Valentina Parisse: “Ogni bene è un lavoro su se stessi”

Di Francesco Nuccitelli

Valentina Parisse è un’Artista con la A maiuscola ed è tornata con “Ogni bene”, un singolo di grande impatto, dalla grande interpretazione e che mette in mostra tutto il suo grande talento. Un brano, o meglio un augurio per una fine sana, quando per terminare una storia d’amore non c’è bisogno dell’odio, ma solo di tanta ironia. Un singolo che vede al suo interno tantissime grandi collaborazioni, in primis quella con il rapper Space One, ma anche con Chris Lord-Alge (vincitore di 5 Grammy), Antonio Baglio (vincitore di 2 Grammy e 12 Latin Grammy), Alfredo Rapetti Mogol in arte “Cheope”Davide NapoleoneFrancesco “Katoo” Catitti produttore del brano. Di “Ogni bene” e dei progetti futuri, ne abbiamo parlato direttamente con Valentina:

1 - Valentina Parisse - cover OGNI BENE feat. Space One - grafica di Valerio Bulla, foto di Luz Gallardo

 Valentina Parisse – cover “OGNI BENE” feat. Space One – grafica di Valerio Bulla e foto di Luz Gallardo

Ciao Valentina, innanzitutto come sta andando questo ritorno alla normalità?

Proprio in questi giorni mi domandavo cosa è normale e cosa non lo è; certo non è normale passeggiare o scendere al mare e portare una mascherina, però dobbiamo ancora fare attenzione. Io ad esempio ho ripreso a viaggiare di recente, ma ci sono delle difficoltà che un po’ inquietano. Però è bello poter uscire di casa e riassaporare un po’ di libertà.

Sei una giramondo, quanto ha influenzato questo tuo girovagare per tua musica?

I miei viaggi mi hanno influenzato e mi hanno lasciato sempre un qualcosa di diverso. Spesso sono stati viaggi avventurosi, come quando sono partita per il Canada per dare vita al mio primo album. Avevo pochi soldi e non avevo mai fatto un viaggio oltreoceano da sola, una bella pazzia, però i sogni ci danno il coraggio per andare avanti.

“Ogni bene” è il tuo ultimo singolo, cosa ci puoi raccontare?

Raccontare un brano per chi lo scrive e per chi lo vive è molto complicato. È come un figlio, lo vedi nascere lo vedi crescere ed è difficile non sembrare un po’ autocelebrativi nel raccontarlo. Posso però dire che è stato un percorso veramente importante per me, anche per le collaborazioni. Questa canzone racconta la voglia di non restare fermi o bloccati in qualcosa, ma di cercare di riderci un po’ su e in questo Space One mi ha dato una grandissima mano.

Nel brano troviamo per l’appunto Space One, tu cantautrice romana e lui rapper milanese. Com’è stata questa collaborazione?

Sono veramente super contenta del suo contributo nel brano. Space One è un rapper che ascoltavo e ho avuto la fortuna di conoscerlo nel programma All Together Now, dove entrambi facevamo parte del muro. Io provo una grandissima stima nei suoi confronti, ma come la provo anche per tutti quelli che hanno contribuito. La sua partecipazione è stata il massimo, ha portato ironia al brano e, nonostante le diversità musicali, si sente che è un feat genuino. Collaborare con lui e con tutti loro è stato bellissimo, mi hanno aiutato molto.

Nel brano troviamo un team di tutto rispetto, di cui fa parte anche Chris Lord-Alge, come è stato lavorare con un personaggio così importante del panorama internazionale?

Sono riuscita a instaurare un ottimo rapporto con Chris. Sono dell’idea che una delle forme più alte di rispetto sia fare musica insieme, con lui c’è stato un incontro fortunato e da questo incontro è nata un’occasione importante per me. Quando capitano certe occasioni è giusto mettersi subito a lavoro e dimostrare qualcosa. Verso Chris e verso gli altri (Cheope, Space One ecc ndr.) ho un enorme rispetto, per il loro percorso e per quello che hanno fatto.

Il singolo ti sta regalando tante soddisfazioni, ma dell’album ci puoi dire già qualcosa?

Ce la stiamo mettendo tutta. La squadra sta lavorando al massimo anche se siamo tutti in posti diversi. Posso dire che sarà un album completamente in italiano e ci saranno tante collaborazioni pazzesche, alcune delle quali saranno delle conferme bellissime. Ci saranno tanti temi importanti all’interno di questo album. Ovviamente, anche la situazione attuale ha influenzato la mia tracklist, ci sono delle cose che stiamo ultimando, perché non si può restare ad occhi chiusi con tutto quello che sta accadendo intorno a noi.

La canzone tratta la fine di un rapporto d’amore: ma è veramente possibile augurare ogni bene?

Non è automatico e non lo è stato per me. Ogni bene è più un lavoro su se stessi, molto grande e che non finisce mai. È più che altro un augurio, non c’è dell’odio, anche perché se hai amato una persona non puoi cancellare di punto in bianco, l’amore o l’affetto per quella persona.

Il 14 luglio andrà in onda una puntata speciale di All together now, ci puoi già raccontare qualcosa?

La puntata sarà fighissima e dietro c’è un’idea bellissima. Ci saranno tantissime canzoni cantate dai migliori artisti delle due edizioni. Sarà un grande spettacolo per chi ama la bella musica. Il pubblico, anche se da casa potrà cantare insieme a noi. Ci sarà poi una grande sorpresa, ma non posso dire di più.

Valentina Parisse - Foto di Luz Gallardo

Foto di Luz Gallardo

Junior V: “Questo singolo rappresenta un nuovo inizio”

Di Francesco Nuccitelli

“Odore d’incenso” è l’ultima fatica artistica del giovane cantautore pugliese Junior V. Un singolo indie folk, dal retrogusto pop, in una ballata d’amore, dove il giovane artista mette in mostra tutta la sua maestria nello scrivere di sentimenti così forti ed emozioni contrastanti tra loro. Una rinnovata visione della musica e una maturità artistica che lascia alle spalle il suo recente passato, per un qualcosa di più intimo, personale ed emotivo. In attesa di progetti futuri, si è raccontato a noi; tra il nuovo brano, l’album in preparazione, questa nuova svolta musicale e l’esperienza all’Abbey Road Studios: 

Ciao Junior, come sta andando questo ritorno alla “normalità”?

