioè per me è importante ciò che avviene, il movimento, quando mi alzo e mi siedo davanti al pianoforte e inizio a suonare, è questo che mi preme, anche perché con la canzone io decodifico le cose che mi accadono.

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Prima abbiamo parlato un po’ dei colori. Questi sono molto presenti nella tua vita, anche tra le tue foto è difficile trovare un bianco e un nero. Mi chiedevo da cosa derivasse, se c’è un legame un po’ con quello che mi hai raccontato fino ad adesso, cioè sull’apprezzare le piccole cose e quindi vedere sempre un po’ tutto a colori…

Tutto sempre a colori. Sono estremamente legata ai colori, sarà anche un po’ per contrapposizione con il colore nero, la lentezza del colore nero, che corrisponde spesso alle cose brutte. Io intendo distaccarmi da quella cosa lì. Mi è sempre piaciuto vestirmi colorata, un po’ anche grazie alla mia mamma, perché ho questa immagine di lei con i capelli lunghi, rossi, ondulati, vestita sempre colorata, con le gonne a vita alta che mi riporta a un concetto di delicatezza, benessere, felicità… Quella per me è sempre stata un’immagine sacra a cui ho voluto sempre attingere per sentirmi meglio.

E a proposito di stare bene, com’è stato uscire dalla “comfort zone” dello scrivere in inglese per passare all’italiano?

Finito il tour con i Moseek, avevo tempo per poter fare anche cose che non avevo mai fatto. Sicuramente, come per ogni cosa nuova, c’è il timore di sbagliare o di fare un cosa che non ti piace ed è oggettivamente brutta, ma soprattutto di fare qualche cosa che non mi rappresentasse, e invece quando poi ci ho preso gusto, ho assolutamente percepito che era totalmente una cosa che mi stava rappresentando; paradossalmente era una nuova scoperta, una nuova dimensione perché quando scrivevo in inglese per i Moseek ero molto legata ad un approccio estetico, se vogliamo anche molto ludico, ma non andavo ad addentrarmi in cose assolutamente personali anche perché avevo bisogno di fare una media con i pensieri dei miei colleghi di band, mentre in italiano ho quasi sentito l’obbligo di mettermi nero su bianco totalmente. Quando ho fatto leggere a Dario e Fabio (gli altri componenti dei Moosek, n.d.r.) questi brani, abbiamo subito detto “Beh, queste canzoni devono far parte di un altro progetto” e così si è delineato il mio progetto solista che è qualcosa di parallelo alla band.

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Prima mi hai parlato di Frida Kahlo, una donna eccezionale, perché spesso oggi, soprattutto per le donne, c’è il dovere di essere fuori dal comune per essere prese un po’ in considerazione anche nel mondo lavorativo. Ad esempio, leggevo in una tua intervista che, secondo te, è più facile oggi che ad un’anteprima di un film ci si accalchi più vicino all’attore uomo piuttosto che alla donna…

Si, io nello specifico ho parlato dello strapparsi i capelli, piangere. I fan sfegatati, quelli che piangono davanti al loro “idolo” per capirci. Sicuramente c’è bisogno anche per gli uomini di essere eccezionali, ma in generale, nella musica specialmente, per emergere bisogna essere eccezionali. Detto questo, c’è sicuramente una differenza anche di percezione del pubblico, è qualcosa di innato che abbiamo, fa parte della nostra abitudine, dei nostri usi e costumi; io sono cresciuta con la famiglia che mi ripeteva “Ma tu il principe azzurro che ti renderà felice non lo trovi?”. Il pensiero di dover trovare una seconda persona che ci renda felici è qualcosa di radicato nelle teste delle bambine perché siamo abituate a pensare che un principe azzurro ci salverà. Sicuramente non è una cosa che io condivido, ma nemmeno la condanno perché è un qualcosa che viene detto sempre con tanta innocenza e tanto amore da parte delle nonne, delle zie, delle mamme. Sicuramente le abitudini possono essere scardinate e il tempo lo può fare, perché stanno cambiando tante cose e sicuramente c’è bisogno di tanto impegno da parte sia degli uomini che delle donne per far notare appunto quelle piccole cose che però fanno la differenza, perché sono proprio le piccole battute, le piccole percezioni e considerazioni nei confronti di una donna che rendono grande la differenza di percezione rispetto ad un’artista, ma anche ad una lavoratrice.

Verissimo, ed è paradossale che ancor’oggi si debba parlare di queste “differenze”. Volevo chiudere chiedendoti qualcosa sul tuo futuro prossimo.

Non ti posso dire tantissimo. Sicuramente curerò la parte grafica, le copertine e tutto ciò che è disegnare qualcosa che riguarda il mio progetto. Posso dire che questa seconda canzone rappresenta un po’ un secondo capitolo di una storia che mi riguarda, la vivo come se fosse un album di fotografie, un libro, perché sono tutte cose vere, non faccio nomi e cognomi per ovvi motivi, però dentro le canzoni che scrivo c’è tutto quello che poi è accaduto realmente nella mia vita.

Quindi, azzardo un po’, magari il prossimo album sarà una sorta di raccolta di come quadri con la loro “spiegazione”, ovvero i brani.

Mmm… Vedrete, ma, più o meno, hai colto (ride, n.d.r.).