Ciao Francesco, abbastanza bene grazie! Sono felicissimo per l’uscita di questo nuovo singolo.Sono stato in lockdown a Polignano a mare. All’inizio non sono stato molto ispirato nel comporre nuova musica. Tuttavia, ho registrato qualche bozza che andrò a rivedere presto. Mi piace dedicarmi alla musica come un allenamento costante.

“Odore d’incenso” è il tuo ultimo singolo, come è nato questo brano?

Questo brano è nato nella mia stanza alle 4 di mattina mentre stavo vivendo forti emozioni di incertezza e spaesamento d’amore. L’ho scritto in dieci minuti. Non ho mai scritto una canzone in così poco tempo. Mentre suonavo gli accordi sulla mia 12 corde, bruciava un incensiere sul davanzale della finestra. Credo di aver descritto di getto tutto quello che stessi vivendo e vedendo quella notte di novembre.

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Tristezza o rabbia; cos’è che prevale in questa ballad d’amore atipica?

Direi un mix. È molto difficile provare solo un’emozione. Quando vivo emozioni forti cerco sempre di sfogarmi con la musica. Secondo me un cantautore ha l’obbligo di mettere a nudo i propri sentimenti raccontando la propria vita. Ogni canzone è un piccolo pezzo del puzzle della mia vita.

Questo singolo lo definisci come: il brano della tua maturità. Cosa ci dobbiamo aspettare da Junior V per il futuro?

Sicuramente un nuovo Junior V. Questo singolo rappresenta un nuovo inizio. È un nuovo sound che ho sviluppato e preparato in due anni di silenzio musicale ed è qualcosa che mi rappresenta al 100%. Sono cresciuto con la reggae music, continuo ad ascoltarla ma penso che la musica debba essere diversa da quello che ci piace. Deve essere “tua”.

Invece, per quanto riguarda il tuo prossimo album, ci puoi già dire qualcosa?

Posso solo dire che il sound seguirà la scia indie australiana come Lime Cordiale, Ziggy Alberts, John Butler Trio e Sticky fingers, ma, anche un po’ della scena inglese, quindi Ben Howard, Daughter, Catfish and the Bottlemen, Declan Mckenna e altri.

Come mai la scelta di una rappresentazione animata per il videoclip del brano?

È stata una scelta molto naturale. Il mio team lavora a stretto contatto con Roby il Pettirosso, un famoso illustratore italiano che seguivo già da un paio di anni sui social. A mio parere è riuscito a rappresentare con le sue illustrazioni il vero significato del brano che ho scritto. Sono davvero onorato di aver collaborato con un grande artista come lui.

Questo brano presenta una curiosità affascinante; infatti, è stato masterizzato negli “Abbey Road Studios”. Come ti sei sentito a lavorare in un luogo così importante per la musica mondiale?

Sono ancora sotto shock. È una sensazione stranissima sapere che il mio nuovo singolo sia stato masterizzato nello studio più importante del mondo da un guru del mastering come Christian Wright. “Odore d’incenso” è passato nelle stesse macchine dei grandi dischi della storia della musica e io non posso che essere felice ed emozionato.

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Emanuele Aloia e quel senso di eterno ricercato nell’Arte

Di Alessio Boccali

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Emanuele Aloia, giovanissimo cantautore torinese, sta vivendo un successo immenso grazie al suo “Il bacio di Klimt”, un brano che parla ai giovani (e non solo) con una semplicità e allo stesso tempo una profondità tali da farlo schizzare in vetta alle più note classifiche musicali nostrane e riuscire a conquistare il disco d’oro. Un successo fortemente aiutato dalla piattaforma social Tik Tok, che ha permesso al pubblico di conoscere un ragazzo, un artista, che cerca di imprimere il suo marchio di fabbrica nella musica attraverso originali riferimenti al mondo della storia dell’arte e della letteratura. Questo il resoconto della nostra piacevole chiacchierata:

Ciao Emanuele, innanzitutto, come stai?

Ciao! Tutto bene, sto ritornando a una lenta normalità; faccio musica, anche se quello non ho mai spesso di farlo, rispondo alle interviste… insomma, si ricomincia.

aloia_il_bacio_di_klimt_640_ori_crop_master__0x0_640x360Il tuo brano “Il bacio di Klimt” sta davvero spopolando. Perché questo titolo e perché, secondo te, il Bacio di Klimt è così iconico?

Il titolo nasce dopo la canzone; quando ho finito di scriverla, ho subito pensato che dovesse chiamarsi così. Questo racchiude a pieno il senso del brano. È difficile dare una risposta, invece, sull’iconicità dell’opera d’arte vera e propria. Nell’arte non c’è mai una spiegazione logica che ti motivi il perché questa arriva alle persone; sicuramente ne “Il bacio” una gran parte del lavoro possiamo dire tranquillamente che la fanno i colori, i quali danno al quadro un senso di eternità, che poi è quello che vorrei trasmettere con il mio brano.

Un altro tema portante del singolo è quello della solitudine; problema sempre di grande attualità e che, ora più che mai, con questo virus e questa digitalizzazione del mondo della scuola, rischia di toccare di più i giovani; sei giovanissimo anche tu e tramite i vari social parli molto con tanti ragazzi; cosa vuoi trasmettergli in questi giorni?

Premetto che il brano nasce prima di tutta questa brutta situazione, tuttavia, sono molto fatalista e questa canzone sembra proprio descrivere un momento come quello dal quale ci stiamo lentamente rialzando. Ciò che mi sento di poter affermare è che le emozioni più negative come la malinconia, o appunto la solitudine, fanno parte della vita e vanno sempre affrontate. Bisogna cercare di essere sempre abbastanza equilibrati: sia nel vivere le gioie che nei momenti di tristezza.

Com’è portare la storia dell’arte, la letteratura…, in un’altra forma d’arte come la musica?

Nonostante abbia solo ventuno anni, ho già vissuto diverse trasformazioni su di me, sul mio essere artista. Non sono un esperto d’arte, sebbene ne sia appassionato; sono un tipo soprattutto curioso e mi affascinano la storia dell’arte, la letteratura – che poi in musica diventa quel cantautorato con il quale sono cresciuto – e sicuramente tutto ciò sta incidendo su quello che è il “marchio di fabbrica” della mia scrittura. Scrivo sicuramente meglio di come facevo qualche anno fa, ma naturalmente c’è sempre tanta strada da fare. Sono arrivato al punto, però, di voler affermare una mia precisa identità per differenziarmi e fare la differenza. Sicuramente, questo è un lavoro lungo che richiederà tanto tempo, ma sono sicuro che avverrà tutto in maniera naturale.

L’influenza della musica sull’ascoltatore è cosa nota, soprattutto per quanto riguarda i più giovani. Tu hai una bella responsabilità perché inviti a percepire la bellezza. Quanto è presente questo pensiero quando scrivi e soprattutto quanto pensi peserà questo nel tuo imminente futuro, visto anche il successo de “Il bacio di Klimt”?

Quando hai un pubblico molto giovane – per quanto con quest’ultimo pezzo l’età media del mio pubblico si sia alzata e questo mi fa molto piacere – la responsabilità è sempre più grande. Devi dosare le parole, devi pensare molto a quello che dici. Sono comunque molto tranquillo perché prendo ispirazione dalla bellezza, come dicevi tu, e quindi è difficile sbagliare. L’unica tensione che posso sentire un po’ più forte in questo momento è proprio quella strettamente collegata al successo de “Il bacio di Klimt”. Certamente, ci sarà un determinato tipo di attenzione sulla mia prossima uscita, ma questa oltre che una tensione è anche, e soprattutto, uno stimolo. Sono un tipo molto competitivo e ritengo gli stimoli esterni molto utili. Per quanto riguarda il mio invito a percepire la bellezza nella cultura, che citi nella domanda, mi fa sempre molto piacere quando ricevo dei messaggi da parte di teenager che mi ringraziano per averli fatti incuriosire a quel quadro piuttosto che a quell’autore letterario…

Hai poco più di vent’anni eppure hai comunque una buona gavetta alle spalle…

Scrivo da quando avevo tredici anni e a quattordici avevo già aperto un canale YouTube dove pubblicavo i miei inediti – naturalmente discutibili (ride. n.d.r) -, non ho mai smesso di crederci.

emanuele-aloia-980x551A proposito di YouTube, hai avuto grande successo “social” grazie alla piattaforma Tik Tok; possiamo considerare quest’app come una sorta di nuovo YouTube, naturalmente con modalità estremamente differenti, che può fungere da rampa di lancio per gli emergenti?

Assolutamente sì. Anche se son diversi i tempi di fruizione: su YouTube senti il pezzo intero, su Tik Tok ti entrano in testa delle frasi, degli incisi. L’importante è far capire a tutti è che Tik Tok è solo un mezzo; se un pezzo esplode a caso su quella piattaforma, ma non ha potenzialità per resistere altrove, si ferma là. Tik Tok può lanciarti, ma se poi la tua musica non ha un certo peso specifico, non vai da nessuna parte. Le persone sono molto pigre sui social, se quei pochi secondi di canzone ascoltata in un tik tok ti invogliano ad interessarti di più a quell’artista, significa che qualcosa di quel pezzo gli è rimasto dentro.

Un altro tuo brano che ho apprezzato molto è “Sempre”, uscito anche lui quest’anno, molto interessante anche il video con un altro omaggio letterario…

Son molto contento di parlare di “Sempre” perché quello è un brano molto bello, che però va capito. In un certo senso c’è un filo che lega le mie canzoni più conosciute e lo possiamo racchiudere nel senso di eternità, di cui abbiamo parlato anche prima. “Sempre” non è autobiografica e proprio per il peso che ha questa parola, a ventuno anni non ho scelto di fare un video ufficiale con due ragazzi mano nella mano a rappresentare una promessa d’amore, una scena vista e rivista. Per il videoclip ho scelto invece di prendere in prestito i protagonisti di una saga cinematografica come Harry Potter, che conoscono praticamente tutti, e in particolare provare a raccontare, con la mia canzone, l’amore di Piton per la madre di Harry: un sentimento più forte di tutto, che per proteggere il figlio della donna amata, arriva ad influenzare in negativo il pensiero che le persone hanno di lui. Un amore che si riflette perfettamente nel concetto di eterno.

Progetti futuri? Un album? Hai già le idee chiare su quale sarà il “colore”, il mood dominante di quest’album?

Di album pronti ne avrei veramente tanti per quanto scrivo (ride, n.d.r.). Il mio percorso finora è sempre andato avanti di singolo in singolo, ma “Il bacio di Klimt” ha dato sicuramente un’accelerata che ha portato me e chi mi segue a pensare decisamente a un album. L’obiettivo – non semplice sicuramente – è quello di portare un qualcosa di originale e per farlo c’è bisogno di un po’ di tempo. Uscirà quando, da perfezionista quale sono, sarò convinto al 100% di aver impresso il mio marchio di fabbrica sul lavoro che andrò a presentare.

Giulia Molino, una scugnizza fragile e passionale

Di Alessio Boccali

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Vivere tante belle emozioni durante un periodo universalmente triste non è mai facile. Giulia Molino, cantautrice e finalista nell’ultima edizione di “Amici di Maria De Filippi”, sta vivendo il suo successo in un turbinio di emozioni, ma in mezzo a questo caos, la sua anima da scugnizza fragile e passionale è riuscita poco tempo fa a dar vita a un bel brano omaggio al personale sanitario – composto da “eroi” che son prima di tutto “persone” -, che segue il suo album “Va tutto bene”, un lavoro tra il pop e il rap che ben la rappresenta. Ci siamo sentiti pochi giorni fa e questo è quello che è emerso dalla nostra chiacchierata:

Ciao Giulia, innanzitutto come stai?

Ciao Alessio! Sto bene, sono anche rientrata a casa mia da un paio di settimane, quindi ora posso dirti che, finalmente, va tutto bene.

Partiamo dal tuo ultimo singolo “Camice Bianco”: una dedica al personale sanitario che lotta tutti i giorni per la nostra salute e che in questo periodo è stato messo ancor più a dura prova dal coronavirus. Parli di loro come di eroi, ma anche e soprattutto come di persone…

Ho vissuto un periodo di grande angoscia. Durante il lockdown, nei due mesi in cui la pandemia si è fatta sentire con più forza, ero “protetta” dallo stare all’interno del programma “Amici”, ero quindi come schermata dalla realtà. Ricevevo notizie, sentivo i miei parenti, ma non vivevo la quotidianità. Una volta finito il programma, ho vissuto a Roma un paio di mesi e mi sono resa conto che davvero c’era stato un problema molto grande che non avevo vissuto appieno. In quei momenti ho visto e sentito addosso tutte quelle angosce che gli altri già stavano sopportando da tempo. Ho iniziato allora a documentarmi su com’era la situazione dal punto di vista sanitario e, durante le ricerche, mi sono imbattuta nell’intervista a un medico, il quale lamentava la mancanza di posti negli ospedali e affermava piangendo che, nonostante il grande impegno di tutto il mondo della medicina, questo virus stava portando via tantissime persone. In maniera particolare mi ha colpito la parte di quest’intervista nella quale il medico diceva che la domanda che riceva più spesso era “Quanto tempo mi rimane?”. A quel punto ho stoppato il video perché mi erano venuti i brividi. Quella domanda lì, però, me l’ero appuntata; mi ha fatto da subito pensare all’enorme fatica emotiva, oltre che fisica, alla quale sono sottoposti medici, infermieri e soccorritori. Da lì è nata “Camice Bianco”.

Il tuo album si intitola “Va tutto bene”, un’espressione che, soprattutto in momenti come questi, può fungere da incoraggiamento a tante persone, ma che spesso nasconde anche delle bugie. Che significato ha avuto nella tua vita questa espressione?

“Va tutto bene” è una frase che mi sono ritrovata a dire tante volte nella vita, anche quando ho fatto finta di star bene, ma non era così. Naturalmente, e per fortuna, ci sono tanti momenti in cui realmente stai bene e vivi la vita alla grande, ti senti al sicuro, al posto giusto nel momento giusto. Per questo mi ci ritrovo a 360° in questa espressione. Non mi è dispiaciuto, poi, che in questo periodo drammatico il mio “Va tutto bene” sia diventato per tante persone, che mi hanno anche contattata sui social, un incoraggiamento. Mi piace l’idea di essere riuscita ad abbracciare e a consolare tante persone con la mia musica.

A proposito di social e di seguito. Hai una fanbase di tutto rispetto che chiami “Scugnizzi”; ora non hai l’opportunità di incontrarli nei live o negli instore, però grazie al web riesci comunque a star loro vicina… come la vivi questa che comunque è una responsabilità?

All’inizio non era facile perché non ero abituata. Poi ho capito che se nella vita voglio fare musica e trasmettere dei messaggi è giusto che mi prenda tutte le responsabilità del caso. È capitato che alcuni ragazzi mi abbiano raccontato aspetti molto privati della loro vita e io non mi sia sentita all’altezza; mi vedono come un punto di riferimento, ma io sono la prima ad essere una persona fragile. Da “Amici”, però, ho imparato a credere un po’ di più in me stessa, e vedere che tante persone mi vedono come una persona forte con la quale confidarsi è una bella sensazione. Poi certo, non vedo l’ora di vederli e abbracciarli portando in giro la mia musica. “Chell’ è tutta ‘n’ata cosa…” e già da luglio potrebbero esserci delle sorprese…

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In tutti i testi dell’album c’è un TU al quale ti rivolgi. Ti sei mai sentita in dovere di dimostrare qualcosa a un qualsivoglia TU?

Più che un dovere, ho sentito forte il bisogno di liberarmi da tante cose. Una necessità tutta mia di parlare e di condividere delle emozioni che quel TU, bene o male che sia andato il rapporto con lui, mi ha fatto maturare. Scriverne, cantarne, mi ha fatto tanto bene.

Come dicevi prima, non è mai facile dire “Va tutto bene”. A tal proposito volevo parlare un po’ del tuo brano “Nietzsche”, un flusso di coscienza nel quale spieghi, appunto, quante volte è stato difficile dire che andava tutto bene…

Inizialmente ho pensato che questo brano potesse quasi stonare con il disco, però poi ho capito che non è così. Da quando mi sono aperta di più con il pubblico, ho ammesso che c’è una fragilità di base in me. Ho quindi voluto presentare me stessa al 100%, parlando a chi mi sta accanto e a chi mi ascolta con estrema sincerità. Sono molto emotiva, nella vita e di conseguenza nella musica, mi ha sempre contraddistinto la passionalità, il coinvolgimento con cui vivo ogni emozione.

Nella tua musica c’è una forte impronta rap che riesci a mixare bene al pop. Da dove nasce questo incontro?

Fortunatamente con la musica non è mai impossibile creare tantissimi incroci di generi; quello che sto cercando di fare è proprio unire i miei studi pop, R’n’B, soul che da sempre mettono in luce la mia passionalità, alla forza e alla schiettezza che riesco a dimostrare quando faccio rap. L’obiettivo che ho ben chiaro nella mente è preservare e alimentare continuamente una forza comunicativa. Spero di riuscirci sempre.

Parlando di passionalità, non possiamo non citare la tua amata terra. Sei nata a Torre Del Greco, hai vissuto tra Scafati e Napoli, insomma in te scorre sangue campano e questo si sente anche nella tua musica…

Sì, lo sento tutto il calore della mia terra e me lo porto sempre sul palco e quando scrivo. Ad “Amici” ho avuto l’onore di cantare pezzi della tradizione partenopea ed è stato molto emozionante. Sono molto fiera delle mie origini, è un regalo grandissimo per me l’essere figlia del Sud e del suo patrimonio artistico.

Ah, se possibile volevo aggiungere un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi supportano e, in particolare, alla mia grande famiglia di Isola degli Artisti e a Carlo Avarello, il mio produttore, ma per me anche un padre, un fratello, un confidente e un grande amico.

 

Emanuele Bianco: “La mia terra” è stabilità affettivo-riflessiva

Di Alessio Boccali
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ph. Alessandro Boggi

Emanuele Bianco, all’anagrafe Emanuele Maracchioni, classe ’93 è un cantautore, musicista e producer romano con un passato da rapper col nome Chabani. Nella sua musica c’è la sua vita, le esperienze che l’hanno formato e continuano a farlo, gli affetti che lo hanno aiutato a crescere personalmente e artisticamente e quella vena rap che non smette mai di pulsare nella fase di scrittura. A circa un mese dall’uscita del suo ultimo singolo “La mia terra”, abbiamo scambiato due chiacchiere per tirare le somme ritrovandoci a parlare di stabilità, di insegnamenti, di ricordi e di tutto ciò che, in fondo, è vita.

Ciao Emanuele, innanzitutto come stai, com’è stato “fare” musica da casa in questi mesi?

Ciao! Sto bene dai, grazie. Diciamo che io vivevo in quarantena già da prima perché stavo sempre chiuso in studio. Per la produzione, soprattutto, ho sempre lavorato molto da remoto. Ti dico la verità: son sempre stato un fan della digitalizzazione. Secondo me, se non pensiamo alla bellezza del “contatto fisico”, lavorare da remoto ha tantissimi lati positivi. Anche perché a Roma per spostarti da una parte della città all’altra butti sempre mezza giornata. In fin dei conti, tralasciando la tragedia dell’emergenza sanitaria, questa situazione ha accelerato un processo che, volenti o nolenti, ci avrebbe prima o poi coinvolti tutti.

Il tuo ultimo singolo “La mia terra” è uscito durante il lockdown; hai sentito ancora di più la responsabilità di dover essere vicino a chi ascoltava questo nuovo brano?

Sì, hai detto una parola molto importante: responsabilità. Io credo che tutti coloro che hanno un pubblico che li segue, più o meno numeroso che sia, debbano tenerne conto. È bellissimo avere un rapporto con chi ti segue, ma è altrettanto importante rispettare queste persone perché l’artista può avere una grande influenza. Soprattutto quando hai a che fare con i ragazzi più giovani, devi essere consapevole che la musica può salvare le persone, ma può anche distruggerle. È importante avere la fiducia delle persone che ti ascoltano e fare musica, fare film, fare un quadro… non è mai un procedimento fine a sé stesso, ma ha sempre un’influenza su chi godrà di quell’arte. Tutti noi siamo stati influenzati dall’arte nella nostra vita, nelle nostre scelte. A maggior ragione oggi che la fruizione dell’arte, in primis della musica e del cinema è veramente immediata grazie a internet.

Mi aggancio a questo per parlare di musica live e concerti in streaming. Abbiamo letto che con le nuove norme a breve sarà possibile, durante questo periodo di emergenza, fare concerti per un massimo di mille persone e sempre a seconda della capienza dei teatri/locali naturalmente e con le dovute distanze. Tanti hanno rinunciato a quest’idea, altri hanno continuato a sostenere la via della digitalizzazione. Immagino sarai d’accordo con questi ultimi…

Il mondo è cambiato, inutile nascondercelo. Stiamo cambiando stili di vita e inserendo nella vita quotidiana nuove abitudini. Il mercato della musica non fa eccezione. Prima si diceva che il pesce grande mangi sempre il pesce piccolo, nell’industria musicale così come negli altri mercati. Oggi penso che sia il pesce veloce a sovrastare il pesce lento. Chi si adatta prima ha la meglio. Credo che questo discorso possa valere anche per il discorso dei live in streaming, che tra l’altro in America tra gli artisti un po’ meno conosciuti è pratica comune. Forse parlo da “malato” di digitalizzazione, ma credo che tra un po’ di anni riusciremo a godere dei concerti con l’audio in 3D e grazie ai visori sfruttando la realtà virtuale. Logicamente la dimensione del concerto dal vivo sarà sempre un’altra cosa e il contro più grande di un evento in digitale è sicuramente, per l’artista, quello di non sentire il calore del pubblico che canta insieme a te e, per il pubblico, quello di non vivere un’esperienza e di condividerla con altri fan nello stesso luogo, nello stesso momento. Un beneficio importante, tuttavia, potrà esserci per gli artisti emergenti. Anche chi non ha un booking o non ha la capacità/possibilità di investire sui propri live, può investire una volta per tutte nell’attrezzatura per i concerti in streaming e può esibirsi praticamente quando vuole. La musica è passata attraverso tantissime rivoluzioni, credo sia fisiologico; bisogna sempre vedere il lato positivo del cambiamento e darsi da fare.

Torniamo a “La mia terra”; L’amore ha una grande importanza nella tua vita e dopo “Tu sei”, che ha superato il milione di views su YouTube, questo brano è l’ennesimo riconoscimento dell’amore per la ragazza che ami, ma è anche la consapevolezza di aver raggiunto un obiettivo nella stabilità affettiva.

“Tu sei” il fuoco di passione che divampa all’inizio di un amore, mentre “La mia terra” è il consolidamento del rapporto, un’acquisizione di maturità. La persona amata è il tuo mondo, la tua quotidianità, la tua stabilità. Ne “La mia terra” racconto di aver raggiunto un equilibrio tra mente e cuore; quando ti trovi in questa condizione riesci a visualizzare tutto il tuo trascorso. Ringrazi le cose che ti son successe, positive o negative che siano state, perché tutte ti hanno formato. È un tirare le somme sulla mia testa calda, sugli obiettivi raggiunti o meno e su tante altre cose per poi mettere tutto questo da parte e pensare con tanta gratitudine solo a quello che ho. Ho imparato che a tutto ciò che succede bisogna dare un significato e, grazie a questo significato, imparare la lezione.

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ph. Alessandro Boggi

Questa grande riflessività è evidente in tutti i tuoi brani, anche i tuoi testi sono molto “lunghi” per il pop; è questo un retaggio del rap, vista la tua esperienza con questo genere?

Sì, sono d’accordissimo. Nella mia musica, nei miei testi c’è molto del mio passato rap. Questa cosa di mescolare il rap al pop mi piace moltissimo, nonostante in alcuni momenti cerco quasi di ammonirmi dicendomi di fare più pause nel cantato; ma è una cosa che mi viene naturale, amo il rap e la sua capacità di poter dire mille cose in un solo pezzo e di poterle dire in un milione di modi differenti. Nel pop questo non è impossibile, è solo più difficile perché inevitabilmente hai meno parole. Io ci sto provando e sono consapevole che devo migliorare ancora tanto. D’altronde il mio motto è sempre stato “O ti formi o ti fermi”.

A proposito di riflessività e di rap, la tua “Manchi” dedicata a Cranio Randagio è da spezzare il fiato; cosa ti legava di più a Vittorio?

Ho tanti bei ricordi di e con Vittorio. Innanzitutto, ogni volta che registravo Cranio imparavo un nuovo termine. Lui scriveva con un registro stilistico troppo alto per l’Italia. Era troppo. Vittorio, poi, era una persona di spessore oltreché un artista con la A maiuscola. E ogni volta che parlo di lui è questo che mi piace ricordare e raccontare a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo. Nella sua arte era libero, spesso utilizzava delle parole, delle metafore, che potevi starci a pensare per ore; non puoi capire quante volte gli dicevo di alleggerire un po’ la scrittura per arrivare a tutti o di fare un ritornello cantato. Un compromesso lo trovammo in “A Selfish Selfie”, che infatti “contaminò” più persone pur non snaturando l’anima di Cranio Randagio.

Non sarò il primo che te lo chiede e non vuole essere un giudizio, ma più una curiosità. Da cosa nasce quel “Keep it secret” tatuato sul viso? Da quello che ci siamo detti, sono certo che abbia un senso profondo.

Innanzitutto, ti dico che quando me lo son tatuato, mia madre non mi ha parlato per tre mesi (ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, a me piacciono tanto i tatuaggi e quella scritta ha dei significati. Innanzitutto, mi ritengo una persona della quale ti puoi fidare, e questo è il significato più “accessibile”, l’altro senso riguarda il mio essere abbastanza introverso. Con la musica questa chiusura viene meno e riesco a parlare di ciò che ho visto e sentito. Quindi diciamo che è anche un po’ una garanzia sulla mia veridicità.

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ph. Alessandro Boggi

Tornando ai tuoi pezzi. Prima abbiamo parlato di stabilità riflessiva raggiunta grazie alla stabilità affettiva raccontata ne “La mia terra”, in “Sotto la Torre Eiffel” parli di amore a distanza. Così è più difficile raggiungere quelle stabilità, non trovi?

Io penso che quando ti impegni in un rapporto scegli di vivere delle esperienze rinunciando ad altre. Tra le cose che scegli di vivere ci sono la stabilità della quotidianità, la sicurezza di avere una persona sempre vicina, il rapporto fisico e tante altre cose. Con un amore a distanza non è che sia impossibile portare avanti tutti questi aspetti, ma è molto difficile prendersene cura. Vivere una persona tutti i giorni, vederla, parlarci e confrontartici rende più semplice le cose e ti permette anche di capire meglio ciò che provi. La lontananza da “La mia terra”, dalla persona che amo, renderebbe inevitabilmente instabile anche la mia vita e penso anche quella della mia lei.

Finiamo parlando del disco che, se non erro, dovrebbe uscire dopo l’estate. Giusto?

Sì, diciamo che siamo in fase di finalizzazione. Ho contato molto come sempre sulla mia produzione perché mi piace molto dar forma alla mia musica anche se non disdegno le coproduzioni con chi naviga sulla mia stessa lunghezza d’onda. Le canzoni uscite finora sono molto eterogenee e vengono da diversi periodi della mia vita, col disco è arrivato il momento di dare l’imprinting giusto al mio percorso. La via scelta sarà quella dell’acustico, che dà quel mood che trovi al massimo in “Tu sei”.

Finiamo parlando del disco che, se non erro, dovrebbe uscire dopo l’estate. Giusto?

Sì, diciamo che siamo in fase di finalizzazione. Ho contato molto come sempre sulla mia produzione perché mi piace molto dar forma alla mia musica anche se non disdegno le coproduzioni con chi naviga sulla mia stessa lunghezza d’onda. Le canzoni uscite finora sono molto eterogenee e vengono da diversi periodi della mia vita, col disco è arrivato il momento di dare l’imprinting giusto al mio percorso. La via scelta sarà quella dell’acustico, che dà quel mood che trovi al massimo in “Tu sei”.

Lucio Leoni, dialogo sui “massimi sistemi” tra due logorroici

Di Alessio Boccali

 

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Ph. Cecchetti

“Dove sei coincide con dove vorresti essere?” È questa la domanda che ha chiuso la mia chiacchierata con Lucio Leoni, reduce dall’uscita del suo ultimo lavoro “Dove sei pt.1”. La sua risposta, però, racchiude a pieno il contenuto dell’intera intervista, quindi ve la metto qui prima di lasciarvi al botta e risposta tra due logorroici come me e Lucio: Dove sei non coincide quasi mai con dove vorresti essere; semplicemente perché è difficilissimo rendersi conto di voler essere in un determinato punto in un determinato tempo. Penso che se ci accorgessimo di questo, ci accorgeremmo immediatamente anche di essere felici.

Ciao Lucio! Siamo qui per parlare del tuo nuovo disco “Dove sei pt.1”. Prima domanda, banalissima, come mai questa divisione del tuo progetto in pt.1, uscita ora, e pt.2 che uscirà in autunno?

Ciao Alessio, ti dirò: la questione è semplice. Io ho un approccio molto verboso alla musica, non conosco bene il dono della sintesi (ride, n.d.r.). Nella sezione di registrazione sono nati 16 brani e metterli tutti insieme in un disco sarebbe stato pericoloso, antipatico. Io e i miei collaboratori abbiamo cercato di andare incontro all’ascoltatore per dargli un po’ di respiro per metabolizzare i brani.

Questo “Dove sei”, rigorosamente senza punto interrogativo, ha un legame con i tuoi precedenti dischi “Lorem Ipsum” e “Il Lupo Cattivo”?

Sì, c’è una sorta di fil rouge che li lega. “Lorem Ipsum” ruotava attorno alla comunicazione con tutto ciò che è esterno al sé, mentre “Il Lupo Cattivo” è una riflessione sulla comunicazione interna a noi stessi, all’interno del bosco; ora con questo nuovo lavoro c’è una sintesi di tutte e due le forme di comunicazione, sono uscito dal bosco, ma continuano ad esserci dubbi, bivi e strade tortuose.

 

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Ph. Cecchetti

A proposito di dubbi e di bivi, mi collego subito al primo pezzo in tracklist, ovvero “Il fraintendimento di John Cage”. Ho apprezzato molto non solo la riflessione fatta, appunto, sul dubbio e quindi sulle scelte, ma anche il tuo continuo rivolgere il pensiero al concetto di felicità. Tra il serio e il faceto canti “Guarda che tu sei felice solo quando decidi di esserlo…”; ti chiedo, è più facile essere felici o rendersene conto?

Wow, cacchio che domandone! (ride, n.d.r.) Eh… è più facile essere felici, rendersene conto è più difficile, è un passaggio in più; per rendersi conto della felicità bisogna lasciar cadere un po’ di schermi, un po’ di maschere che ci mettiamo davanti. Probabilmente siamo molto più felici di quanto pensiamo di esserlo.

Sai che ho notato questa cosa anche nel tuo disco… ti ho sentito più ottimista del solito.

Non sei il primo che me lo fa notare e mi incuriosisce molto questa cosa. Ogni volta che termino di scrivere un disco mi rimprovero di essere stato un’altra volta pesante, un’altra volta depresso… e invece anche tu mi dici che questo disco ha uno sguardo ottimista. Ti dirò che mi fa molto piacere e allo stesso tempo mi stupisce. Vedi? Torniamo a quello che dicevamo prima, significa che non me ne rendo conto quando sono felice o comunque sto un attimo meglio (ride, n.d.r.).

Provo a giustificarti la mia teoria sull’ottimismo di “Dove sei pt.1”. Ne “Il sorpasso” feat. C.U.B.A, Cabbal, ad esempio, parli di un progresso che l’arte e la gente comune hanno realizzato, mentre le istituzioni ancora no, oppure non se ne sono accorte. C’è una parte del brano che riassume benissimo questo concetto ed è quando canti “Siamo già arrivati. Che facciamo, bussiamo?”. Il senso della mia constatazione è questo: la società, in quanto insieme di cittadini, sta davvero già avanti rispetto a varie problematiche sociali come l’omofobia o il razzismo, mentre le istituzioni continuano ad enfatizzare l’esistenza di queste problematicità?

Sì, ho la sensazione che tutta una serie di questioni che tuttora sono il fulcro delle discussioni politiche contemporanee e vengono identificati come dei problemi: “il problema dell’immigrazione”, “il problema della sessualità liquida”, ecc. siano in realtà, per fortuna, in grande scala superati. Viviamo fianco a fianco con persone dal colore della pelle diverso dal nostro, con culture e tradizioni differenti, eppure mi sembra che nella realtà dei fatti ce la caviamo benissimo. Sono speranzoso nel pensare che noi questi noiosi paradigmi li abbiamo superati e chi non l’ha ancora fatto, deve svegliarsi. Non esiste il clandestino, siamo tutti parte dello stesso mondo e questa pandemia dovrebbe avercelo ancora una volta dimostrato. Eppure, c’è sempre chi deve parlare, ad esempio, della conversione di Silvia Romano all’Islam, ma di cosa stiamo parlando? Discorsi senza senso. Nonostante questo, te lo ripeto, sarà anche perché la speranza è da sempre una dote peculiare di chi scrive, ma penso che siamo molto più evoluti di quanto si possa pensare.

Siamo più felici, più evoluti di quanto possiamo pensare e ascoltando il tuo brano “San Gennaro”, rilancio con un “anche più spirituali” nella nostra continua ricerca di un senso. Cosa rappresenta per te indagare su te stesso e su ciò che ti circonda, guardare al di là dell’oggettività delle cose?

Bella domanda. Sicuramente la risposta migliore che posso darti è questa: mettermi continuamente in discussione. Quando credi di essere arrivato al punto più “giusto”, quando riesci a darti una definizione, è proprio quello il momento in cui devi fare un passo in più. “Cercare” è un processo ininterrotto; è necessario non stare mai troppo attaccati all’idea che ci si fa di noi stessi e, soprattutto, stare sempre all’ascolto delle opinioni degli altri, del racconto delle vite altrui… la vita non può essere filtrata solo attraverso la tua esperienza; è necessario mettersi in contatto con tutte quelle situazioni diverse dalla propria, che ti danno una visione più ampia della complessità del mondo.

Un altro pezzo che mi ha colpito è “Dedica” con Francesco Di Bella. Ti faccio una premessa: al primo ascolto l’intro mi ha ricordato “A mano a mano” di Rino Gaetano e successivamente mi è piaciuto molto la strizzatina d’occhio a “La crisi” dei Bluvertigo. A parte questo però, quello che mi è piaciuto molto è questo pensiero di aver finalmente raggiunto un’affermazione personale senza però non poter guardare con un briciolo di nostalgia al passato…

Innanzitutto, mi piace la premessa: l’omaggio a Rino non era cercato, ma effettivamente ci sta. Per quanto riguarda la domanda, qui l’ottimismo di cui parlavamo prima scema un po’ perché questo pezzo riguarda il mio rapporto col tempo: una relazione particolarmente confusa. Da una parte, infatti, c’è l’ancorarsi alla memoria e all’esperienza, anche se così si rischia di perdere il senso del presente, dall’altra parte invece c’è una chiave di ottimismo nell’essere fuori pericolo dall’avere tutta la vita davanti. Ti spiego meglio. Quando sei giovane e ti dicono che “hai ancora tutta la vita davanti”, ti senti, sì, pieno di speranza, ma allo stesso tempo sei investito da tante aspettative e da tante responsabilità. Ecco, scoprirmi libero da queste attese, mi fa stare meglio. Della serie “Il più l’ho fatto. Com’è andata, è andata…”

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Ph. Cecchetti

Nei tuoi pezzi c’è sempre stata una grandissima attenzione ai testi, ben accordati con la musica. Questa grande ricerca testuale e dunque attenzione al significato delle parole è espressa nel miglior modo dal brano “Atomizzazione”.  Ebbene, attraverso il senso di questo brano voglio collegarmi a ciò che potrebbe essere il futuro prossimo della musica live e quindi la possibilità della nascita dei famosi concerti in streaming. Non c’è il rischio, con questa digitalizzazione, di perdere il senso del concerto, ovvero del suo concepirlo non come banale momento di fruizione musicale, ma anche, e soprattutto, come esperienza?

Secondo me questo rischio non c’è perché non c’è la possibilità di trasferire un concerto nel mondo digitale. Un concerto è uno spettacolo dal vivo, è un’esperienza vissuta assieme, un momento di compresenza, di respiro comune, una relazione tra emittente e ricevente e se quelle parti non sono insieme nello stesso luogo non avviene un concerto. Quello che succederà con la digitalizzazione del live, se così vogliamo chiamarla, sarà un qualcosa di altro. Qualsiasi tipo di forma verrà individuata per portare avanti questo discorso, dovrà essere interpretata come un qualcosa di diverso: non ci possiamo permettere di pensare di poter trasferire la forma di spettacolo dal vivo dentro a un altro vettore. Quindi, quello che possiamo fare e che per un certo senso rappresenta per me anche uno stimolo è immaginare e sviluppare altre forme di intrattenimento. Se siamo separati da uno schermo non possiamo parlare di spettacolo dal vivo.

Per finire, una piccola osservazione sul mondo della radio visto che ne hai fatta. Secondo te, questi giorni che abbiamo trascorso in casa e che ci hanno fatto in qualche modo rallentare e lasciato più spazio alla riflessione, al pensare, cambieranno la nostra attitudine ad ascoltare la musica. C’è una speranza di diventare più propensi all’ascolto di un racconto in musica piuttosto che rimanere spesso ascoltatori passivi?

Mi piacerebbe tanto risponderti di sì. Sinceramente, voglio essere speranzoso, ma non lo so se abbiamo imparato a gustarci le sensazioni di un racconto. La sensazione che ho è che comunque sarà il futuro, durante questo lockdown, la maggior parte delle persone ha riscoperto il valore del tempo e ha imparato a viverlo in una maniera diversa. Pensa solo a quanta gente ha passato tante ore in cucina scoprendo che poi cucinare non è così difficile o noioso. Me lo auguro che questo periodo ci abbia fatto riflettere anche sulle modalità di fruizione dell’arte e ci abbia riavvicinato a tutte le sue forme. Sarebbe molto bello.

LEGNO: Mi “Casa De Papel” es tu “Casa De Papel”

Di Alessio Boccali

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Praticamente in contemporanea con l’uscita in Italia della quarta stagione de “La casa di carta”, i Legno, progetto indipendente formato da due ragazzi toscani – che noi conosciamo solo come Legno Felice e Legno triste – di casa Matilde Dischi, hanno dato alla luce il loro nuovo singolo intitolato proprio “Casa De Papel”. Il brano (una co-produzione Matilde Dischi-Artist First), è entrato da subito nelle playlist editoriali di Spotify “New Music Friday” e “Indie Italia” confermando il grande successo di stream del duo, e anticipa “Titolo EP”, l’album dei Legno in uscita nei prossimi mesi. Ad impreziosire il brano, i due toscani hanno lasciato che, in questi giorni di quarantena, fossero i loro fan i protagonisti del videoclip ufficiale del pezzo.

Ciao ragazzi, come state? Innanzitutto, spero di essere arrivato dopo che avete finito di guardare la nuova stagione de “La Casa De Papel” e che non avete subito degli spoiler. A proposito, da cosa nasce questo titolo per il vostro nuovo singolo?

Ciao! (Ride… solo Legno felice, naturalmente. N.d.r.) “Casa de Papel” è una serie che ha rivoluzionato e scosso le fantasie di milioni di persone. Nel ritornello del pezzo che fa “È bello finché dura anche se non è bello”, si racchiude il senso dell’intero brano: quanto vorremmo che un momento bellissimo possa durare per sempre? Peccato che non sia così.

LEGNO

La frase ricorrente del pezzo l’avete già citata ed “È bello finché dura anche se non è bello”; portandola ai giorni drammatici che stiamo vivendo, e pensando soltanto al tempo che noi cittadini, fortunati perché stiamo bene, dobbiamo passare a casa, può essere un incitamento a trovare il “bello” anche in questa quarantena?

Casualmente questa frase è molto vicina ad ognuno di noi in questo momento. Sapere che possiamo trovare qualcosa di bello e che ci tiene occupati in un contesto del genere è fondamentale. Di solito le piccole cose della quotidianità che riteniamo poco importanti si mostrano fondamentali. Esempio fare una torta, leggere un buon libro, iniziare a fare esercizi fisici ecc.

Sempre parlando di titoli, da dove viene l’idea, a mio modesto parere, geniale di chiamare il vostro prossimo EP “Titolo EP” e cosa ci racconterà?

Volevamo dare un seguito al nostro “Titolo Album”, ci piaceva non dare importanza ad un singolo pezzo o ad una parola frase in particolare, così abbiamo optato per “Titolo Ep”. Toccheremo diversi temi: su tutti, quello sentimentale e quello della nostalgia…

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Legno è il nome del vostro progetto, una scatola, un contenitore quindi, è invece il materiale che nasconde i vostri volti. Se uniamo queste due cose: il legno e il contenitore possiamo pensare ad un cassetto. Cosa c’è nel vostro cassetto di vita: aspirazioni, sogni ecc. ma anche e soprattutto la vostra personalità, il vostro vissuto… Cosa di tutto ciò ci aiuta a conoscervi meglio dell’eventualità di guardarvi negli occhi?

Hai colto perfettamente il senso della questione scatola, un cassetto dove teniamo le nostre cose, lo apriamo e attraverso i nostri brani cerchiamo di far uscire tutti i nostri pensieri, emozioni, ricordi, pezzi di vissuto che volevamo tirare via da questo cassetto. Noi siamo due amici che sentivano l’esigenza di far arrivare prima di tutto le canzoni, così comunichiamo con gli stati d’animo più comuni: Legno Triste e Legno Felice. Tutti noi passiamo dalla felicità alla tristezza senza pensarci, per noi è stato molto importante arrivare a comunicare quello che siamo senza far sapere chi siamo, a volte l’apparenza inganna e con i Legno non ingannerà mai perché tutti noi siamo felici e tristi… 😊 🙁

Legno è un progetto indipendente, ma in questo calderone negli ultimi anni sono stati inseriti tantissimi artisti. Cos’è per voi essere indie e cosa vi distingue nella vostra musica?

Noi facciamo musica per il piacere di farla, non ci piacciono molto le etichette. La musica indie, se così la vogliamo definire come genere, è un qualcosa che ha fatto aprire gli occhi su una realtà che vive e che si sta pian piano affermando. E di questo non possiamo che esserne felici.

Per realizzare il videoclip de “La Casa De Papel” avete chiesto aiuto ai vostri followers, è molto bello il messaggio che date con il video e che ribadite in grafica nel finale: ovvero che uniti ce la si fa sempre.

Siamo molto felici di aver lanciato un messaggio solidale e di sensibilizzazione per il periodo che stiamo passando. Pensiamo che la musica abbia l’obbligo morale di trasmettere qualcosa di buono e di unire le persone che in questo momento si trovano in difficoltà. Noi nel nostro piccolo abbiamo contribuito a lanciare un messaggio, cercando di fare impiegare il tanto tempo libero ai nostri fan per divertirsi e passare un po’ di leggerezza insieme a noi…

Per finire, facciamo un gioco: cinque brani per non sentire troppa nostalgia delle persone che in questo momento non possiamo abbracciare.

“Kurt Cobain” di Brunori Sas, “Al Telefono” di Cesare Cremonini, “At The Door” degli Strokes, “Once” di Liam Gallagher e “Dead Meat” di Sean Ono Lennon.